Roberto Burlo, general manager di GOSP: «Il primo cambiamento riguarda la cultura dell’organizzazione IT»
Il Gruppo Generali è costituito da compagnie che operano in tutto il mondo. Attualmente, l’Europa rappresenta il mercato di riferimento. Nel 2020, su un volume di premi lordi pari a circa 70 miliardi di euro, 60 provengono dal Vecchio Continente. Dal punto di vista IT – come ci spiega Roberto Burlo, general manager di Generali Operations Service Platform (GOSP) – «mentre gli applicativi sono gestiti localmente in ogni country, a partire dal 2014, l’infrastruttura, ossia service desk/workplace management, network e data center, è stata messa a fattor comune. Al momento, soltanto in Europa e per le geografie principali, ma con l’intenzione di estendere progressivamente il perimetro in modo da coprire tutto il Gruppo». Dopo aver ricoperto il ruolo di AD della società di infrastrutture dal 2017 a fine 2020, da inizio 2021 Roberto Burlo è direttore generale per le infrastrutture nella nuova joint venture GOSP, Generali Operations Service Platform, creata assieme ad Accenture. GOSP ha un ambito più ampio dei soli servizi infrastrutturali e ha l’obiettivo di accelerare la strategia di trasformazione digitale del Gruppo Generali.
«La mia prospettiva attuale è quindi una prospettiva “dal basso”, un “basso” che comunque funge ovviamente da “pilastro” per il Gruppo e che, come è tipico dell’IT, consente di vedere tutto il business in maniera trasversale». La strategia del Gruppo si basa sul concetto di essere “partner di vita”. Dal punto di vista di business – «significa essere in grado di seguire i clienti nelle diverse fasi della loro vita, comprendendone le esigenze, che cambiano a seconda dei momenti, e aiutandoli a trovare le soluzioni più idonee ad affrontare con serenità le diverse situazioni, anche impreviste, che si possono presentare lungo il percorso». Le implicazioni per il mondo IT sono molto significative. «Se voglio essere “partner di vita” di qualcuno – spiega Burlo – non posso prescindere dall’essere “sempre disponibile in caso di necessità” e ciò, nel mondo attuale, avviene attraverso touch points che si basano fondamentalmente sull’IT e, soprattutto, con aspettative dei clienti costantemente in crescita in termini di livello di servizio». D’altro canto – commenta Burlo – «se come cliente voglio accedere a un sito e non funziona, se non riesco a contattare un call center, se entro in agenzia e i sistemi non funzionano, posso veramente considerare il mio interlocutore un vero partner di vita?».
Il ruolo dell’architettura IT per garantire livelli di servizio in linea con le aspettative del cliente
Come spiega Burlo, le architetture IT a supporto di un‘assicurazione tradizionale, in essere fino a non molti anni fa, tralasciando le compagnie dirette, prevedevano un sistema di Agenzia su cui operava l’agente, da cui partivano poi periodiche alimentazioni batch ai sistemi direzionali. «L’esperienza del cliente era basata principalmente sull’interazione fisica con l’agente – continua Burlo – non necessariamente supportata da sistemi IT, a parte ovviamente nella fase di emissione della polizza. Effettuato il pagamento, in assenza di sinistri, il cliente rivedeva l’agente l’anno successivo. In un modello di questo tipo, è chiaro che il livello di Servizio IT non giocava poi un ruolo così fondamentale, se non in particolari periodi, tipicamente coincidenti con le chiusure. Le architetture attuali, pur essendosi portate su un modello “online” che evita la duplicazione dei dati tra centro e periferie, sono però ancora in larga parte frutto di una evoluzione dell’architettura precedente». In tutta Europa, la strategia “partner di vita” di Generali presenta, quindi, una prima sfida per l’IT: «Essere certi di poter garantire livelli di servizio in linea con le aspettative dei clienti, basandosi in buona parte ancora sui sistemi legacy che erano stati costruiti avendo in mente modalità di interazione con i clienti decisamente diverse. Sistemi che, in origine, non avevano spesso nemmeno l’anagrafe centralizzata, essendo strutturati per ramo di business e che erano sicuramente stati sviluppati senza stressare concetti quali user experience, customer centricity o human-centered design».
