Retail evolution. Benvenuti nel negozio phygital

Meta sviluppa un’AI in grado di rilevare oggetti mai visti prima

La risposta dei retailer ai vincoli fisici imposti dalla gestione della pandemia è stata una raffica di iniziative legate ai touchpoint virtuali. Tuttavia, bisogna ancora colmare il vuoto organizzativo e di processo creato dalla forzata iniezione di tecnologie che da sole non sono risolutive

Guarda la registrazione della tavola rotonda

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Data Manager torna a discutere sul tema del commercio al dettaglio senza che siano trascorsi più di nove mesi dall’ultimo incontro organizzato – eccezionalmente, potremmo dire – in presenza. In quella occasione, a fine settembre 2020, avevamo dedicato un primo momento di riflessione all’impatto che il primo semestre di emergenza sanitaria aveva avuto sulla quotidianità di un settore in forte e costante evoluzione tecnologica. L’incontro ancora precedente, risalente all’autunno del 2019, aveva affrontato la questione della digitalizzazione del punto vendita fisico, in un contesto che avevamo chiamato di “hyper-commerce”: un grande mosaico di contaminazione all’insegna del phygital, con il digitale che invadeva i tradizionali spazi di incontro tra domanda e offerta e l’e-commerce che faceva propri meccanismi di relazione finora riservati al mondo fisico. L’arrivo della seconda fase di recrudescenza della pandemia ha di fatto prolungato e per certi versi inasprito un periodo di adeguamento che ha visto impegnate al massimo le forze degli operatori sui versanti della logistica; della complessa gestione di punti vendita ancora sottoposti a strette regole di accessibilità e distanziamento dei flussi di acquirenti; della saturazione dei canali di e-commerce condivisi; e di un corrispondente rafforzamento della relazione diretta con la clientela.

ESPERIENZE, SUCCESSI, CRITICITÀ

La differenza rispetto ad allora è il clima di attesa che si è creato intorno a piani di rilancio dell’economia che sono già stati definiti anche se più dal punto di vista della pianificazione che sul piano esecutivo. In questa chiave è stata pensata l’impostazione di un evento che cerca quindi di esplorare il futuro prossimo della trasformazione digitale nel retail. Ancora una volta, la discussione si articola in due momenti. Nel primo giro di interventi, sono stati affrontati le esperienze, i successi, le aree di criticità vissute dai retailer proprio in termini di adeguamento della loro operatività nei dodici mesi dell’emergenza e nel duplice alternarsi di periodi di lockdown e parziale riapertura. Particolare attenzione è stata data agli aspetti delle strategie combinate su canali fisici e digitali, sulla logistica dei beni fisici, sulla sicurezza delle persone e sulla progettualità in ambito analitico.

Nella seconda parte della discussione, gli esperti hanno cercato di affrontare la pianificazione del “dopo”, anche in funzione della “lezione” appresa nel corso dell’ultimo anno. Ai partecipanti, è stato chiesto di formulare le loro ipotesi sulla possibile evoluzione dell’ecosistema del commercio e su quali elementi distintivi dell’attuale fase di adattamento verranno mantenuti o esaltati in futuro, anche in considerazione dei cambiamenti di stile di vita e di consumo nelle persone. Il dibattito ha affrontato anche la questione delle politiche di incentivazione da adottare e delle leve tecnologiche sulle quali agire, anche in collaborazione con i provider e i consulenti specializzati, per assicurare percorsi di uscita sostenibili ma positivi da questo lungo momento di riscrittura della normalità.

Miroglio – come sottolinea il CIO Francesco Cavarero – è un gruppo tessile con una forte vocazione distributiva, che controlla una grande varietà di brand per diverse tipologie di donna e che attraverso una narrazione stilistica legata a specifiche reti di negozi fisici in Italia e Europa e con shop digitali assicura a ciascuna insegna un percorso dal fisico al multicanale. «Siamo arrivati alle soglie del 2020 con un grado di maturità tra i vari canali molto elevata per il mercato italiano» – afferma Cavarero. «Da anni, lavoriamo su questi aspetti». Gli avvenimenti a partire dal febbraio 2020 hanno determinato due grandi problemi per Miroglio: l’impossibilità di vendere in negozio e la mancanza del contatto fisico nel punto come occasione di dialogo con le clienti. «Dopo giorni di vero smarrimento – racconta oggi Cavarero – dai nostri ragionamenti sono scaturite diverse azioni».

