Banche e assicurazioni. Trasformazione digitale e ripresa

Banche e assicurazioni. Trasformazione digitale e ripresa

L’intero sistema economico e produttivo italiano è stato investito da un’emergenza senza precedenti e il comparto bancario e assicurativo è stato forse tra quelli più sollecitati, anche per il suo ruolo fondamentale in ambito creditizio, sanitario e previdenziale. E ora?

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La crisi è sopraggiunta in modo repentino, senza peraltro concedere pause alle trasformazioni in atto e anzi creando una sommatoria di problematiche da affrontare lungo un duplice binario. Da un lato l’asse della reazione tattica ai temi del massiccio svuotamento degli spazi di lavoro tradizionali, della nuova relazione con il cliente, di una sicurezza che ha dovuto essere ancora più pervasiva. Dall’altro il proseguimento in parallelo delle strategie riguardanti l’ambito infrastrutturale, la trasformazione del data center, le politiche cloud, il governo dell’integrazione in seguito ad acquisizione e merger, la rivoluzione dei sistemi di pagamento, la concorrenza da parte del fintech e di operatori con meno vincoli di regolamentazione che contraddistingue l’era dell’open banking.

Oltre a tutto questo, è verosimile che a partire dall’autunno prossimo, con l’avanzamento delle campagne vaccinali, tutto il sistema finance sarà chiamato a sviluppare una progettualità specifica per la prima fase di ripartenza post-Covid, partecipando e rendendo più fluida l’allocazione dei fondi previsti dal recovery plan europeo e verosimilmente, proponendo altre iniziative di sostegno. La tavola rotonda di Data Manager rimette al centro del dibattito la trasformazione digitale del mercato dei servizi finanziari proprio nell’ottica dell’auspicato rilancio.

STORIE DI LOCKDOWN

I nostri panelist sono stati coinvolti in un confronto aperto delle singole esperienze in materia di evoluzione e trasformazione delle infrastrutture, con particolare attenzione al ruolo dei data center, dell’edge computing, delle strategie hybrid cloud, soprattutto a fronte dei cambiamenti nelle modalità di lavoro e di relazione con il cliente affrontati nel corso della crisi e in previsione di uno scenario futuro diverso da quello pre-Covid. Non manca nella prima parte della discussione uno sguardo sulle strategie di disegno e sviluppo di applicazioni e servizi, anche alla luce di fenomeni come l’open banking o la relazione col mondo fintech e dei nuovi scenari e ruoli che si apriranno con la ripresa.

Nel secondo giro di interventi, al centro del dibattito si collocano le strategie sui dati e sulla sicurezza, due fattori trainanti per il business e la fiducia. La crisi ha messo in risalto la criticità della nostra capacità di integrare e correlare le informazioni, nel rispetto di rigide norme di sicurezza, trasparenza e privacy. Ma quali sono i fattori frenanti e come affrontarli, sul piano tecnologico e organizzativo? Ma insieme ai fenomeni come Big Data o la cybersecurity, nel mondo finance qual è il valore del fattore umano, tra talento e responsabilità? Come gestire le competenze interne ed esterne. Come preparare il mercato al cambiamento. E soprattutto a chi affidare le decisioni e il controllo? La testimonianza che apre il dibattito aiuta a capire quanta parte ha la tecnologia nel cambiamento che in questi ultimi anni ha coinvolto l’intero settore assicurativo e in particolare l’elemento che lo caratterizza in modo peculiare, ovvero le reti degli agenti preposti alla intermediazione dei prodotti. Prima di affrontare questo aspetto, Michele Carmina, head of Group Digital & Data di Generali formula alcune considerazioni sulla strategia interna al suo gruppo, impegnato in una trasformazione ancora più estesa e radicale. «L’ambizione di Generali è diventare partner di vita del cliente, superando la tradizionale formula di compensatore di sinistri subiti in circostanze poco felici, verso un modello di attenzione continua e di prevenzione in tutti gli ambiti della vita, salute, benessere, lavoro, mobilità». La digitalizzazione – prosegue Carmina – è uno dei pilastri di questa ambizione. «La tecnologia deve diventare per l’intero sistema di go-to-market una sorta di “collega digitale” capace di dare, attraverso i dati, agilità all’intera rete».

