Un robot è una macchina autonoma in grado di rilevare il proprio ambiente, eseguire calcoli per prendere decisioni ed eseguire azioni nel mondo reale
Nel numero di giugno abbiamo parlato dell’Artificial Intelligence Act della Commissione Europea, osservando che la proposta non prende in considerazione le applicazioni robotiche dotate di intelligenza, apprendimento e autonomia. Merita pertanto approfondire brevemente cosa si intenda per “robot”. La separazione tra il naturale e l’artificiale, tra il funzionamento degli organismi biologici e le macchine è cancellata con il geniale approccio di Norbert Wiener (1948). Da allora, le macchine con controllo automatico e una forma di auto-organizzazione simulano il comportamento adattivo associato agli organismi viventi.
Di poco successivi, sono gli esperimenti di William Grey Walter che, con le sue celebri tartarughe, realizzò forse i primi robot autonomi della storia. Pertanto, a differenza dei successivi studi e ricerche sull’intelligenza artificiale di John McCarthy e Marvin Minsky, che si sono concentrati sulla riproduzione di programmi per computer che offrano prestazioni che, se osservate nell’uomo, sarebbero definite intelligenti – come giocare a scacchi – la robotica ha preso strade diverse, per lo più dedicate alla costruzione di macchine che esibiscono comportamenti complessi, finalizzati a compiti da svolgere in ambienti specifici. Di conseguenza, la definizione di robot si è via via raffinata da “macchina che esibisce o simula un comportamento intelligente” a “macchina autonoma capace di operare nell’ambiente potendone raccogliere i dati e modificando il proprio comportamento su questi”.
L’Enciclopedia Britannica riporta la definizione scritta dal robotico Hans Peter Moravec, direttore di ricerca al Robotics Institute della Carnegie Mellon in Pennsylvania: “robot, any automatically operated machine that replaces human effort, though it may not resemble human beings in appearance or perform functions in a humanlike manner. By extension, robotics is the engineering discipline dealing with the design, construction, and operation of robots”.
Rodney Brooks è un noto robotico del MIT che ha realizzato robot famosi, tra cui iRobot Roomba, e che oggi è co-fondatore e chief technical officer di RobustAI. La sua definizione di robot è molto pragmatica e operativa: «A robot is some sort of device which has sensors, which senses the world, does some sort of computation, decides on an action and does that action based on the sensory inputs, That does some changes in the world outside its body. Why I am saying “outside of the world”, because I do not want to have a dishwashing machine classified as a robot, it’s wrong. A robot has to go out in the world and change it. That’s my definition of a robot. In short, a robot is an autonomous machine capable of sensing its environment, carrying out computations to make decisions, and performing actions in the real world».
Sulla stessa linea Gill Pratt, CEO del Toyota Research Institute: «For me, a robot is defined in two ways. First is what it does and the secondly is how it does it. As for what it does, a robot for me does dull, dirty and dangerous tasks in the place of a human, tasks that humans don’t have to spend time and efforts to carry out. The second thing that is important in robotics is how the robot does it. And it does by sensing, thinking and acting». Per concludere vorrei citare l’approccio di Bruno Siciliano, ordinario di Automatica all’Università Federico II di Napoli, secondo cui – «robot = sense + compute + act with some degree of autonomy» – ma non solo per i famosi compiti 3D (Dull, Dirty and Dangerous, cui si è aggiunto di recente il quarto D, Dear, quando l’applicazione di un robot riesce a rendere il processo più economico ed efficiente), poiché esistono applicazioni, come quelle dei social robot, che non hanno una funzione pratica ma emozionale, di comunicazione, più prossima agli umani.