IBRIDAZIONE DEI CANALI DI VENDITA

«Una parte delle attività di vendita sono state spostate sui canali digitali, senza che questo impedisse di continuare a usare anche il canale fisico per vendere e per continuare la conversazione». In questo – osserva il CIO di Miroglio – la forte fidelizzazione di una base costituita da milioni di acquirenti abituali è stato un elemento facilitatore. «Sul canale più colpito siamo partiti mettendo in grado ogni negozio di comunicare direttamente con i client attraverso Whatsapp, uno strumento che da episodico è diventato strutturato» – spiega Cavarero. «Miroglio ha aperto la possibilità di comprare da remoto con sessioni in chat, visionando sullo schermo i capi selezionati. Abbiamo portato dentro il fisico le normali dinamiche del digitale, con una forte ibridazione di canali».

Incroci – ribadisce Cavarero – che non sono poi così banali da gestire, perché le persone che acquistano online o in negozio non sono sempre le stesse: i comportamenti sono molto più complessi. «Altri esempi di ibridazione riguardano l’opportunità di contattare in tempo reale dalle pagine del sito Web uno specifico negozio fisico in grado di agire da consulente all’acquisto. Un modo non facile da organizzare per far leva sul fisico per potenziare il digitale». Concludendo il suo primo intervento, il responsabile IT di Miroglio cita il ruolo avuto dai social network e dalle nuove formule di vendita “in streaming”, che consentono di imbastire nuovi tipi di narrazione rivolta alla clientela online. «L’insieme di queste azioni forse non ha risolto del tutto il problema del calo generalizzato dei fatturati, ma ci ha fatto scoprire tanti modi diversi di fare le cose. Una grande sperimentazione di skill anche comunicativi». Jarno Barni, head of e-Commerce di Grohe individua subito i due aspetti che hanno condizionato in positivo un periodo di grande stress per il produttore di rubinetterie e accessori. Oltre a disporre di prodotti in linea con l’attuale propensione all’igiene personale, Grohe è in grado di offrire una nuova generazione di rubinetti dotati di sensoristica touchless. «La richiesta in questo ambito è triplicata» – sottolinea Barni, ricordando la fase di lockdown che ha potuto godere di qualche deroga in più rispetto ad altri settori, ma che è stata comunque molto difficile. Certi prodotti sono stati oggetto di forte interesse e Grohe ha faticato a sostenere la domanda». Anche in altre aree dei complementi d’arredo – aggiunge Barni – l’azienda può venire incontro alle esigenze di chi vuole apportare qualche miglioria alla propria abitazione e questo ha dato una spinta alle vendite. «Il nostro target principale rimane quello degli installatori, ma oggi abbiamo una nuova base di clienti vicina al trend del fai-da-te, interessata a soluzioni da professionisti, ma più facili da installare. Il canale più indicato è costituito dai punti vendita della GDO, dove l’acquirente può trovare personale specializzato in grado di dare molti consigli e in questo senso proprio Leroy Merlin ci ha aiutato a costruire la nostra presenza in quest’ambito».

ASSALTO ALLO SCAFFALE E AL RACK

Sui canali e-commerce, Grohe ha mantenuto buoni livelli di sell-out, malgrado le difficoltà logistiche dovute a partner costretti a dare priorità ai veri beni di prima necessità. «Gli acquirenti hanno continuato a cercare i nostri prodotti anche online – continua Barni – mentre una parte delle attività fisiche a sostegno degli installatori, come gli eventi, le fiere, i momenti dedicati ai vari settori, è stata dirottata sui canali digitali, con iniziative che ci hanno consentito di mantenere una relazione di prossimità».

