Nella corsa a sposare sostenibilità e principi universali, dove stiamo andando? Intanto prende forma una Stakeholder Economy che abbraccia ormai in modo circolare interlocutori di varia natura, ciascuno con proprie prospettive, aspettative e interessi
È raro ormai trovare una nuova iniziativa aziendale che non sia improntata ai principi della sostenibilità, dell’inclusione, agli aspetti sociali ed etici. Un dibattito che è uscito dai confini del business e attraversa ormai l’intera società, una nuova dimensione in cui siamo tutti immersi, in cui convergono sensibilità e prospettive rimaste a lungo (forse troppo) distinte. Il modello ESG (Environmental, Social, Governance) nasce da lontano e solo di recente ha avuto un’affermazione nel linguaggio comune, con le sue evoluzioni e declinazioni. Prima ancora dello scoppio della pandemia, molte aziende avevano iniziato a far convergere i programmi di trasformazione digitale con le strategie di sostenibilità. In piena pandemia (secondo la IDC’s Sustainability Awareness and Strategy Survey 2020), il 46% delle aziende europee aveva già programmi di sostenibilità avviati, e il 36% aveva in previsione di lanciarli. Rispetto alla portata di queste iniziative, sempre un anno fa, la maggior parte delle aziende europee (60%) dimostrava un approccio company-wide, ovvero molteplici iniziative raccordate da una strategia aziendale consistente e organica per l’intera organizzazione.
RIPOSIZIONAMENTO DELLE STRATEGIE
Oggi, sappiamo che sviluppo e sostenibilità devono andare a braccetto, non sono più solo due facce della stessa medaglia, sono un amalgama unico. I fatti planetari dell’ultimo anno hanno fatto fare passi da gigante in termini di consapevolezza e riposizionamento delle strategie, per connettere i principi ESG con le principali sfere aziendali. Rispetto alle sfere di intervento, la maggiore sensibilità alle condizioni ambientali e climatiche sta rappresentando un assist unico, una base comune su cui costruire obiettivi condivisi a livello non solo di impresa, ma di ecosistema. La maggior parte delle imprese europee, italiane incluse, è impegnata su questi fronti. IDC prevede che l’80% delle realtà a forte impatto produttivo e operation-intensive entro il 2023 avrà contribuito a un’ulteriore riduzione del 3% delle emissioni nel Continente, intervenendo su innovazione e ottimizzazione dei processi IT-OT, integrazione delle supply chain, strumenti di misurazione delle performance.
Certamente, essere sostenibili ha un costo. E il “funding” rappresenta il principale ostacolo che le indagini IDC rilevano costantemente. Ma, come sempre, accanto alla sfida delle risorse emerge il fattore culturale, la consapevolezza. Su questi temi, se interpretati in modo profondo, l’esigenza di supporto per un cambiamento dei modelli di business in chiave sostenibile non è mai stato così grande. Ne sanno qualcosa la miriade di piccole e medie imprese del nostro Paese che escono provate dalla crisi e hanno bisogno non solo di fiducia e risorse, ma anche di orientamento per rendere proficui i prossimi passi.
In questo senso, coinvolgimento, esperienza, “purpose”, sono alcuni dei concetti in voga nei programmi di sviluppo delle attitudini e delle buone pratiche che le persone, singolarmente e come collettività, possono mettere in atto. Da tempo sappiamo che la dimensione di riferimento va ben oltre l’organizzazione e abbraccia una sfera molto più ampia di stakeholder nella società. In effetti, ci stiamo muovendo verso una Stakeholder Economy che abbraccia ormai in modo circolare interlocutori di varia natura, ciascuno con proprie prospettive, aspettative e interessi.
NUOVE METRICHE IN AMBITO TRUST
Molti degli aspetti di cui stiamo parlando hanno a che fare con il tema del trust, della fiducia. A seconda dell’angolazione da cui la si osserva, si possono fare riflessioni che muovono i passi dal tema della credibilità legata agli aspetti di sicurezza e compliance, anziché partire dalla sfida della reputazione aziendale come concetto olistico che misura l’impegno su tutti i fattori della sostenibilità, dell’inclusione e della diversity.
La sfida nelle imprese sarà ancora più grande nel coniugare tutti questi principi in strategie credibili. Per esserlo, infatti, bisognerà rafforzare la capacità di costruire framework e KPI per misurare gli avanzamenti e spingere oltre l’immaginazione “del misurabile”. Nelle indagini IDC, questa problematica appare molto sentita dai CXO e dal Top Management. D’altronde, se il coinvolgimento e la partecipazione a tutti i livelli sono fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi, nelle indagini IDC, i CEO emergono come le figure di spicco in termini di guida e responsabilità nella definizione e coordinamento delle strategie, affiancati da tutti i CXO. Secondo le previsioni IDC, già entro il 2021 il 40% dei CEO delle aziende europee avrà sviluppato e lanciato come parte delle strategie aziendali nuove metriche in ambito “trust” per incorporare nuove aspettative della società, e trasformare processi e pratiche di business in modo ancora più sostenuto rispetto ai temi etici, sociali, della diversità e inclusione, della sostenibilità.
Con l’economia globale sempre più interconnessa, con le convergenze tra settori economici, con l’amplificazione delle percezioni esercitate dal mondo digitale, non è difficile immaginare nuovi possibili fronti di opportunità e rischio per le imprese. Un disegno, che dal punto di vista dell’evoluzione dei modelli di business si riallaccia alla visione IDC del Future of Industry Ecosystem. L’interdipendenza è già talmente ampia da collocare, sappiamo, i centri di comando e orchestrazione dei nuovi ecosistemi digitali a volte molto vicino, a volte anche molto lontano dai luoghi in cui operano i processi e si manifestano le esperienze digitali. Maggiore è ampia questa catena, maggiori sono i potenziali impatti sulle supply chain e sulle implicazioni in termini di resilienza, trust e affidabilità.
FRAMEWORK A LUNGO TERMINE
Chiudiamo lanciando una piccola provocazione costruttiva. È possibile un’economia digitale realmente al servizio del Pianeta? E se tra 10 o 20 anni, ci accorgessimo che non sarà stato sufficiente? Non avremo sprecato inutilmente risorse, ma potrebbe servire un ulteriore cambio di passo. Se così, a quali modelli dovremmo ispirarci? Non è un caso che le molte istituzioni stiano ragionando sulla costruzione di framework per i prossimi 30 o 50 anni improntati ai principi della remediation. Mettiamola così: senza voler azzardare alcuna previsione, uno degli scenari che abbiamo davanti a lungo termine è quello in cui la sostenibilità lascia il posto alla consapevolezza che abbiamo limitato un po’ i danni planetari, ma senza invertire la rotta. Di conseguenza, saremmo costretti a intraprendere nuovi percorsi che avrebbero come obiettivi quelli del risanamento e della ricostruzione. Al momento, percorriamo la via intrapresa cercando di raggiungere i traguardi fissati senza perdere la bussola.
Barbara Cambieri managing director and Group vice president – IDC Italia