C’è un filone tecnologico-monetario che sembra destinato a svilupparsi lungo un binario parallelo al progetto Next Generation EU e ai relativi piani nazionali di ripresa e resilienza, con effetti molto imponenti sui cittadini-consumatori europei. Ovvero sugli attori – tra le altre cose – di un mercato che conta 300 miliardi di pagamenti al dettaglio effettuati ogni anno nell’area dell’euro. E con conseguenze di lungo termine sul futuro di uno strumento “antico” – il denaro – che la tecnologia non è ancora riuscita a trasformare radicalmente.
In un post pubblicato lo scorso 14 luglio sul blog della BCE, Fabio Panetta, membro italiano del board esecutivo dell’Istituto centrale, delinea il percorso verso l’euro digitale, avviato già nell’ottobre del 2020 con due tappe di riscaldamento, un report e una pubblica consultazione. Questo cammino terrà impegnato l’Istituto centrale per non meno di altri cinque anni. Tra impostazione e implementazione tecnica, secondo Panetta, ci vorranno altri cinque anni. A quel punto, la futura “CBDC” – Central Bank Digital Currency – potrebbe essere una tessera non trascurabile, insieme a quelle che riguardano l’economia o l’ambiente, della visione di un’Europa più forte ed efficiente che i leader e molti cittadini dell’Unione sognano dopo i duri colpi della Brexit e della pandemia.
L’euro digitale si inserisce in un quadro ancora più globale in cui governi e autorità regolatorie stanno cercando di fare i conti con il fenomeno delle criptovalute, che invece di cambiare il denaro (magari col rischio di mandare in pensione forzata l’industria bancaria), ha reso ancora più volatile, complesso e pericoloso il mondo degli strumenti finanziari, allontanandolo ulteriormente da quello dell’economia reale.
Bitcoin and company, che proprio in questi mesi hanno raggiunto inattese vette di valore di mercato, sono ampiamente sottoutilizzati quando si tratta di acquistare beni e servizi legittimi. Non hanno fatto granché per ovviare ai costi e ai limiti dei conti correnti in banca, imponendo anzi un poderoso costo ambientale. Mentre la tecnologia che sottende alle criptovalute, per quanto interessante e ricca di potenziale non riesce proprio a tradursi in un’offerta di applicazioni su larga scala.
Viceversa, un concreto coinvolgimento dei governi e delle banche centrali nelle CBDC, in vere e proprie valute digitali, potrebbe dare un contributo molto significativo a livello di pagamenti (e micropagamenti), restituendo al concetto di e-money l’autorevolezza e la stabilità perdute sull’ottovolante delle cripto.
Su quali leve dovranno agire le autorità europee intenzionate a digitalizzare l’euro? Un punto da salvaguardare è il ruolo di intermediazione delle banche che portano il denaro sul mercato degli individui e delle imprese. Occorre in pratica reinventare una relazione che sta cambiando ma non è ancora del tutto libera da problematiche legate al tradizionale concetto di moneta fisica.
Un altro aspetto fondamentale riguarda la privacy delle persone e delle imprese, che certo non sono disposte a rinunciare ai principi di anonimato e impossibilità di tracciamento che una valuta digitale potrebbe vanificare del tutto. E infine, c’è il problema di quella “libertà di invenzione” che bitcoin ci ha insegnato ad apprezzare in un comparto storicamente tra i più ingessati e controllati. In questo senso, bisogna evitare il rischio che l’euro digitale si trasformi in un freno ideologico e tecnologico, che in nome di una ritrovata solidità valutaria metta scienziati, sviluppatori e imprenditori in una sorta di asfittica libertà vigilata. Piuttosto, meglio tenersi tutti i rischi delle cripto.