Commentando i momenti di autentica frenesia che hanno caratterizzato i progetti di e-commerce soprattutto nel primo periodo di lockdown, Dionigi Faccenda, partner program manager di OVHcloud in Italia traccia un parallelo con gli scaffali di generi alimentari presi d’assalto nei supermercati. Anche i rack dei data center OVHcloud sono stati presi d’assalto da aziende costrette ad attivare in tutta fretta strategie di vendita alternative e varie misure di potenziamento. «Abbiamo avuto un vero e proprio picco di richieste che abbiamo potuto fronteggiare grazie al nostro modello di provisioning» – spiega Faccenda. «Un cliente mi ha confidato che sui propri siti di e-commerce in due mesi si è consumato il lavoro svolto nei tre anni precedenti». Secondo Faccenda, la situazione di crisi ha impresso una grande accelerazione a tutte le attività rivolte alla messa in cloud di infrastrutture e servizi e molti acquisti oggi vengono effettuati online anche verso insegne che in precedenza non disponevano neppure di un canale di e-commerce. «Stiamo continuando a servire clienti ovunque in Europa per essere presenti in un mercato che apprezza sempre più le possibilità di prova, resa e consiglio sulla merce da acquistare legati al commercio phygital».

Forse, non suona bene dirlo – come afferma Fabio Lalli, chief business & innovation officer di IQUII e autore di testi sull’e-commerce e il marketing digitale – «ma il Covid ha determinato questa corsa alla digitalizzazione». Il tema centrale di questa vicenda – secondo l’esperto – è che il trauma della pandemia ha toccato in profondità le esperienze di tutti, determinando nuove necessità e aspettative. «Pagamenti e consegne digitali, ricerca di informazioni, aumento del numero di abbonamenti a servizi che in passato erano utilizzati da pochi. La situazione ha messo in crisi molte relazioni B2B. Tutto è stato messo in discussione» – rileva Lalli. I nuovi comportamenti del cliente finale hanno spinto a riprogettare interi modelli di servizio e oggi stiamo affrontando la seconda ondata di questa trasformazione. «Alla fine – si chiede Lalli – ci sarà un effetto-sfogo, un ritorno allo shopping compulsivo fuori casa? Per me, non è affatto scontato, con il lockdown c’è stato un effetto capanna che ci ha reso più timorosi e pigri. I comportamenti d’acquisto sono mutati proprio nell’ottica del commercio phygital. L’integrazione tra i vari modelli di servizio ci porterà a progettare cose nuove».

Leggi anche:  L’evoluzione dell’ERP e il potere dell’AI

EFFETTO CAPANNA

«L’effetto capanna c’è stato, ed è stato travolgente per tutto il sistema della grande distribuzione» – afferma Alice Morrone, fino a luglio scorso, chief innovation officer di Leroy Merlin in Italia. «Tutti si sono dedicati all’abbellimento e alla ristrutturazione delle loro case – osserva Alice Morrone – e in alcuni momenti i nostri punti vendita sono stati “invasi” di ordini e clienti. Leroy Merlin non è certo un’esordiente nella multicanalità, ma non è stato facile gestire questa mole di lavoro, tanto più in presenza di regolamenti che non consentivano di vendere prodotti del tutto simili ad altri (dal punto di vista dei clienti), o meglio non consentivano di prenderli fisicamente, ma consentivano di acquistarli on line con ritiro in negozio». In questa circostanza, la responsabile dell’innovazione di Leroy Merlin riferisce che un tassello cruciale per la gestione della situazione è stata la rapidità nel fare change management. Una parte del lavoro ha riguardato la formazione costante degli addetti che dovevano affrontare le domande e le proteste della clientela. «Verso la fine dell’anno scorso, ad esempio, l’intero sistema dei trasportatori ha faticato a sostenere la richiesta. Il peso maggiore di questo impasse è caduto sulle spalle dei servizi di vendita e post vendita dei retailer, proprio mentre erano alle prese con il supporto all’acquisto on line di tutti quei nuovi clienti solitamente abituati ai canali d’acquisto tradizionali».
Va inoltre considerato che nell’ambito del bricolage, ma non solo, non sempre il cliente sa esattamente che cosa comprare – continua Alice Morrone. Pensiamo alla giusta rondella o al giusto tassello. In negozio può rivolgersi a un consigliere di vendita, on line c’è un supporto live ma non tutti decidono di usarlo o sanno usarlo. Se chi compra on line è alle prime armi, come tanti nel periodo della pandemia, rischia di acquistare senza magari accorgersi che dello stesso prodotto ci sono cinque dimensioni diverse. E questo incrementa inevitabilmente il tasso di reso. Un reso da gestire quasi sempre in negozio, dove il cliente si sente più sicuro di operare la giusta sostituzione. Per questa ragione e per altre più evidenti, come evitare assembramenti, abbiamo lavorato tanto per distribuire e gestire meglio i flussi di attesa. «Abbiamo introdotto e dovuto testare rapidamente tanta tecnologia, ora è tempo di rivedere i processi sottostanti. In ultima analisi questa è la vera sfida che abbiamo tutti di fronte: ridisegnare i processi, rendere più fluide e integrate le componenti tecnologiche che abbiamo introdotto durante il periodo della pandemia».

