La scalabilità e l’agilità del cloud stanno creando nuovi paradigmi per l’innovazione digitale. Gli approcci incentrati su un singolo cloud non saranno però sufficienti a soddisfare le esigenze di contesti aziendali in evoluzione. Sarà indispensabile puntare su multicloud e modalità ibride per una maggiore operatività
Lo scenario cloud è in costante evoluzione. Questa tendenza è stata accelerata della pandemia, che ha portato sempre più aziende a vedere nella “nuvola” la scelta più adatta per favorire la digital transformation, abilitare nuove tipologie di servizi e agevolare il lavoro a dipendenti e partner, spesso attivi in modalità smart working. Secondo IDC, gli investimenti complessivi per il cloud, a livello globale, supereranno i mille miliardi di dollari nel 2024, con un tasso di crescita annuale (CAGR) pari a +15,7%.
IDC prevede che, entro la fine del 2021, l’80% delle imprese si attiverà per accelerare il passaggio a servizi applicativi e infrastrutture digitali incentrate sul cloud due volte più velocemente rispetto a quanto accadeva prima della pandemia. La scalabilità e l’agilità del cloud, sempre secondo gli analisti di IDC, stanno creando nuovi paradigmi per l’innovazione digitale. Il concetto di Agile si sta allontanando dal mondo degli sviluppatori e sta diventando una tendenza dominante nel business, perché mercati sempre più imprevedibili richiedono risposte sempre più veloci da parte delle aziende. Allo stesso tempo, assisteremo anche a un’esplosione senza precedenti di volume e di movimento dati e applicazioni tra cloud privati e cloud pubblici. Gli approcci incentrati su un singolo cloud e senza automazione non potranno più soddisfare i requisiti di agilità aziendale. Sarà indispensabile saper gestire i dati tra piattaforme, ubicazione e proprietà, e integrare tra loro i diversi servizi cloud.
Entro la fine di quest’anno, IDC prevede che oltre il 90% delle imprese punterà su un mix di cloud privati on premise e gestiti, cloud pubblici e piattaforme legacy per soddisfare le proprie esigenze infrastrutturali. Intanto il cloud ibrido è diventato fondamentale per il successo delle iniziative di trasformazione digitale, definendo un nuovo e vincente standard nell’approccio alle architetture IT aziendali innovative, nelle strategie di investimento IT e anche nella ricerca di figure e talenti IT, per assicurare un equilibrio ottimale tra prestazioni, affidabilità e controllo. Un cloud ibrido, secondo IDC, punta a fornire un’esperienza coerente, senza attriti e soluzione di continuità, e una gestione unificata dell’intero contesto. «Il cloud sta diventando l’ambiente attorno al quale ruota una parte sempre più cruciale delle risorse IT aziendali» – commenta Fabio Rizzotto, associate vice president, head of research and consulting di IDC Italia. «Questa tendenza non si verifica solo a causa dell’accelerazione indotta dalla pandemia, ma anche per la pervasività dei processi mission critical. Le dinamiche evolutive vedono il cloud non solo come modello di sperimentazione delle frontiere della digital innovation, o come percorso tattico, ma come ambiente strategico che accoglie processi core delle aziende. Parlare di ambienti core significa toccare stratificazioni IT e workload spesso molto personalizzati, che portano le aziende a porsi interrogativi rispetto ai percorsi da intraprendere. Si tratta di una transizione molto complessa, che appare, però, inarrestabile e vede il cloud tra i protagonisti».
IL CLOUD IN TRE PASSAGGI
Per IDC, tre sono i passaggi che le imprese devono affrontare per valorizzare correttamente il cloud nella propria realtà. Nella prima fase di adozione, l’orientamento iniziale va verso il cloud singolo. In questo caso, è bene che le aziende scelgano un provider di cloud pubblico, per attività IT a basso rischio e facili da gestire, come un servizio SaaS per un CRM “chiavi in mano”, oppure IaaS per un servizio di web hosting. Nonostante questo sia un buon inizio, ci sono inconvenienti associati al restare fermi a questo modello. Uno di questi inconvenienti è rappresentato dal vendor lock-in che vincola il rapporto tra cliente e fornitore, impedendogli di poter acquistare analoghe soluzioni da fornitori differenti senza sostenere costi rilevanti e affrontare rischi legati al cambiamento. Tutto questo si traduce, inoltre, nell’impossibilità di scegliere liberamente le migliori tecnologie e nel dover sottostare alle offerte specifiche di un singolo fornitore. Il passaggio successivo, per molte organizzazioni, è quello di optare per il multicloud, con l’obiettivo di ottenere più vantaggi dalla “nuvola”. Un ambiente multicloud è costituito da più servizi cloud pubblici o privati forniti da diversi provider. In questi ambienti, l’azienda utilizza e coordina servizi di due o più provider per rispondere al meglio alle proprie esigenze economiche, tecniche o funzionali. Decidere per questa soluzione vuol dire non solo aumentare il numero di cloud su cui poter contare, ma significa fare scelte appropriate in grado di garantire l’aumento dell’interoperabilità. Il suggerimento di IDC, in merito al multicloud, è di valutare attentamente le competenze IT presenti in azienda, la strategia infrastrutturale più adatta e gli obiettivi di business che si vogliono raggiungere.