Se è vero che una soluzione a ciò sta nella “riscrittura” dei sistemi – spiega Burlo – è chiaro che questo richiede tempo e investimenti. Nel frattempo è necessario mettere in atto soluzioni che consentano il miglioramento del livello di servizio anche sull’architettura attuale. Questo passa per una vera “ossessione” per il cliente che deve permeare le Operations IT, in cui la proattività gioca un ruolo fondamentale, sia lato applicativo che lato infrastruttura tecnologica. I nuovi paradigmi, come AIOps, possono sicuramente consentire un salto di qualità in tal senso ma, al solito, il primo cambiamento riguarda la cultura dell’organizzazione IT». Per Roberto Burlo – l’attenzione estrema al livello di servizio è però solo una “conditio sine qua non”, assolutamente non sufficiente a supportare il ruolo di “partner di vita” a tutto tondo. «La trasformazione digitale deve correre velocemente in parallelo in modo da sviluppare quanto prima i nuovi servizi resi disponibili dalla tecnologia di oggi e che supportano la vera trasformazione del business assicurativo, andando a modificare in maniera rilevante la modalità di interazione con i clienti».
Com’è cambiata l’IT dentro le assicurazioni per muoversi nel mercato?
Roberto Burlo entra nella divisione IT di Generali il primo febbraio del 1993. In quasi trent’anni di storia del Gruppo, è testimone dell’evoluzione dell’IT sia per la componente infrastrutturale che per quella applicativa. «Quello che secondo me sta avvenendo, quando parliamo di trasformazione digitale per l’insurance, è veramente un cambiamento epocale, che rappresenta una vera opportunità per l’IT di giocare un ruolo molto diverso rispetto al passato. Quando sono entrato nel Gruppo, l’IT aveva principalmente la mission di automatizzare i processi aziendali e così è rimasto per lungo tempo, senza che l’IT fosse veramente percepito come “core” per il business, a parte qualche ambito più specifico, come per esempio, il business diretto. Il famoso articolo apparso nel 2003 su Harvard Business Review, intitolato “IT doesn’t matter” ben rappresenta questa situazione dell’IT, ridotta – non solo nell’Insurance – un po’ al ruolo di “commodity”, sulla quale si doveva puntare principalmente all’efficienza».
Oggi – come spiega Roberto Burlo – ci troviamo di fronte a opportunità offerte dalla tecnologia, che consentono di offrire ai clienti assicurativi servizi un tempo impensabili. E che diventano essenziali proprio nell’ottica della mission “partner di vita“. «Intelligenza artificiale, Big Data e analytics, cloud, API, microservizi, blockchain, IoT. Sono tutte tecnologie che sono già entrate nel mondo assicurativo e assumeranno via via sempre più rilevanza, impattando prodotti, processi distributivi e servizi verso i clienti. Pensiamo al mondo Health, dove – attraverso app e dispositivi – è possibile monitorare qualità del sonno, nutrizione, esercizio fisico e quindi proporre piani assicurativi vita e salute non solo “passivi”, ma in grado di migliorare lo stile di vita dei clienti nel comune interesse di prevenire i sinistri. Dal punto di vista IT, questo significa predisporre piattaforme capaci di monitorare le attività raccogliendo i dati e trasformandoli in incentivi a una vita sana, consentendo peraltro in tal modo al settore assicurativo di accrescere anche il proprio impatto sociale su questo fronte. Se poi passiamo alla protezione delle nostre abitazioni, grazie agli oggetti connessi, capiamo come la casa diventi un generatore di flussi di dati utilizzabili per offrire ai clienti servizi personalizzati coerenti con il loro stile di vita, supportandoli nella gestione della casa stessa e, anche in questo caso, consentendo proattività nei confronti dei possibili rischi. Per non parlare infine della parte Auto, dove la ben nota “black-box” consente una valutazione del comportamento di guida e consigli che conferiscono al cliente un ruolo attivo nella prevenzione del sinistro».
