I nuovi inizi spaventano sempre, possono essere prodighi di promesse oppure terribili. Dipende da noi. C’è la paura che blocca e quella che spinge all’innovazione. Non è il momento delle risposte, ma delle domande. Un antidoto tanto al pessimismo disperato quanto all’ottimismo irresponsabile
Benvenuti nella società dell’informazione, che somiglia sempre più a una tribù, dove le opinioni si confondono con i fatti e dove l’influenza (non quella suina) spesso prende il posto della competenza. Durante il lockdown, la tecnologia ha permesso di mantenere la continuità operativa ed emotiva. Difficile immaginare di tornare indietro. La tecnologia permette di disarticolare la capacità di essere “intelligenti” dalla capacità di svolgere un compito con successo. Ed è qui che sta la vera domanda: come decideremo di usare la più grande riserva di intelligenza che il mondo abbia mai avuto a disposizione? I dati sono una risorsa preziosa che utilizziamo male e spesso per gli scopi sbagliati. Liberi di rifletterci nello specchio che rimanda la nostra stessa immagine e i nostri stessi bias cognitivi. Liberi di metterci in viaggio verso l’incomprensibile, lo straordinario, l’inconsueto che si trova soltanto quando si sbaglia e quando ci si perde. Oppure di scartare di lato, di evitare il rischio, di restare fermi mentre tutto intorno a noi cambia.
Ogni stile di pensiero è una strategia di sopravvivenza che intermedia esperienza e conoscenza. Come spiega Anna Lisa D’Aniello, founder & CEO di HUB 4 MIND – «gli stili di pensiero sono abitudini del nostro modo di pensare e rappresentano schemi cognitivi che ci aiutano a decodificare la realtà per trovare soluzioni e sviluppare opportunità». Beppe Carrella, partner e fondatore di BCLab e Fabio Degli Esposti, direttore ICT di SEA Milan Airports ci hanno abituato all’esercizio di senso oltre i luoghi comuni.
E non mi riferisco soltanto al collaudato sodalizio editoriale che ci ha regalato autentiche rarità come l’ultimo “Dagli Scacchi a Fortnite. Come cambia la leadership” (2021, goWare) con la prefazione di Stefano Epifani, presidente di Digital Transformation Institute. Mi riferisco alla collaborazione tra i due manager che li porta a confrontarsi sul terreno delle idee con la comunità degli innovation manager attraverso una serie di incontri, dedicati a libri, musica, tecnologia. Dopo il successo dell’anteprima, il ciclo di confronti prenderà il via con cadenza bimestrale a partire dal 29 settembre con cinque appuntamenti, moderati dall’epistemologa Maria Cristina Koch: il primo dedicato alla leadership a ritmo di musica in un melting pot dai Beatles a Bruce Springsteen; il secondo indirizzato alla comprensione dei nuovi paradigmi economici e tecnologici dopo la pandemia con la partecipazione di Giulio Sapelli, storico, economista, con una lunga esperienza di organizzazione aziendale. Nel terzo appuntamento, insieme ad Anna Lisa D’Aniello, Beppe e Fabio ci guideranno alla lettura inedita dei personaggi della letteratura come portatori di stili di pensiero differenti. E poi sarà la volta di Cesare Triberti e Maddalena Castellani, specializzati in diritto dell’informatica, che presenteranno il libro “Donne fiori recisi. Dallo stalking, al bullying, al cyberbullying, al femminicidio” (2018, goWare). Per terminare con Stefano Brandinali, Group CIO e CDO di Prysmian, per un confronto su robotica, algoritmi e intelligenza artificiale tra miti, polarizzazioni, percezioni errate e realtà distorte (“Parlane pure con il mio robot – fanno le spremute con l’arancia meccanica?” – goWare, 2018). Percorsi inediti, dove è più facile smarrirsi che trovare risposte univoche. Perché il significato del dialogo è proprio questo: non il trasferimento di certezze ma lo scambio di dubbi; non la chiusura nella propria comfort-zone ma l’apertura a punti di vista diversi. Del resto, la realtà è molto più complessa di ogni rappresentazione. E quelle che chiamiamo visioni spesso si rivelano brandelli di verità, rubati spiando attraverso il buco della serratura dell’universo che ci circonda.
EQUILIBRI DINAMICI
Il ciclo di appuntamenti che Beppe Carrella e Fabio Degli Esposti ci propongono è un viaggio dentro le contraddizioni della leadership, dei venditori di cambiamento, della retorica della vittoria, dell’uomo solo al comando, dei campioni digitali, delle frasi fatte che accarezzano le orecchie di chi ascolta ma che si dissolvono a contatto con la realtà, regolata da forze deboli che non abbiamo ancora compreso. Un viaggio che si fa proposta, gioco, eresia ma soprattutto dialogo, mai dialisi. L’anteprima si è tenuta a fine giugno, a porte chiuse in diretta streaming dal Linate Center con la collaborazione di Data Manager.
«Il mondo non sarà più lo stesso dopo la pandemia. Sarà tutto diverso» – spiega Beppe Carrella. «Questa frase ce la sentiamo ripetere in continuazione ma non sappiamo come sarà e neanche riusciamo a immaginarlo». Il mondo forse non è mai stato come lo abbiamo immaginato. Prima del lockdown parlavamo di trasformazione digitale, quando in realtà si trattava di una rivolta: «La vera rivoluzione digitale comincia adesso, perché le persone, dentro e fuori le imprese, a partire dalla remotizzazione di massa del lavoro – che non possiamo proprio dire veramente “smart” – si sono accorte che il digitale cambia la vita. Adesso è il momento di agire. L’innovazione non può attendere. Il rischio è che la rivoluzione torni a essere una rivolta di quartiere». Ma senza dimenticare che la tecnologia dà e la tecnologia prende: «È un patto faustiano come diceva Neil Portman e determina sempre un nuovo ordine del mondo con nuovi vincitori e nuovi vinti».