Un primo passo è quello di iniziare la transizione a un ambiente caratterizzato dalla presenza di più cloud pubblici e cloud privati gestiti, per poi aggiungere cloud privati on-premise. I vantaggi dell’adozione di più cloud sono molti. Per le aziende che ricorrono al multicloud i benefici ottenuti si traducono nella possibilità di poter contare su tecnologie e servizi best-of-breed, riduzione del TCO e aumento del ROI, accelerazione dei cicli di sviluppo di prodotti innovativi, migliore gestione del rischio, della governance e della conformità. Tuttavia senza la pianificazione adeguata di una strategia multicloud e senza strutture ottimali, il multicloud può creare silos infrastrutturali con interoperabilità minima e scarsa visibilità. Un multicloud così frammentato soffrirà, quindi, dell’effetto “data gravity”, che limita le applicazioni al silo in cui si trovano i dati. Tutto questo influisce negativamente su gestione, sicurezza, migrazione, sviluppo di applicazioni e posizionamento ottimale dei carichi di lavoro. La nuova generazione cloud è rappresentata dal cloud ibrido, ambiente che valorizza cloud pubblico, cloud privato e soluzioni on-premise, con l’obiettivo di trarre il meglio delle varie modalità di erogazione delle tecnologie in base alle esigenze aziendali. Indicata anche come “multicloud ibrido”, questa tipologia di cloud punta a imporsi come una perfetta integrazione di tutti i cloud e talvolta anche dell’infrastruttura non cloud nel data center. Il cloud ibrido crea un ambiente IT indipendente dall’infrastruttura ed è sostenuto dalla modernizzazione delle applicazioni abilitate da container, microservizi, API, tecnologie open source e così via. Il cloud ibrido offre visibilità a 360 gradi, capacità di gestire tutti i cloud da un unico cruscotto, accesso ai dati da fonti diverse e una solida base per un’architettura intelligente. Quello in direzione del multicloud ibrido può essere visto come una sorta di percorso di perfezionamento continuo del multicloud, un percorso all’insegna dell’agilità.
IL MULTICLOUD, UNA REALTÀ
Come spiega Rizzotto, il multicloud è ormai una realtà da diversi anni. «Tra i benefici che lo rendono appetibile – aggiunge l’associate vice president di IDC – rientra l’opportunità di accedere a servizi e soluzioni dedicate, esaltando le specificità di diversi cloud provider a seconda delle esigenze, siano esse infrastrutturali o applicative. E per certi versi, significa adottare scelte best-of-breed». Le indagini IDC del 2020 in Italia, evidenziavano già rapporti con più di tre cloud service provider in media in ogni grande azienda. «Anche se molti vedono nel multicloud una diversificazione del rischio IT – continua Rizzotto – le imprese sono consapevoli delle complessità e delle sfide nel moltiplicare i servizi cloud: gestione dei processi di vendor management, lock-in, sicurezza, competenze interne sulle architetture, integrazione, ma soprattutto orchestrazione». Tuttavia, la maggiore maturità tecnologica consente di valorizzare layer di integrazione e strumenti (quali cloud orchestrator) per aumentare la governance. L’evoluzione di questo disegno porta a far parlare tra loro i diversi ambienti, cloud, multicloud e on premise, per esempio. Si entra quindi nella logica che IDC chiama Hybrid Cloud, un ambiente esteso che permette il dialogo tra modelli diversi. E anche questo è una realtà – sottolinea Rizzotto. «Il 66% delle medie-grandi imprese italiane intervistate nel corso del 2020 da IDC prevede di accelerare strategie Hybrid Cloud per abilitare nuovi modelli di delivery IT».