TECNOLOGIA PIÙ FLUIDA

Troppa tecnologia può quindi avere effetti collaterali negativi? Per Elisabetta Rigobello, responsabile marketing di Di.Tech, sviluppatore di soluzioni retail rivolte in particolare al comparto food, l’aspetto tecnologico è fondamentale ma non è l’unico. «Da sempre, prima e dopo il Covid, l’innovazione proposta da Di.Tech poggia su due pilastri: i processi e la data strategy. La tecnologia deve essere a supporto». Non a caso, a parte le primissime risposte di emergenza dovute alla pandemia, tutte le altre azioni intraprese dalla GDO sono in linea con i percorsi di trasformazione digitale che la maggior parte delle aziende aveva già avviato, cambiamenti nella gestione dei principali processi caratteristici. «Alcune aziende retail, quelle più strutturate, hanno portato avanti i loro piani di investimento in digitalizzazione, anche durante il periodo pandemico, accelerando e rivedendo le priorità per andare incontro alle richieste del mercato, come ad esempio sviluppare il canale della vendita online, rivedere l’interazione con il consumatore e adeguare i flussi logistici sempre più tesi per le consegne a domicilio» – spiega Elisabetta Rigobello. «Nelle realtà più piccole o comunque meno strutturate, la pandemia ha comunque reso possibile realizzare progetti in linea con quelli delle grandi aziende, con strumenti meno sofisticati, partendo dagli ordini via WhatsApp e magari usufruendo di servizi in outsourcing per gestire servizi e-commerce veri e propri. Oggi, a distanza di un anno e mezzo, è tornata prevalente la focalizzazione sulla data strategy dell’impresa, perché la conoscenza approfondita dei dati diventa la leva fondamentale per prendere decisioni e modificare la strategia velocemente, per superare la concorrenza e adattarsi ai cambiamenti del mercato. In questo caso la tecnologia è davvero fondamentale. Gli strumenti di intelligenza artificiale e machine learning consentono analisi statistiche e predittive e sono il valore aggiunto per qualunque operatore sul mercato. Tanti progetti stanno finalmente trovando una nuova dimensione, nella gestione della relazione con il consumatore, nelle politiche promozionali, ma anche nella gestione del pricing.

Pensiamo ad esempio all’introduzione delle etichette elettroniche nei punti vendita in questo nuovo contesto, che abilitano all’utilizzo di un pricing dinamico e ottimizzato» – conclude la responsabile marketing di Di.Tech. «L’emergenza ci ha dato però un vantaggio: da anni ci chiedevamo che forma dovesse avere il punto vendita del futuro fisico/digitale, temporary store, veloce, esperienziale. Oggi, abbiamo una risposta. Il punto vendita deve essere phygital e il compito sfidante del retailer è riempirlo di contenuti coerenti, venendo incontro al nuovo “consumatore consapevole”, che pur acquistando sia sul fisico che sull’online, pretende di avere una analoga esperienza di acquisto personalizzata». Di sicuro, la solidità e la professionalità dimostrata da tutta la GDO, in prima linea nei primissimi mesi di lockdown e la sostanziale tenuta del sistema di vendita e acquisto di beni di prima necessità, hanno probabilmente fatto la differenza tra il panico generalizzato del periodo e una quotidianità piena di vincoli e divieti ma tutto sommato vivibile. Lo sottolinea Elisabetta Rigobello di Di.Tech alla fine del suo intervento e lo conferma il racconto di Pasquale Testa, CIO della catena campana dei supermercati Sole 365, un altro felice esempio di trasformazione possibile. «Ovunque i supermercati sono stati presi d’assalto» – riconosce Testa. «Proprio a gennaio 2020, avevamo lanciato il nostro servizio di preparazione della spesa, che è letteralmente esploso nei primi giorni di lockdown. Anche noi in effetti abbiamo vissuto difficoltà a livello di infrastruttura e dovrebbe farci riflettere il fatto che alcune sedi hanno faticato a far fronte all’aumento dei flussi di dati per i limiti delle reti di telecomunicazione locali».