UN “COLLEGA” DIGITALE

«Si tratta quindi di passare da un mondo in cui l’assicuratore sollecitava il versamento del premio alla scadenza e rifondeva i danni subiti, a una offerta di soluzioni su misura, pensate in chiave di prevenzione dei danni e supportate da un alto contenuto tecnologico» – sottolinea Carmina. Una realtà nuova, dove la “connected insurance” può far leva sulle informazioni, magari generate dai sensori e dall’intelligenza installati nelle case o a bordo delle automobili per prevenire problematiche gravi e incidenti, aiutare il cliente a svolgere una salutare attività motoria, suggerirgli persino una corretta alimentazione.

L’emergenza del Covid – come spiega Carmina – ha accelerato il cambiamento e smitizzato molti degli ostacoli di natura culturale che il canale tradizionale, preoccupato dalla funzione di disintermediazione del digitale, tendeva a percepire. L’assicurazione digitale non è più una minaccia, ma un fattore di crescita e competitività. Generali ha insistito molto sull’abilitazione delle attività in remoto, intervenendo sui team di supporto alla vendita, introducendo la firma digitale anche nelle operazioni di onboarding e assunzione di nuovi agenti; rimanendo vicini ai clienti finali anche attraverso una maggiore visibilità dell’azienda e dei suoi agenti sui canali social; escogitando nuove modalità di organizzazione di eventi virtuali e campagne di socializzazione. E offrendo trasversalmente supporto in termini di infrastruttura e teleformazione per facilitare questi percorsi. «L’omnicanalità resta alla base della trasformazione del futuro» – conclude Carmina. «Nei prossimi mesi, indipendentemente dal Covid, spingeremo sul digitale come amplificatore della rete fisica. Sono gli stessi agenti a chiederci ormai nuovi strumenti di analisi delle opportunità e dei bisogni del cliente, di presenza sui social. Dobbiamo continuare a gestire anche sul piano culturale un cambiamento che continuerà a essere fondamentale».

ACCELERARE SENZA STRAVOLGERE

Del resto, la trasformazione già in atto ha consentito a una istituzione come Banca Monte dei Paschi di Siena di passare in pochissimo tempo da “zero a mille” del nuovo assetto lavorativo remotizzato. «Fortunatamente, le attività che abbiamo dovuto svolgere si sono inserite in un contesto di cambiamento con numerosi interventi tecnologici realizzati» – spiega Fabio Schiera, responsabile Servizio Data Governance e Reporting Management di MPS. «Migliaia di colleghi sono entrati in smart working grazie alle tecnologie di cui disponevamo, tanto che sui dipendenti il problema era legato alla predisposizione mentale di persone che hanno dovuto rifocalizzarsi su attività che prima venivano svolte solo in ufficio». L’operatività di MPS non ha subito contraccolpi, anche se alcuni aspetti – come riconosce Schiera – hanno funzionato meglio di altri. La gestione dei bonus concessi a sostegno dell’economia, per esempio, in assenza di un unico sistema centralizzato per la prenotazione degli appuntamenti, è stata organizzata a livello locale, con continui interventi di fine-tuning e con un forte impatto sugli orari. «Un’altra difficoltà è quella legata alle nuove disposizioni di legge che prolungavano la durata di documenti e scadenze. L’intervento diretto sui sistemi informativi ha fatto scattare parecchi allarmi» – osserva Schiera. Lo staff, sottolinea il responsabile della data governance di MPS, ha però trovato una forte motivazione nel senso di prossimità con i clienti. «Adeguarsi è stato un bel modo per essere vicini a correntisti che per primi si erano trovati fuori da ogni comfort zone. E anche per noi, questo è stato lo spirito giusto per rispondere al cambiamento».