CLOUD IBRIDO DOMINANTE
Anche secondo i-Scoop, società belga specialista in formazione, comunicazione, consulenza e servizi nelle aree della digital transformation e processi organizzativi, l’adozione del multicloud è in aumento. In questo scenario il cloud ibrido è il modello di cloud delivery dominante. Inoltre l’adozione del cloud pubblico sta crescendo rapidamente, anche per i carichi di lavoro mission-critical. Non solo, negli ultimi anni, si sono verificati cambiamenti nelle modalità con cui il cloud è distribuito all’interno delle organizzazioni, e sono mutate anche le motivazioni alla base delle scelte compiute dalle aziende. Mentre tradizionalmente le imprese (e i vendor) si concentravano soprattutto sulla riduzione dei costi di capitale (da CapEx a OpEx, pay-per-use) e sul ridimensionamento, oggi le imprese si orientano al cloud per ottenere vantaggi aziendali in un contesto di digital transformation e business digitale. Anche se i vantaggi tradizionalmente richiesti dalle imprese non perdono la loro importanza, le aziende si orientano verso obiettivi che considerano determinanti come la velocità e la capacità di essere immediatamente reattivi a fronte dei repentini cambiamenti richiesti dal business.
Il cloud è quindi scelto per ridurre il time-to-market, soddisfare le richieste e i carichi di lavoro dei diversi reparti aziendali, scalare, ridimensionare e spostare carichi di lavoro o applicazioni in un contesto più adatto ad adeguarsi a requisiti di innovazione, trasformazione e attività di business più efficienti. i-Scoop si è interrogata anche sul come evolvere verso il cloud. Per anni, le organizzazioni hanno riflettuto se e dove spostarsi in ambiente cloud. Oggi, il movimento in direzione del cloud, e in particolare, del multicloud, avviene con molta semplicità. Esistono aziende che passano al multicloud quasi senza saperlo, semplicemente perché si vive di fatto in una realtà multicloud che rende disponibili diverse soluzioni utili a differenti scopi. Tutto questo ha un impatto sul ruolo dell’IT aziendale e persino del CIO. Influisce anche sulla modalità in cui i fornitori si avvicinano ai clienti potenziali ed esistenti. Considerando l’utilizzo de facto dei servizi cloud da parte di lavoratori e reparti aziendali specifici, al di fuori dell’IT, molte aziende sono già multicloud. Spesso il multicloud sta diventando una scelta deliberata e un abilitatore di scelta, mentre l’evoluzione verso il multicloud ibrido è vista come la scelta più logica.
SOLUZIONI SU MISURA
Nel compiere scelte di adozione di multicloud o di multicloud ibrido – secondo i-Scoop – bisogna tenere ben presenti le caratteristiche della propria azienda. Non in tutti i contesti aziendali, i carichi di lavoro sono simili e nessun requisito aziendale è mai lo stesso. Anche quando due imprese o due divisioni di una stessa impresa scelgono il cloud, c’è sempre qualche esigenza diversa, anche se piccola. Le necessità del marketing, in ambienti basati su cloud, non sono le stesse di quelle di altri reparti, per fare solo un esempio. Sin dal 2016, Forrester aveva individuato nell’utilizzo di più cloud una tendenza che sarebbe cresciuta sempre più negli anni successivi, con i CIO sempre più impegnati a orchestrare i vari ecosistemi cloud che collegano dipendenti, clienti, partner, fornitori e dispositivi connessi per soddisfare le crescenti aspettative dei clienti. Secondo le previsioni di Forrester, le aziende non solo dovranno gestire una realtà sempre multicloud, diventeranno esse stesse società cloud, come sta avvenendo per i grandi player dell’Industria 4.0. In questo scenario crescerà la consapevolezza che senza cloud non c’è trasformazione digitale.
E dal momento che nessun singolo cloud si adatta completamente a tutti gli scopi previsti dalle esigenze di un contesto aziendale fortemente digitalizzato, la realtà del multicloud continuerà a crescere. L’evoluzione del cloud porta anche a un’evoluzione del data center. Un’infrastruttura data center tradizionale, infatti, non dispone della flessibilità e della scalabilità necessarie per adattarsi alle esigenze del business moderno e consentire una completa trasformazione digitale dell’azienda. La trasformazione del data center per l’era cloud richiede un’infrastruttura con nuove caratteristiche. Il data center, quindi, deve essere software-defined, hyperconverged, facile da gestire, facile da automatizzare e progettato per attività self-service. Deve poter contare su sistemi evoluti per la protezione dei dati mentre le attività previste devono potersi estendersi dal data center, alla distribuzione e alle posizioni edge, al cloud, consentendo di concentrarsi sulla distribuzione di applicazioni, servizi e informazioni. Importante, quindi, è che le aziende possano contare su un ambiente operativo IT unificato che fonda cloud privati, pubblici e distribuiti, fornendo un unico punto di controllo per la gestione dell’infrastruttura e applicazioni in qualsiasi cloud.