In estrema sintesi – continua Roberto Burlo – grazie alla tecnologia, i nuovi flussi di dati e le nuove capacità di analisi rendono possibili nuovi servizi che vanno a modificare la tradizionale base di garanzie e servizi assicurativi generando ecosistemi. «Questi nuovi servizi arricchiscono in modo inimmaginabile fino a pochi anni fa la relazione con il cliente e vanno a sostanziare in maniera sempre più forte il concetto di “partner di vita”. Se pensiamo quindi all’articolo del 2003 di HBR, possiamo dire che, anche per il business assicurativo, siamo di fronte a una netta inversione di tendenza in cui diventa sempre più vero quanto affermato già un paio di anni fa dal CEO di Microsoft Satya Nadella “Every company is now a software company”. E questo, per chi è appassionato di IT, offre quindi opportunità incredibili anche nel mondo assicurativo che diventa oggi un posto dove accadono – e accadranno – cose veramente molto interessanti dal punto di vista tecnico, forse sorprendentemente anche di più rispetto ad altri business tradizionalmente basati sull’IT».
Leve e ostacoli da rimuovere per favorire il cambiamento?
«Per quanto riguarda la componente IT – risponde Roberto Burlo – si tratta di un mondo nuovo che, come accade in tutte le grosse trasformazioni, non è ancora chiaramente definito, ma si costruirà progressivamente nel corso dei prossimi anni, con una velocità però molto maggiore rispetto a quello che ha contraddistinto altre trasformazioni, anche perché su questo fronte sappiamo che l’Insurance è in ritardo rispetto ad altri business. Il “nuovo” si dovrà forzatamente innescare sul “vecchio” e quindi la capacità di disegnare architetture idonee che consentano di muoversi rapidamente verso il nuovo richiede competenze non così facili da trovare o costruire».
Se da un lato è complicato reclutare i nuovi talenti IT, indispensabili per sviluppare i nuovi servizi – mette in evidenza Roberto Burlo – dall’altro è altrettanto fondamentale dotarsi della capacità di evolvere e rimpiazzare il mondo legacy senza creare disservizi sul business bensì, accelerando al massimo la velocità di trasformazione. «E su questo fronte non ci sono ricette magiche. In particolare per chi già opera da tanti anni in azienda. L’unico modo è essere disponibili a imparare continuamente. È inimmaginabile infatti pensare di poter affrontare una fase come questa senza le competenze indispensabili per comprendere i nuovi trend ed essere così in grado di definire come innestarli rapidamente nella realtà esistente. Si tratta, in poche parole, di riuscire a costruire un mindset “Insurtech” e integrarlo con quello tipico dell‘incumbent, o forse, usarlo per rimpiazzare quello esistente, almeno a un certo punto».
Anche il modello organizzativo può ovviamente fare la sua parte nell’agevolare la trasformazione, essendo necessario trovare modalità di lavoro flessibili e centrate sull’innovazione, e questo non solo lato IT, ma congiuntamente con il business. «Indubbiamente, servono anche capacità di investimento, magari facilitate da qualche incentivo che tenga conto dell’importanza dell’evoluzione dell’industria assicurativa, pena il rischio di dover magari cedere il passo ad altre realtà provenienti da altri paesi».
Ma al di là di tutto, almeno guardando all’IT, la differenza continua a farla la componente umana con la sua cultura: «Servono persone innamorate dell’IT, disposte a lavorare sodo per un cambiamento probabilmente epocale di un business che, stavolta, ha veramente bisogno dell’IT per mettere in pratica quella trasformazione digitale che è ormai imprescindibile per il suo futuro».