Leggi anche:  SCM Group centralizza l’architettura IT con Aruba Enterprise

SERENITÀ PER CHI ACQUISTA

Abituato da diversi anni a gestire la richiesta di smart working dei collaboratori di Sole 365, Pasquale Testa non ha avuto problemi a remotizzare in pochi giorni il grosso delle attività del gruppo. «Subito ci siamo concentrati su come facilitare la vita dei clienti che avevano paura delle lunghe code in attesa. Il nostro primo obiettivo era dare serenità nell’approvvigionamento di necessità così primarie. Ricordo, quando ero uno dei pochi autorizzati a entrare fisicamente nei punti vendita per gestire i server on premises, che il lievito per il pane era diventato l’oro del momento». In mezzo a tante preoccupazioni, Sole 365 ha deciso di accelerare i suoi piani di e-commerce, attivando il servizio su tutti i comuni del napoletano, scalando la stessa piattaforma per abbracciare subito dopo anche la provincia di Salerno. «Abbiamo cercato di sfruttare ogni canale possibile, incluse le consegne con Glovo, proprio per dare l’opportunità di scegliere la modalità preferita. Il Covid ci ha fatto capire che l’IT poteva essere una preziosa leva aggiuntiva e sono molto d’accordo con Elisabetta Rigobello di Di.Tech. Il futuro è phygital e anche i clienti meno avvezzi all’uso della tecnologia hanno accettato dispositivi per loro completamente nuovi. Il pagamento con carta di credito è arrivato a coprire il 50% degli ordini, tanto da indurci ad attivare nuovi sistemi. La percentuale di ordini online è aumentata di dieci volte rispetto al pre-Covid e continua a essere stabile» – conclude il CIO di Sole 365.

L’esperienza vissuta da Enrico Santarelli, chief marketing officer & commercial director Italy di Clementoni offre lo spunto per diverse considerazioni di natura sociologica, nel contesto di un insieme di prodotti ludici dove la componente fisica è ancora importante, ma le cui decisioni di acquisto rientrano perfettamente nello stesso ambito di multicanalità ormai predominante quando si parla di retail. «Clementoni è una manifattura di creatività» – spiega Santarelli. «Come azienda tipicamente B2B2C, abbiamo visto ripercussioni della crisi sia sul lato del trade sia sul consumatore finale. Se la pandemia ha accelerato molti trend in atto, il famoso effetto capanna ha portato a una riscoperta della socialità casalinga e al ribilanciamento tra gioco digitale e gioco analogico, con il puzzle che ha rivissuto momenti di grande splendore». Per Clementoni, si tratta dunque non solo di reinventare e reindirizzare le linee dei giochi e il loro sviluppo, ma anche di ripensare le modalità di dialogo con il mercato. Come molte altre aziende, anche Clementoni ha potenziato la propria strategia digitale diretta, attivando un e-shop.

In parallelo, è stata affrontata la questione della relazione con il canale indiretto per superare, attraverso il lancio di nuovi eventi virtuali, i limiti posti ai tradizionali momenti di scambio nello spazio fisico. «Proprio perché dobbiamo seguire entrambi gli aspetti – riconosce Santarelli – oggi, auspichiamo un generale miglioramento della customer experience in tutti i singoli touch point, rivalutando i punti vendita con un nostro maggiore coinvolgimento». Il marketing di Clementoni ha sviluppato per i negozi una serie di iniziative congiunte rivolte alle famiglie che acquistano i suoi giochi in modo tradizionale, ma senza rinunciare alle opportunità del canale online. Al di là delle considerazioni di natura più quantitativa sui volumi e le modalità di vendita, Clementoni oggi deve considerare gli aspetti che sono diventati importanti per i “nuovi” genitori. «Acquirenti che appartengono alla generazione dei Millennials e che sono molto più selettivi e attenti alle promesse del brand e al concetto di community da costruire intorno al gioco, anche con la partecipazione di esperti in grado di indirizzare gli utenti verso i nuovi sviluppi della ludicità».