RUOLI IN CAMBIAMENTO
In rapporto all’evoluzione del cloud, nel tempo, aumenteranno, inevitabilmente, le competenze e l’esperienza delle aziende. Evolverà il ruolo dell’IT e del CIO, mentre saranno richieste soluzioni che consentano la gestione del cloud permettendo ai CIO e ai professionisti IT di essere facilitati nel loro lavoro. Un ruolo in evoluzione è anche quello dei broker cloud che, dalla mansione di provider di servizi cloud, da una funzione di intermediazione cloud, si sta spostando a un modello di fornitore di servizi di integrazione cloud e orchestrazione. Alla fine, il “CIO digitale” di oggi è già un connettore, un facilitatore e un orchestratore. O almeno dovrebbe esserlo. «Concetti come service broker o IT come utility non sono nuovi, stanno semplicemente prendendo forma» – dice Rizzotto di IDC. «Il ruolo dell’IT è questo, e il CIO ne è l’artefice. La strada evolutiva passa quindi dalla capacità di mettere insieme approcci multidisciplinari, dai processi alla business architecture alle soft skills. Questo consente di puntare al ruolo che nelle migliori condizioni guida la digital transformation, o quantomeno si pone come orchestratore innovativo tra esigenze di business ed ecosistema dei partner tecnologici. L’intensità con cui questi cambiamenti sono vissuti dai CIO dipende anche dalla velocità con cui avvengono. Alcune aziende scelgono percorsi coraggiosi e accelerati, altri preferiscono percorrere strade da affrontare lentamente e con progressività. Ovviamente, è un ruolo che va visto nel quadro delle evoluzioni dell’intera organizzazione, che si esprime con competenze di ascolto, di comprensione dei diversi linguaggi, di lavoro di squadra con le altre funzioni».
LO SCENARIO CLOUD ITALIANO
Un quadro relativo all’evoluzione dello scenario italiano del cloud è fornito dall’analisi realizzata dall’Osservatorio Cloud del Politecnico di Milano. Anche in Italia, il cloud si è rivelato un importante alleato per rispondere rapidamente e con efficacia alla situazione difficile a cui la pandemia ha sottoposto l’intero sistema economico e sociale. In Italia, il mercato del cloud nel 2020 ha raggiunto un valore di oltre 3,34 miliardi, con una crescita del 21% sull’anno precedente. È stata soprattutto la componente SaaS, con una spesa complessiva di oltre 1 miliardo di euro, a guidare questa dinamica, permettendo alle aziende di essere attive in fase di emergenza, grazie a servizi di collaboration, gestione documentale e portali e-commerce e B2C. Il Public & Hybrid Cloud, inteso come insieme dei servizi forniti da provider esterni e l’interconnessione tra cloud pubblici e privati, si è confermato protagonista con una crescita del 30% e un valore complessivo che ha raggiunto i 2 miliardi di euro. Si tratta di un’accelerazione più rapida rispetto alla media internazionale, che fa registrare un +8% per un mercato che – secondo Gartner – vale 198 miliardi di dollari a livello globale. Il Virtual & Hosted Private Cloud ha toccato i 732 milioni di euro (+11%). Il segmento definito di Data Center Automation, relativo alla modernizzazione delle infrastrutture on-premises, ha subito un rallentamento rispetto al 2019, crescendo del 6% per un totale di 583 milioni di euro. In termini di spesa per settore merceologico, è rallentata leggermente la dinamica del settore manifatturiero (che si conferma comunque primo nel mix di spesa con il 24% del mercato complessivo), come conseguenza al periodo del lockdown e del blocco delle attività. Seguono per dimensioni il settore bancario (21%), telco e media (15%), servizi (10%), utility (9%), PA e sanità (8%), GDO e retail (8%) e assicurativo (5%).