Non c’è vera innovazione senza resistenza al cambiamento – ribadisce Fabio Degli Esposti, direttore ICT di SEA Milan Airports. «Siamo sottopostoti a un’accelerazione senza precedenti, ma adesso è il momento di alimentare e governare questo cambiamento». Come dopo il decollo che consuma molta energia, si tratta di mantenere la quota di navigazione in volo. «La trasformazione digitale si basa su diversi fattori» – spiega Degli Esposti. «Capacità di immagazzinare grandi quantità di dati, potenza computazionale, connessioni e collegamenti istantanei, grandi quantità di dati disponibili che raccontano chi siamo e cosa facciamo. Ma non dobbiamo dimenticare mai le persone. Perché sono le persone che comunicano, che si spostano, che acquistano. Il settore del trasporto aereo inizia a vedere solo adesso segnali di ripresa. Il traffico passeggeri è un sistema complesso su cui incidono variabili diverse. In questo contesto, alcune tecnologie, già acquisite o in fase di sviluppo, sono state utilizzate per rispondere all’emergenza. La pandemia ha determinato un cambio di paradigma. Come dopo l’attacco alle Torri Gemelle, ha cambiato l’approccio alla sicurezza del volo e alle tecnologie associate per garantire un’esperienza sempre più touchless. Prima, la paura era che il vicino seduto affianco fosse un terrorista. Oggi, è che possa essere fonte di contagio».
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
Viene in mente Lucio Battisti quando canta: “Chissà, chissà chi sei. Chissà che sarai. Chissà che sarà di noi. Lo scopriremo solo vivendo”. Oppure Francesco De Gregori quando canta Bob Dylan: “Puoi essere ricchissimo o vivere in povertà. Puoi andartene in un altro continente sotto un’altra identità”. «Alla fine però, dobbiamo scegliere quale padrone servire» – riprende Carrella. «E dare conto delle scelte che abbiamo fatto in questo “wonderful world” anche quando ci risvegliamo improvvisamente e le note sono quelle di Luis Armstrong ma le immagini che abbiamo davanti agli occhi sono quelle del film Good Morning, Vietnam». L’emergenza è uno shock sistemico imprevisto che oblitera abitudini, comportamenti, modelli e ogni tipo di eredità del passato, sistemi legacy compresi, facendo emergere nodi infrastrutturali mai risolti. Ma se c’è qualcosa da imparare, la lezione non sarà per tutti la stessa. L’emergenza è uno schema. Funziona se è a somma zero, e i guadagni e le perdite di ciascuno si bilanciano. «Ogni giorno – spiega Stefano Epifani – ci troviamo a essere attori inconsapevoli dei più svariati processi di gamification, ossia dell’adozione di meccaniche e dinamiche del gioco in contesti non di gioco. Come la sostenibilità che non è l’accelerazione su uno solo dei 17 obiettivi dello sviluppo indicati dall’ONU ma il bilanciamento tra tutti». La sostenibilità significa durevolezza, resilienza ma non fault tolerance. È un framework a vasi comunicanti in un sistema a risorse limitate. «La sostenibilità riguarda le persone e la capacità di costruire qualcosa senza distruggere o compromettere in modo irreversibile il futuro delle generazioni successive. La sostenibilità non impone un modello ma ci dice che possiamo fare qualsiasi scelta a patto che gli effetti di queste scelte non impediscano a chi verrà dopo di noi di fare altrettanto, commettendo persino gli stessi errori. Il rischio è confondere sostenibilità con ambientalismo» – continua Epifani. Cambiare il nostro sistema e ridurre il suo impatto ambientale comporta cambiamenti radicali che hanno un prezzo. A domande complesse non ci sono risposte semplici. La natura non fa salti e neppure la sostenibilità. «Il passaggio repentino all’auto elettrica – afferma Epifani – senza sapere come verrà fatto il decommissioning delle batterie e ignorando le condizioni di lavoro nelle cave di litio potrebbe avere conseguenze disastrose in termini sociali e ambientali.
La sostenibilità di una tecnologia dipende dal total life-cycle assessment. Per esempio, la blockchain è certamente energivora. Se consumi 100 tonnellate equivalenti di CO2 per fare la blockchain, che però ti permette di abilitare la gestione a ciclo integrato dei rifiuti e complessivamente te ne fa risparmiare 200, allora il bilancio è positivo. È impossibile ragionare di sostenibilità senza capire che è una questione di sistema complesso e di equilibri dinamici. La caratteristica dei sistemi complessi è che non è possibile definire a priori le regole delle interazioni tra i sottosistemi». Un sistema complesso ha un livello elevato di indeterminatezza e si basa su equilibri costantemente distrutti e ricreati. «Tutto interagisce, non è pop-corn» – commenta Carrella. «Ogni livello di equilibrio è una proprietà nuova del sistema. Nessun approccio, che sia economico, fisico, sociale o politico, può da solo costituire una risposta alla complessità che stiamo vivendo». Anche i modelli predittivi, in mancanza di grandi quantità di dati affidabili, possono essere seriamente difettosi, un po’ come i mercati. Siamo in un momento in cui stiamo colonizzando il futuro. Se ci lasciamo guidare solo dalla tecnologia non possiamo prevedere quale sarà la destinazione. Il problema è l’adiacente possibile: immaginiamo il futuro partendo dagli schemi del passato o del presente. Ed è il limite delle politiche economiche. Per immaginare un nuovo inizio bisognerebbe liberarsi dagli schemi del presente.
Foto di Gabriele Sandrini
Point of view
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