RIVOLUZIONE ED EVOLUZIONE

Gli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi diciotto mesi, come ha ricordato Lorenzo Trucco, EU Sales director di ToolsGroup alla conclusione del primo giro di interventi, dimostrano che alcune delle attività discusse in questa sede avrebbero potuto essere pianificate in anticipo. «Forse, lo slogan Be ready for anything che ToolsGroup ha lanciato poco prima della pandemia ha portato sfortuna, ma il nostro obiettivo è rivedere i processi di supply chain e le modalità di pilotare la domanda, seguendo le tendenze di cambiamento che abbiamo rilevato in diversi settori coperti da una tecnologia molto orizzontale». Quali sono questi trend? «I retailer – risponde Trucco – devono essere pronti a pianificare in modo sempre più flessibile, potenziando la gestione delle scorte per essere in grado di servire il cliente con un grado di affidabilità elevato anche a fronte di picchi inaspettati della domanda.

Quando l’epidemia è entrata nella sua fase conclamata – prosegue Trucco – gli esperti di ToolsGroup hanno misurato le risposte più diverse tra i clienti. Chi si approvvigionava in Cina e cominciava a sperimentare i primi ritardi nelle consegne ha cercato di identificare alternative più accessibili. Poi le difficoltà si sono generalizzate, e tutti i settori e le tipologie di punti vendita sono stati coinvolti. Nel mondo fashion, per esempio, c’è chi ha vissuto azzeramenti totali della richiesta e improvvisi riversamenti sui canali di e-commerce. Abbiamo visto come, a seconda del grado di maturità a livello di sales & operations planning, alcuni fossero più pronti a reagire rispetto ad altri. Adesso – conclude Trucco – si tratta di vedere la risposta nella seconda fase della crisi, con un problema non trascurabile in sottofondo: le curve della domanda nel periodo 2019-2021 difficilmente possono servire come precedente nel forecasting dei trend attuali». Se queste sono le esperienze condivise nel passato recente, che cosa si può dire sulle lezioni che abbiamo imparato e sul miglior modo per uscire da questa fase verso un futuro di relativa stabilità? «Sulla capacità di prevedere o gestire situazioni così estreme sono piuttosto scettico» –risponde Francesco Cavarero di Miroglio. Secondo il CIO, la vera questione riguarda la messa in discussione di processi stratificati nel tempo e pensati per non utilizzare veramente i dati, o per raccoglierli per scopi molto diversi. «Non saprei dire quale sarà il punto di ricaduta di tutto quello che è successo. Affermo semplicemente che sarà una rivoluzione da cui usciremo attraverso una evoluzione. Molti hanno imparato a fare cose che prima non facevano, ci sarà per forza un ribilanciamento dei canali. Ma il quadro non è ancora chiaro perché le persone cui ci rivolgiamo non hanno cambiato il loro punto di vista: molti vogliono uscire di casa, stando però lontano dalle masse». Su questo duplice impulso, sembra dire Cavarero, tutto il sistema del retail dovrà trovare nuove forme di mediazione.

I TOUCHPOINT? LI DECIDE IL CLIENTE

Naturalmente, le vie di uscita da questa situazione di attesa non sono le stesse per tutti i settori. «Il nostro – osserva Jarno Barni di Grohe – mostra segni di ripresa. I bonus governativi sulle ristrutturazioni e sull’acqua filtrata stimolano la produzione e ci stiamo attrezzando per venire incontro alle richieste. Gli installatori, per esempio, oggi hanno a disposizione una piattaforma online per caricare la documentazione necessaria per i crediti di imposta. Dall’altra parte sta cambiando anche il nostro approccio al cliente: la pandemia ci ha insegnato che il cliente decide di creare nuovi touchpoint, e il nostro compito è rendere l’esperienza semplice e gradevole». Lo stesso in un certo senso vale per le tradizionali relazioni B2B di Grohe. Se il punto di contatto per l’installatore erano le fiere e gli eventi, l’alternativa è rappresentata da piattaforme digitali dove professionisti e clienti finali possono interagire con esperti e guide. «Il punto è riuscire a integrare in modo omogeneo queste possibilità, essere pronti sulla piattaforma digitale senza smettere di ascoltare i canali fisici verso i quali molti hanno voglia di tornare».