I servizi Software as a Service (SaaS) sono cresciuti del 46% arrivando a rappresentare la metà del volume di spesa in Public & Hybrid Cloud complessiva. Il contesto di emergenza ha portato le aziende a focalizzare sul cloud le categorie di servizi che permettevano di restare operative, adottando soluzioni pronte all’uso legate soprattutto a collaboration e gestione documentale ma anche a portali B2C/e-commerce e analytics, guidati dalla componente di artificial intelligence. La componente Platform as a Service (PaaS) è cresciuta del 22%, guidata dalla crescita delle funzionalità abilitanti i big data analytics a causa dell’aumento delle attività online (e quindi dei dati generati) nonché dalla necessità per tutti i settori di interconnettere i processi e monitorarli. L’Infrastructure as a Service (IaaS) è salita del 16% costituendo il 36% della spesa complessiva, con un forte incremento delle virtual machine per ambienti di produzione e del container management.
L’emergenza sanitaria ha generato un significativo aumento dell’adozione del cloud nelle PMI, che nel 2020 si è attestato al 42% contro il 30% registrato nel 2019. Il cloud è stato visto come uno strumento in grado di dare una risposta efficace al remote working forzato, velocizzando la digitalizzazione dei processi e dei flussi collaborativi. A fronte di questi segnali positivi, restano preoccupazioni legate alla sicurezza dei dati, all’inaffidabilità della rete, alla complessità di gestione e alla mancanza di competenze sul cloud. Infatti, il 55% delle PMI che usa il cloud preferisce la gestione internalizzata delle tecnologie. Si tratta di un segnale di rischio: le PMI soffrono di un gap culturale e infrastrutturale per cui il cambio di passo evidenziato nel 2020 potrebbe rappresentare una semplice reazione all’emergenza fine a se stessa, se non supportata da una visione di lungo periodo.
VERSO MODELLI PIÚ EVOLUTI
In Italia, il cloud continua a consolidarsi in strategie di evoluzione del sistema informativo aziendale attraverso un doppio percorso: da un lato i nuovi progetti applicativi nascono nella nuvola nel 43% delle grandi imprese (contro il 42% registrato nel 2019), come una scelta obbligata nel 13% dei casi e preferenziale nel 30%. In questa tipologia di iniziative, solo il 9% delle aziende preferisce una strategia on-premises mentre il 48% propende per un approccio selettivo, valutando il modello da utilizzare caso per caso. Anche il legacy aziendale sta subendo un’ondata di trasformazione verso il cloud: l’11% delle grandi imprese non ha più un data center di proprietà in quanto quest’ultimo risiede in cloud privato e/o pubblico, mentre un ulteriore 27% prevede di avanzare verso questa situazione migrando progressivamente tutto il legacy nei prossimi anni. Inoltre, il 50% prevede di fare propria una strategia ibrida per cui una parte del legacy migrerà in cloud e la restante rimarrà on-premises. Solo il 12% opterà per una strategia completamente on-premises.
Dunque, creare una configurazione ibrida è ormai la via privilegiata per l’evoluzione dei sistemi informativi. Il 74% delle imprese infatti integra i servizi IaaS, PaaS e SaaS con i sistemi interni all’azienda in un ambiente di Hybrid Cloud, un trend che si sta consolidando: nel 54% dei casi si tratta del risultato di una scelta strategica che ha l’obiettivo di massimizzare i benefici delle due modalità di erogazione delle tecnologie, contro il 46% in cui l’Hybrid Cloud è invece il risultato di scelte contingenti realizzate nel tempo.
Sempre più aziende decidono inoltre di riferirsi a un portafoglio eterogeneo di provider per la fruizione dei propri servizi. Secondo un’indagine condotta da Flexera, le aziende italiane dichiarano di avere, in media, circa 4 cloud provider attivi, in linea con quanto registrato a livello internazionale. Nel dettaglio, si fa mediamente riferimento a 3 provider SaaS, mentre più raramente si assiste all’adozione di vere e proprie strategie multicloud per i servizi IaaS (1,3 provider in media) e i servizi PaaS (1,2). Il freno principale all’adozione di strategie multicloud è legato all’aumento di complessità che queste ultime generano: è necessario sviluppare competenze verticali su tecnologie diverse e gestirne le caratteristiche ottimizzando al contempo la spesa e la qualità complessiva dei sistemi. Si tratta di una difficoltà percepita in modo più urgente a livello infrastrutturale, dove il personale IT aziendale è più coinvolto in fase di sviluppo e gestione delle operations. Il 65% delle imprese, infatti, dichiara di aver fatto una scelta strategica esplicita verso un provider IaaS e/o PaaS di riferimento con lo scopo di far leva su partnership e competenze consolidate.