L’impatto dell’intelligenza artificiale sulla cultura, la storia e la geopolitica potrebbe portare l’umanità verso una direzione pericolosa. L’allarme di Henry Kissinger, ex segretario di stato americano, Eric Schmidt, ex CEO di Google, e Daniel Huttenlocher, decano del MIT
Chi non conosce Henry Kissinger? In estrema sintesi, punto di riferimento per molti teorici delle relazioni internazionali, segretario di stato per Richard Nixon e Gerald Ford, premio Nobel per la pace. Io l’ho conosciuto soprattutto attraverso la sua opera “Diplomacy”, un libro di circa mille pagine che mi ha aiutato a comprendere il ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto nel corso della storia economica moderna grazie all’uso del “Soft Power”. E cosa c’entra con l’intelligenza artificiale?
A 98 anni, quello che è stato definito per anni uno degli uomini più influenti al mondo, ha cominciato a interessarsi proprio di intelligenza artificiale. Come? Scrivendo un libro insieme a Eric Schmidt, ex CEO di Google, e Daniel Huttenlocher, decano del Massachusetts Institute of Technology, dal titolo “The age of AI: and our human future”. Ma andiamo con ordine. Eric Schmidt nel 2016 invitò Kissinger a partecipare a una conferenza tenuta dal Bilderberg proprio sull’intelligenza artificiale. E da questa conferenza è venuta la volontà di valutare le potenziali implicazioni della rapida ascesa dell’intelligenza artificiale. Ovvero, una “rivoluzione negli affari umani”. Il libro sostiene che i processi di intelligenza artificiale sono diventati così potenti, una sorta di trasformazione epocale che potrebbe portare l’umanità verso una direzione pericolosa.
SOVRACCARICO DI INFORMAZIONI
In un bellissimo articolo del Time, Kissinger e Schmidt si raccontano. Quando Schmidt invitò Kissinger in Google, quest’ultimo voleva rifiutare perché, si legge, che non voleva che un’organizzazione avesse il monopolio sulle informazioni. “Ero dell’idea che fosse estremamente pericoloso delegare a un’azienda tutto quel potere. Questo era quello che pensavo in quel momento. E il motivo per cui Schmidt mi ha invitato a incontrare il suo gruppo che si occupava di algoritmi è stato per farmi capire che tutto questo non era arbitrario, ma aveva dietro di sé un pensiero e un’analisi”. L’intelligenza artificiale già nei giochi – come per esempio in quello degli scacchi – supera costantemente l’essere umano. E secondo Kissinger, se dovesse accadere anche in altri campi, il nostro mondo non sarebbe affatto preparato per questo. Opinione condivisa anche da Schmidt, secondo il quale “l’intelligenza artificiale porta una sorta di compressione del tempo. Siamo passati dalla capacità di leggere libri e raccontarli, a non avere più né il tempo di leggerli e neppure di discuterli. Questa accelerazione del tempo e delle informazioni supera davvero le capacità umane. Non credo che gli umani siano stati costruiti per questo. Fa scattare i livelli di cortisone, l’ormone dello stress. Quindi, è probabile che il sovraccarico di informazioni superi la nostra capacità di elaborare tutto ciò che sta accadendo”. E la sua risposta è che “dobbiamo concordare alcuni limiti, limiti reciproci, sulla velocità di esecuzione di questi sistemi, perché altrimenti potremmo trovarci in una situazione molto instabile”. Non solo. Schmidt si ritiene, altresì, responsabile di aver contribuito alla creazione di piattaforme “molto, molto veloci. E a volte, sono più veloci di quanto gli umani possano capire. Questo è un problema”.
Per evitare il punto di non ritorno, ovvero, la capacità degli algoritmi di sovrastare quelle che sono le regole degli umani, Kissinger propone una nuova filosofia. E non posso dargli tutti i torti, anche perché non credo che sia realizzabile una sorta di framework giuridico in grado di limitare gli algoritmi. Quindi, cosa propone? “Di avere un certo numero di piccoli gruppi che si facciano delle domande. Quando ero un giovane studente, le armi nucleari erano appena nate. E in quegli anni, diversi professori di Harvard, MIT e Caltech si incontravano quasi tutti i weekend, per farsi una domanda: Come affrontare questo pericolo? Così col tempo hanno cominciato a controllare gli armamenti.”
UN NUOVO FRAMEWORK PER L’AI
Secondo Schmidt, la situazione è più complessa rispetto al passato, perché è “improbabile che venga semplicemente regolato correttamente”. Quindi hai sì la necessità di costruirci su una filosofia, ma devi anche concepire un quadro filosofico. Nella mia esperienza scientifica, l’unico modo in cui ciò accade è quando metti insieme scienziati e politici. Nello stesso ambiente. Come accade nel mondo della biologia. Quest’anno, sono stato nuovamente invitato come speaker per la Future Investment Initiative in Arabia Saudita. Partecipando al panel sul futuro dell’intelligenza artificiale, la moderatrice Jane Witherspoon mi ha chiesto quale fosse la mia opinione sull’argomento. Come scienziato e considerato il mio ruolo, non vorrei essere limitato nel mio lavoro da strutture di controllo, policy maker o perfino da un CEO. Questo perché l’intelligenza artificiale esprime tutto il suo potenziale proprio grazie al fatto che viene lasciata libera. Semmai, proporrei a eventuali regolatori di creare un ponte tra il mondo degli scienziati e il resto del mondo, dirigenti delle multinazionali, e così via. Questo perché spesso gli uni e gli altri focalizzano ed estremizzano le loro visioni. Insieme, proprio come dicono Schmidt e Kissinger, possono mettere le basi per una nuova filosofia. Ma la filosofia non può essere imposta. Altrimenti che filosofia sarebbe? Deve partire dal basso ovvero da chi applica nella pratica l’intelligenza artificiale o la potenza del Quantum.
Riguardo il futuro dell’intelligenza artificiale, già nel mercato finanziario, gli algoritmi stanno sostituendo sia la figura del trader che dell’analista. Nel mio intervento, come speaker per la Future Investment Initiative, ho cercato soprattutto di spiegare come abbiamo costruito algoritmi che sostituiscono, almeno in parte, la figura del ricercatore scientifico, se si pensa al lavoro che viene fatto per analizzare una ricerca scientifica nelle aziende biotech. Può sembrare banale ma è come dire che gran parte del futuro è già presente. Tra passato e presente però ci stiamo dimenticando del futuro. Molti sono spaventati, altri sono indifferenti. Qualcuno continua a farsi delle domande, senza riuscire a trovare risposte certe. Io sono uno di quelli. Anche perché, non credo che possa esserci una vera e propria intelligenza se non replicando, almeno inizialmente, il nostro cervello. E attualmente, è un’utopia. Il futuro è tutto ancora da costruire. Del resto, è lo stesso Eric Schmidt a sostenere che “le probabilità che Google esista tra 50 anni non sono così alte, considerata la storia delle società americane”. E lui è cresciuto nell’industria tecnologica, che è una “versione semplificata dell’umanità”.