L’impegno di OVHcloud – conferma Dionigi Faccenda – è continuare a innovare per mettere i clienti in condizione di affrontare la nuova normalità. «Per esempio, stiamo implementando piattaforme di IoT/edge computing che saranno abilitanti per chi deve elaborare i flussi di dati provenienti dalla periferia». Un altro aspetto affrontato da OVHcloud è la creazione di una comunità di persone che possano colmare il gap di conoscenza tra il prima e i nuovi fabbisogni. Più in generale OVHcloud cerca di venire incontro alla crescente richiesta di soluzioni multicloud, con piattaforme facili da configurare, a costi accessibili e senza alcun effetto di customer lock-in. «L’informatica deve subire un’evoluzione in termini di costi e gestibilità» – conclude Faccenda. «In molti casi, non è facile trasferire in cloud l’informatica esistente, il business e la parte infrastrutturale dovrebbero parlarsi di più. Noi stiamo lavorando molto anche sull’aspetto della sicurezza e della compliance, partecipando all’iniziativa di infrastruttura cloud europea GAIA-X». Secondo Faccenda, una parte del fondi previsti dal piano di rilancio in Europa deve essere rivolta a questo ambizioso progetto di regionalizzazione del cloud.

Leggi anche:  Connettività 5G, il nuovo standard dell’agilità aziendale

GIOCO DI SQUADRA

Fabio Lalli di IQUII dal canto suo, sembra raccogliere l’invito di Cavarero di Miroglio a perseguire obiettivi più evolutivi che rivoluzionari. «Nel tempo, si sono succedute tante tecnologie che avrebbero dovuto “uccidere” le precedenti. Se la tv non ha ucciso la radio, l’e-commerce non sta uccidendo i negozi. Anzi, tutti noi vogliamo che gli acquirenti vi facciano ritorno». Le aziende retail – sostiene l’esperto – dovrebbero prendere in considerazione il concetto della trasformazione digitale, come un ecosistema di nuova infrastruttura, nuovi canali e nuovi sistemi di pagamento. «Dobbiamo concorrere a costruire un corretto ecosistema di competenze, tecnologie e processi in grado di combinare tutto questo. Trasformare non significa attivare un singolo aspetto, ma mettere insieme competenze abilitanti e rinunciare ai dati acquisiti, creando al loro posto un framework di metodologie di acquisizione e analisi in grado di affrontare la forte variabilità che secondo me dobbiamo aspettarci». Sulla base degli stimoli raccolti da Lalli in un recente libro-intervista a una sessantina di esperti in trasformazione digitale, dobbiamo considerare quest’ultima come un elemento di supporto al cambiamento, non una semplice aggiunta di tecnologia. «Phygital non vuol dire mettere tecnologia nel fisico ma inventarsi nuovi format di utilizzo dei canali fisici. Il negozio non è una vetrina ma un punto di ispirazione».

L’esortazione a (re)inventare nuovi format viene subito raccolta da Alice Morrone, ex chief innovation officer di Leroy Merlin. «Nel momento in cui potremo godere di nuove esperienze, torneremo nel negozio fisico. Nel business model di operatori come Leroy Merlin c’è un nuovo importante aspetto, quello della azienda-piattaforma. Tra le azioni intraprese in questa fase, c’è stato per esempio l’accordo per una newco, CasaTua, che serve a gestire meglio la virata verso la consulenza di progettazione di interni. Leroy Merlin è ancora percepita come un fornitore tradizionale e CasaTua è un modo per dare spazio ai nuovi servizi. Un altro progetto è aprirsi verso l’esterno attraverso un marketplace di startup e fornitori specializzati in determinati ambiti, lavorando non sul margine ma sulla commissione». Alice Morrone individua una seconda chiave di successo nell’assecondare la spontaneità del cliente. «Stiamo parlando di phygital ma uno dei canali che ha funzionato meglio durante la crisi è stata la vendita telefonica. Un concetto vecchio, che ci ha permesso di superare le difficoltà della vendita online attraverso il supporto diretto dell’acquirente, che sente la vicinanza di un’altra persona e può ricevere consigli. Per assecondare questi istinti non si deve essere per forza digitali, basta tenersi aperte tutte le strade». Tra le considerazioni formulate da Fabio Lalli, Alice Morrone sottolinea anche la questione delle competenze, invitando le aziende del settore a colmare le molte lacune che le caratterizzano. «Non si parla solo di formazione, di coaching, ma di vero e proprio change management» – afferma la manager. «Molti retailer ancora non si rendono conto di questo bisogno, ma devono dotarsi di nuove figure di service designer. Dobbiamo creare interi vivai di persone che pensano cose nuove».

