A cura di Sergio Scornavacca, responsabile Industry & Consumer Markets di Minsait in Italia
Dopo il duro impatto causato dalla pandemia, anche il settore Beauty sta vivendo una nuova fase di ripresa in quello che ormai viene definito “the next normal”. La monetizzazione dei dati a valore, tanto quelli interni all’azienda quanto quelli esterni raccolti da partner, clienti, fornitori o tramite analisi dei social e del web, sono la chiave per ottenere un vantaggio competitivo in un’ottica data-driven.
Secondo i dati preconsuntivi di Cosmetica Italia, il settore Beauty in Italia ha fatto registrare nel 2020 un fatturato globale in calo del 12,8% rispetto all’anno precedente. I dati interessanti sono però racchiusi nella crescita del 42% dell’e-commerce nel 2020 (in controtendenza con tutti i canali di distribuzione fisici, in calo) e nel cambiamento delle abitudini cosmetiche degli italiani, che registrano una diminuzione della vendita di trucchi per le labbra a discapito di quegli per gli occhi, causa distanziamento sociale e utilizzo della mascherina, oltre alla crescita delle tinture fai-da-te (+30%) e di saponi liquidi (+38%), come riportato sempre da Cosmetica Italia.
Anche le conversazioni online, analizzate insieme al nostro partner Blogmeter mettendo a confronto i primi cinque mesi del 2021 con quelli dell’anno precedente, offrono informazioni rilevanti che meritano un’attenta analisi. L’argomento “make-up” risulta in calo del 5% mentre la “skin-care” fa registrare un significativo aumento del 17,8%. Questi dati, se interpretati e utilizzati correttamente, consentono di individuare chiaramente dei trend tra i consumatori che possono essere sfruttati dalle aziende per trarre un vantaggio competitivo.
Ma i dati, in quanto asset di valore strategico per le aziende del beauty, non vanno solo raccolti e analizzati. Bisogna anche estrarne tutto il valore, interpretarli, traducendo il loro potenziale in volume di business, rendendoli quindi actionable (ovvero fruibili).
Per fare Data Monetization è fondamentale, innanzitutto, considerare le due caratteristiche particolari che rendono un dato “di valore”: l’esclusività, ovvero l’utilizzo di dati che non sono accessibili a tutti, e la specificità, ovvero quei dati a valore relativi a particolari e preziose informazioni che ci consentono di concentrarci su un determinato focus, sull’obiettivo che vogliamo perseguire.
Il primo passo da intraprendere è l’individuazione di una strategia, ossia identificare gli ambiti sui quali focalizzarsi per leggere, studiare e anticipare i trend grazie all’ausilio dei dati estratti attraverso strumenti come il social listening o le analisi dei Google trends. Sarà necessario organizzare e lavorare questi dati secondo una tassonomia interna all’azienda per rispettare il principio di esclusività dei dati e per attribuirne un valore distintivo.
Le organizzazioni, inoltre, sono chiamate a raccogliere i dati attraverso un triplice approccio: first-party, ovvero ottimizzare la gestione dei dati già presenti all’interno dell’azienda; second-party, ovvero dati ricavati da partner o fornitori fidati; third-party, ovvero l’acquisto di dati da aziende terze nel momento in cui questo scambio monetario può generare un valore differenziante.
Una volta che queste informazioni sono state raccolte, normalizzate, organizzate e rese fruibili, possono essere “date in pasto” a motori di Intelligenza Artificiale e Deep Learning affinché li analizzino, imparino dall’esperienza, generando così suggerimenti utili all’azienda per anticipare trend di mercato e incidendo in maniera significativa anche nella fase di product development.
Questa combinazione di dati interni ed esterni, e il loro uso intelligente, può significare un aumento medio del 4% del margine del produttore, grazie a un’ottimizzazione del posizionamento del prodotto sullo scaffale, ottenendo attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale, variabili importanti come: efficacia promozionale, ROI delle promozioni, forward buying, uplift delle promozioni, cannibalizzazione, elasticità dei prodotti propri e della concorrenza, etc., permettendo, in breve, un miglior posizionamento del suo portafoglio prodotti, in termini di prezzo, sullo scaffale.
Inoltre, la maggiore conoscenza che il produttore acquisisce è basata su dati oggettivi e permette di gestire al meglio il mix di assortimento in magazzino e in store, aumentando così l’efficacia del 20%.
L’obiettivo di questo approccio data-driven mira alla realizzazione del cosiddetto “perfect match product”, ovvero un prodotto modellato sulle esigenze dei consumatori, sui dati estratti e lavorati da queste applicazioni intelligenti. È così che i dati a valore possono diventare un fattore differenziante determinante per le aziende del beauty.