Il Covid, a ben guardare, non ha portato a un completo stravolgimento, «bensì ha accelerato in pochissimo tempo un processo di cambiamento già presente, in particolare nei comportamenti che ci consentono di poter disporre in ogni momento e ovunque di determinati servizi» – sostiene Antonello Liguori, finance global account manager di Cisco. Secondo Cisco sono in funzione 20 miliardi di dispositivi digitali. Tra soli due anni questa cifra sfiorerà i 30 miliardi. Tutti questi dispositivi connessi, dal televisore smart al bracciale per il fitness, generano i servizi. Con l’88% delle aziende nel mondo che oggi incoraggiano i loro dipendenti a lavorare da casa, cambia inevitabilmente il modo di essere clienti. È su questo tipo di relazione che si concentra oggi l’azione di Cisco, che per la prima volta genera più business con sofware e servizi che con la vendita di apparati di rete. «Il grosso degli investimenti riguarda il cloud pubblico o privato» – afferma Liguori. Nel data center e nel cloud la parola chiave è automazione: agilità e disporre in ogni momento dell’insight necessario». Nel contesto rappresentato da questa discussione, il caso di Banca Carige ha una sua specificità dovuta alla storia recente di esternalizzazione dell’intero sistema informativo del gruppo a una newco controllata da IBM. Proprio nel 2020, questo controllo è arrivato al 100% e la transizione definitiva è avvenuta nel pieno dell’emergenza sanitaria – come racconta Marco La Fauci, responsabile ufficio infrastrutture e architetture e sicurezza di Carige.

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Uno dei primi obiettivi ha riguardato ovviamente la messa in smart working di 2.500 persone operative, con le difficoltà che molti hanno dovuto affrontare nel reperire e mettere a punto i dispositivi completamente gestiti in remoto. «Un’altra sfida da affrontare è stato il contact center per la clientela, che gestivamo in house. La flessibilità con cui era possibile potenziare le architetture, ci ha permesso di raddoppiare il numero di addetti per gestire le relazioni con i correntisti. Alcune tecnologie erano già state attivate, almeno limitatamente a certi ambiti e profili. La progettualità già prevista è stata tuttavia fortemente accelerata e anche altri prodotti ci hanno portato a estendere l’uso del cloud e dei servizi delle terze parti». Malgrado l’emergenza, i sistemi informativi Carige hanno mantenuto i livelli di produttività necessari – osserva La Fauci – anche se l’impegno a livello di governance è stato notevole.

COMPENETRAZIONE DI SERVIZI

«Nelle dinamiche interne e verso i clienti, il Covid ha sostanzialmente accelerato in modo importante tutta una serie di trend e progettualità che erano già in essere» – riconosce Luigi Altavilla, responsabile Area Sicurezza di Crédit Agricole Group Solutions. Ovviamente, i numeri che riguardano la remotizzazione di percentuali così elevate del lavoro d’ufficio spostano in modo sostanziale tutte le criticità, anche in termini di sicurezza. «Volumi e concentrazione di attività di questo tipo simili a quelle che abbiamo vissuto nella fase pandemica, oltretutto con una forza lavoro quasi completamente remota, hanno comportato tematiche che in precedenza non c’erano o erano solo marginali perché gestibili in modo più sereno» – spiega Altavilla. Tuttavia, l’intero settore ha dato prova di grandi capacità di reazione rapida, anche in ambiti di relazione diversi dai contatti personali con la clientela. Infatti, se su questo fronte la necessità di ricorrere a lavoro e collaborazione da remoto ha creato una certa tensione, la pandemia ha dato una forte spinta all’uso dei canali digitali. «Mi ritrovo nell’esperienza citata da Michele Carmina di Generali» – conclude il suo intervento Altavilla. «Anche sul fronte bancario si tratta di dare nuovi strumenti sia all’interno degli istituti sia direttamente ai clienti. E in questo senso, molti progetti hanno ricevuto una spinta notevole. L’obiettivo è integrarsi sempre di più nel mondo delle filiali per arrivare a una compenetrazione con i servizi diretti digitali, in una modalità più legata al business che all’operatività».