CONOSCI IL TUO CLIENTE

Anche per Elisabetta Rigobello di Di.Tech, uno dei cardini del successo nel prossimo futuro sarà la conoscenza del cliente. «Siamo tutti consumatori. E tutti desideriamo poter fare i nostri acquisti scegliendo il prodotto migliore, in termini qualitativi ma anche di sostenibilità e non solo alle migliori condizioni. Per fare questo è necessario instaurare una relazione» – sottolinea la responsabile marketing. Una conoscenza che non può essere consolidata solo sulla base degli ultimi acquisti, ma anche sulla previsione dei bisogni. «L’ascolto è sempre un ottimo modo per acquisire questa conoscenza. Anche se ora ci si focalizza sull’esperienza, non si devono trascurare tecnologie come l’intelligenza artificiale, il machine learning, la computer vision. Azioni di smart marketing automation possono aiutare il retailer a fornire al consumatore l’esperienza che preferisce, personalizzata». Unite alla robotica, già ampiamente utilizzata in ambito logistico e nella gestione dei magazzini, la sensoristica e l’AI possono migliorare l’esperienza di chi acquista e di chi lavora, aprendo la strada alla leggerezza e alla sostenibilità. E mentre Pasquale Testa di Sole 365 corrobora il discorso di Elisabetta Rigobello, segnalando le tante iniziative che la catena di supermercati campana sta prendendo sul fronte dell’innovazione e dell’IoT, incluso un sistema di monitoraggio dei parametri di conservazione della mozzarella di bufala per ottimizzare la qualità e la freschezza del prodotto venduto, Enrico Santarelli di Clementoni ci ricorda che un’azienda di giochi educativi ha una responsabilità che può servire a indirizzare i desideri di acquisto. «I clienti si aspettano molto dal nostro brand, soprattutto dopo il posizionamento, esemplificato dalle iniziative della Clementoni, a supporto dei percorsi di crescita. Per questo, abbiamo deciso di fare un passo in più, offrendo una piattaforma in grado di accogliere contenuti che arricchiscono l’esperienza di gioco del bambino, consentendo ai genitori di trovare uno spazio di confronto e scambio di opinioni».

Per Clementoni – ricorda il chief marketing officer – un ruolo di questo tipo non è nuovo. Ma le vicende della scuola intermittente, caoticamente divisa tra lezioni in presenza e didattica a distanza, hanno reso questa funzione ancora più necessaria. «Stiamo cercando di portarla avanti lungo l’intera filiera dei nostri canali, sul Web, sulle pagine social, ma l’opportunità vera consiste nel creare un ponte tra questa piattaforma digitale e l’esperienza di acquisto, che rimane imprescindibile. La possibilità di sperimentare fisicamente i nostri prodotti è l’elemento che ci contraddistinguerà sempre da tutti gli altri digital toys. E stabilire una partnership win-win con il mondo del retail è un modo per costruire questo ponte».

Nel finale di una discussione che ha toccato una serie di aspetti intangibili, Lorenzo Trucco di ToolsGroup riprende il filo dell’approccio data-driven, segnalando la consapevolezza sempre più radicata della necessità di raccogliere e utilizzare un flusso costante di nuove informazioni. «Insieme a questa consapevolezza c’è l’idea che le piattaforme tecnologiche debbano funzionare come magiche palle di cristallo. Per assecondare tale aspettativa, dobbiamo essere pronti a estrarre tanta intelligenza dal comportamento del consumatore che si sposta da un canale all’altro. Intelligenza che servirà a fare nuove proposte incrociate su questi canali. Per ToolsGroup, lo sviluppo di strumenti di pianificazione basati su algoritmi di machine learning è una priorità che non deve tuttavia indurci a trascurare la capacità di pianificare le scorte e la loro movimentazione. Dobbiamo infondere questi nuovi strumenti nella cultura aziendale di clienti che tendono ancora ad affidarsi a piani artigianalmente elaborati su semplici fogli Excel da singoli individui. Per essere flessibile ed efficace, la pianificazione dev’essere condivisa».

Guarda la registrazione della tavola rotonda


Point of view

Intervista a Elisabetta Rigobello, responsabile marketing di Di.Tech: Retail, la guida al cambiamento

Intervista a Dionigi Faccenda, partner program manager di OVHcloud in Italia: A ciascuno il suo cloud

Intervista a Lorenzo Trucco, EU sales director di ToolsGroup: Pronti a tutto