Ora che il 2021 sta finendo, possiamo ribadire con certezza che è stato l’anno della dirompente crescita degli investimenti in digitalizzazione. Per imprese di ogni tipo, professionisti, pubbliche amministrazioni e anche semplici cittadini, il cambio di passo è stato indubbiamente determinato dalla necessità di operare da remoto nell’emergenza pandemica.
Era, però, facile prevedere quanto sta accadendo ora: anche con la possibilità di incontri in presenza, per sottoscrivere contratti o accordi, spesso continua a essere preferita la modalità digitale, più comoda, conveniente e ormai abituale. Per esempio, nel caso di strumenti quali firma digitale o PEC, abbiamo rilevato, come InfoCert, non soltanto il boom d’acquisti ma, soprattutto, di frequenza d’uso. Pensiamo a SPID: in meno di due anni, è passato da 5 a 27 milioni di attivazioni e oggi viene utilizzato almeno una volta a settimana tanto da collocare l’Italia nella Top 5 dei paesi europei per numero di identità digitali gestite. Dati ragguardevoli, con ancora maggior rilevanza se inquadrati nel più ampio scenario di crescita economica del nostro Paese: nel 2021, sta registrando un incremento del PIL pari a oltre il 6%, percentuale superiore alla media dell’Eurozona (circa il 5%) e davvero sorprendente se pensiamo alle usuali posizioni di coda occupate dall’Italia nelle classifiche dell’ultimo ventennio.
Il tessuto produttivo italiano, pertanto, si sta dimostrando all’altezza di quello europeo, se non superiore. Tutto bene, dunque? Purtroppo, no. Se, per esempio, si menziona spesso l’immigrazione come un grande problema del nostro Paese, è in verità molto più drammatica la fuga all’estero dei nostri talenti: giovani che, alla conclusione del percorso di studi, espatriano alla ricerca di opportunità, causando una perdita di preziosa conoscenza e la vanificazione degli investimenti in formazione sostenuti dall’intero Sistema. Un circolo vizioso: il gap di competenze è forse il principale freno allo sviluppo della digitalizzazione e, conseguentemente, alla modernizzazione dell’Italia, che risulta poco attrattivo per investitori esteri. Fortunatamente, ci sono aree d’eccellenza in cui l’Italia non sconta il tipico divario rispetto a colossi dell’economia e dell’innovazione tecnologica quali Stati Uniti e Cina: come nel caso del Digital Trust.
Proprio noi di InfoCert, secondo gli analisti internazionali, siamo l’unico player europeo ad aver meritato un posto nella Top 10 mondiale dei solution provider di settore: un riconoscimento di cui siamo orgogliosi e che abbiamo conquistato grazie ai continui sforzi e investimenti in R&D, culminati nei numerosi brevetti che ci consentono di eccellere anche oltreconfine. Senza dimenticare quanto sia fondamentale mantenere una leadership europea in questo delicato ambito: è una garanzia di sicurezza per l’Europa, i suoi Stati membri e i loro cittadini. Chi eroga servizi di Digital Trust, grazie alla crittografia e conformandosi alla rigorosa normativa UE, protegge i dati rendendoli inaccessibili non solo a cybercriminali e hacker, ma anche a entità straniere che vedono nelle transazioni digitali una potenziale fonte di informazioni e un pericoloso strumento di influenza geopolitica. Anche per questo, è ineludibile impegnarsi e investire nella convergenza tra cybersecurity e Digital Trust: è da tempo una priorità per la nostra azienda e il Gruppo di cui facciamo parte, ma deve esserlo per l’intero settore.
A richiederlo con chiarezza, peraltro, è il mercato. E dal mercato – almeno a mio avviso – emerge una seconda e importante indicazione di sviluppo strategico per il Digital Trust: la capacità di essere strumento fondamentale per le organizzazioni che vogliono e devono soddisfare anche i rating di sostenibilità ESG. Gli investitori non si limitano più a valutare un’organizzazione e le sue prospettive di generare valore solo in termini di sostenibilità economica, ma sono attenti anche all’impatto ambientale, sociale e di governance. I clienti delle nostre soluzioni di onboarding e contrattualizzazione digitale migliorano significativamente le valutazioni ESG in tutti e tre gli ambiti. In fin dei conti, è quasi una questione di fiducia. Dal nostro punto di vista, di fiducia digitale.
Danilo Cattaneo AD di InfoCert – Tinexta Group