Come sono andate le cose in una realtà come Cedacri, i cui servizi sono destinati a essere veicolo di produttività e cambiamento per tante banche clienti? Anche qui, conviene Fabio Arimburgo, product manager Finanza e Normativa di Cedacri, l’emergenza sanitaria non ha fatto altro che imprimere maggiore velocità a un piano di innovazione avviato da tempo. «Uno dei temi riguarda per esempio l’open banking. Permettere alle componenti retail dei nostri client e a quelle erogate da terze parti di interoperare, è una missione che appartiene al DNA di Cedacri». Un aspetto che ha ricevuto particolare attenzione in questo lavoro di orchestrazione, riguarda la questione del digital trust, costruita sulla base di una relazione molto diretta con i clienti e che di colpo ha dovuto affrontare la sfida della remotizzazione. «Preservare questa fiducia anche di fronte a un tale mutamento nelle relazioni significa cambiare molti paradigmi» – sottolinea Arimburgo. «Cedacri ha dato vita a un layer tecnologico di aggregazione che permette di rafforzare il richiamo dei servizi in modo incrociato, nei confronti sia del nostro sistema verso i clienti finali, sia verso i fornitori esterni».

OPEN INNOVATION

Il cliente multibancarizzato che accede ai servizi di investimento previsti dalle normative PSD2 ha una visibilità completa e sicura sulle informazioni che gli competono; così come chi accede ai nuovi servizi di prestito istantaneo. Nell’ambito del cosiddetto digital wealth, Cedacri investe per migliorare la percezione a ogni livello. Il monitoraggio degli investimenti effettuati permette, con gli strumenti della collaborazione remota, di ricevere attraverso le interfacce di home e mobile banking, i documenti da firmare digitalmente. Dalla collaborazione con le fintech nascono soluzioni come Robot Advisor, che affianca il cliente investitore in modalità self-service, creando una relazione di fiducia senza il diretto intervento degli operatori. «Anche da un punto di vista organizzativo – conclude Arimburgo – lo sviluppo dei nuovi servizi avviene in un clima stimolante, in cui il modello Agile abilita un lavoro molto veloce, favorendo un mutamento di paradigma raggiunto per “sprint” successivi. In un gruppo bancario che ha come obiettivo la creazione di valore nel corso del tempo – interviene Stefano Zoni, chief data & analytics officer di Credem Banca, la digitalizzazione fa necessariamente parte di un progetto consolidato. Da diversi anni, per esempio, i dipendenti avevano la facoltà di scegliere una formula di remote working per due giorni alla settimana. «Il lockdown ha colpito noi come tutti, ma sotto un certo punto di vista eravamo pronti e consapevoli sulle modalità da adottare» – afferma Zoni. Il cambiamento ha portato tante opportunità in più, ma queste, secondo Zoni, si collegano a un concetto di responsabilità. «Uno dei compiti del sistema bancario sarà quello di aiutare le persone ad abituarsi al “new normal”, perché se molti pensano che fuori da questa industria tutti siano pronti, in realtà non è affatto così. Ci sono molti problemi da affrontare e rischi che comportano forti margini di errore». Per quanto concerne i dati, il responsabile degli analytics di Credem ritiene che la vera sfida oggi consista nel trovare la calibrazione corretta tra risorse on prem e in cloud, ma quest’ultimo non deve essere l’unica priorità. «Concentrarsi su una singola tecnologia sarebbe prematuro. Siamo interessati a un approccio più evolutivo e cerchiamo di essere attenti a ogni possibilità».

Riprendendo la parola in rappresentanza del settore assicurativo, Simona Squaglia, customer data manager, Analytics & Business Intelligence di UnipolSai dice di ritrovarsi nello scenario descritto. «La rete fisica di UnipolSai ha una valenza decisiva, con tutta la criticità che comporta la decentralizzazione dello sviluppo commerciale». Il Covid ha imposto una battuta d’arresto su alcune aree di innovazione costringendoci ad accelerare la pianificazione del lavoro remoto, per garantire l’operatività della rete agenziale e della struttura direzionale». L’emergenza – prosegue Simona Squaglia – ha ovviamente determinato un netto calo del numero di sinistri da gestire. Per UnipolSai, è stato lo spunto per incentivare la clientela a osservare comportamenti più virtuosi, che riducessero le occasioni di rischio e di incidente. «Abbiamo puntato moltissimo su una comunicazione molto incentrata su nostri touchpoint digitali, facendo leva sulla nostra app per cercare di andare incontro a una digitalizzazione ancora più spinta, dovendo comunque contrastare una convinzione culturale radicata per cui il business assicurativo è tendenzialmente visto come una trattativa personale».

