Paolo Costa ci racconta come prendere decisioni informate sia un processo complesso e in continuo divenire
In passato si è parlato spesso delle tecnologie a supporto delle decisioni. Con il passare del tempo, è divenuto sempre più chiaro che, quello del decision making, è un problema di natura organizzativa. Il flusso che vi è alla base va curato con attenzione, sia perché include l’intervento umano e quello di automatismi, sia perché si trova ad affrontare sfide nuove.
Sappiamo bene quanto oggi sia complesso formulare decisioni attendibili per il futuro. Il motivo è che molti modelli che una volta ‘funzionavano’ bene, non sono facilmente applicabili nell’era moderna. Rifarsi alla storicità dei processi, come le vendite del magazzino, per programmare le scorte, non può essere un metodo valido quando anche la pandemia ci ha insegnato che basta poco per stravolgere i piani delle multinazionali. Le cosiddette ‘serie storiche’, inserite in un contesto di cambiamenti repentini, assumono un significato diverso se, come ci spiega Paolo Costa, socio fondatore e direttore marketing di Spindox, si passa a considerare le settimane invece dei mesi, tramite un approccio più versatile di un tempo.
«La decision intelligence non è un prodotto ma una pratica, a supporto del decision making. Un processo che presuppone vi sia un flusso, nel quale sono coinvolti tanti attori» sottolinea Costa. «Questo flusso va ‘disegnato’ per bene, in modo che assuma contorni trasparenti ma robusti nei suoi modelli, cosicché restino validi per tanti risvolti aziendali». Non per ultimo, il decision making deve portare a risultati facilmente comprensibili. «Spesso utilizziamo strumenti a supporto delle decisioni che leggono i dati e li interpretano ma con un risultato, per chi li guarda, oscuro». Nell’accezione di Costa, se il fine ultimo è quello di semplificare le azioni di business, alla base del processo decisionale devono esservi informazioni chiare, che tutti possono seguire.
Gli ottimizzatori
Considerando questi spunti, la società di servizi Spindox ha ragionato sulla necessità di mettere a disposizione del decision making strumenti analitici che potessero essere combinati con modelli adattabili, per supportare, di volta in volta, uno specifico decision flow. E le premesse sono finite in Ublique. La suite rientra nel campo dei prodotti di “decision intelligence”, piattaforme che, attraverso modelli analitici, riescono a ottimizzare, predire e simulare attività utili a ridurre la complessità. «Questi modelli, nella nostra mente, dovevano essere multipli, intercambiabili, validi nella loro essenza. Ecco allora gli ottimizzatori, algoritmi matematici che individuano la soluzione migliore di un problema. Quest’ultimo viene declinato come quesito matematico, in modo che l’algoritmo lo ‘risolva’». Spindox ha dei moduli, nella sua piattaforma, che lavorano proprio per ottimizzare vari scenari, dal percorso delle flotte di vettori o navi di compagnie di shipping, alle scorte di magazzino.
Nella suite di Ublique rientrano anche modelli di analisi predittiva basati su tecniche di intelligenza artificiale. «Abbiamo integrato la parte di ottimizzazione con quella di AI, che è basata interamente sul machine learning» continua Costa. «In più, siamo arrivati a inserire anche modelli per simulazioni, così da permettere a chi fa del decision making di provare diversi scenari, prima di raggiungere la decisione». L’approccio della società è quasi da ‘lego’: i moduli sono componenti che ogni cliente può assemblare e mettere assieme, a seconda dei bisogni di business.
Una parte determinante di Ublique è il motore di orchestrazione dei dati, che è in grado di trattare una vasta mole di informazioni in tempo reale. «Lo abbiamo realizzato pensando a situazioni estreme. Ad esempio, nella telemetria in real time in ambito Formula 1. Si tratta di un contesto in cui il ‘dato’ assume una valenza fondamentale per studiare parametri, migliorare le prestazioni e costruire le basi per il futuro delle auto.
Enormi possibilità insomma, senza che la piattaforma assuma i contorni di standardizzazione estrema, se intesa come incapacità di adattarsi a esigenze peculiari. «Per disegnare la soluzione giusta per il cliente, non solo dobbiamo capire il suoi bisogni ma anche comprendere i percorsi che i processi decisionali della sua azienda intraprendono. Non di rado, le aziende non sono nemmeno informate su come vengono prese decisioni all’interno, e questo è un punto cardine di partenza proprio per la premessa: il decision making non è un prodotto, qualcosa che puoi vendere e che il cliente può installare ma una pratica, che può essere migliorata con le tecnologie odierne, automatizzata in certi elementi e resta più performante di quanto non sia». Del resto, il concetto stesso che sembra molto etereo, in realtà, porta a risultati concreti. «Proprio così» conclude il manager. «Prendere decisioni migliori vuol dire ridurre i costi, incrementare la marginalità dei ricavi, far crescere l’azienda. L’indice prestazione è tangibile e subito analizzabile». Una conseguenza diretta del mettere in atto un nuovo modo di organizzare l’impresa, che non ha paura di affrontare, ogni giorno, nuove sfide.