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IL RISCHIO DELLA SPERSONALIZZAZIONE

Lo strumento digitale, insomma, è un’arma a doppio taglio, che aumenta l’efficacia ma rischia di spersonalizzare troppo. «Il nostro è un mercato di prodotti complessi, svilupparli solo in digitale è molto sfidante» – continua Simona Squaglia. «Ci siamo quindi concentrati su formule il più possibile semplici, che andassero a sostegno della situazione contingente e sulla prossimità al cliente per creare fidelizzazione, offrendo anche prodotti o occasioni di upselling gratuiti, per far sentire la nostra presenza in un momento di difficoltà». Sul versante dei dati, UnipolSai sta investendo soprattutto sull’aspetto della centralizzazione dell’informazione e sull’uso di tecnologie come il machine learning, per aumentare modalità sempre più avanzate nell’uso di questa informazione.

A questo proposito – afferma Gabriele Obino, regional VP Southern Europe and Middle East di Denodo, chiudendo il primo giro di pareri – molti degli interventi vanno nella direzione della spinta verso un modo diverso di affrontare i problemi. «Tutti hanno accelerato per essere vicini ai clienti e favorire la propria forza lavoro senza perdere produttività. Del resto, nella difficoltà tendiamo a sviluppare idee che non vengono neppure percepite quando ci troviamo in una comfort zone». La spinta verso il cloud, che contraddistingue già da tempo il settore del finance, aumenta ma le istituzioni del settore devono continuare a essere prudenti. «Soprattutto chi ha un modello di servizio B2C deve però accelerare, facendo in modo che fisico e digitale vadano sempre a braccetto» – avverte Obino. «E se le stime di Gartner, secondo cui nel 2025 otto aziende su dieci ricorreranno a più di un fornitore cloud, è inevitabile che la gestione dei dati, che tutte queste connessioni generano, debba essere affrontata non più sul piano delle risorse fisiche, bensì sul piano logico come vuole la filosofia di Denodo».

Nella parte della discussione più focalizzata sulle politiche dei dati e della sicurezza, Michele Carmina di Generali riprende il discorso sulla complessità dei prodotti assicurativi della collega Simona Squaglia di UnipolSai per sottolineare come oltretutto questi prodotti si muovono in un inedito spazio di multicanalità. «Si tratta quindi di raccogliere i dati del cliente per capirne abitudini e necessità nel momento giusto e sul canale giusto. L’agente o la app da soli non bastano più: è l’insieme dei canali che conta e ci costringe a cambiare modalità di intervento». Le reti assicurative vengono dotate di nuovi strumenti di relazione digitale, ma a queste si aggiungono altre fonti di dati da raccogliere direttamente e indirettamente e da valorizzare, possibilmente con l’aiuto dell’intelligenza artificiale o il machine learning per migliorare i processi assicurativi e per velocizzare e ottimizzare i processi più ripetitivi grazie all’automazione. «La governance della qualità dei dati è fondamentale per prendere le giuste decisioni» – conclude Carmina. La regolamentazione 38 dell’Istituto di vigilanza delle assicurazioni, IVASS, aiuta molto anche nelle strategie sugli analytics». La crescita dell’automazione ha però inevitabili ricadute in termini di competenze e re-skilling delle risorse interne e Generali affronta il problema attraverso innovative politiche di formazione. «Penso in particolare a iniziative come le New Role Schools, veri e propri mini-master pensati per coltivare i ruoli del futuro».

VECCHI PARADIGMI, ADDIO

Secondo Fabio Schiera di Montepaschi la vera questione è che siamo chiamati a progettare questo futuro in un contesto in cui l’unica certezza è che alcuni dei vecchi paradigmi sono saltati e non ritorneranno. «Dobbiamo insomma ripensare alcune scelte di base» – afferma Schiera, chiedendosi per esempio, se a fronte di previsioni di ripopolamento delle periferie a causa del diffondersi della larga banda, le banche debbano davvero chiudere le filiali più piccole. «Eppure, tutti hanno costruito i loro siti web per vendere i servizi online e tutto quello che faremo d’ora in avanti sarà governato da un universo di dati». In questo senso è inutile illudersi che gli algoritmi di AI, machine learning e robotizzazione ne saranno il fondamento. «Se tutto questo non si muove su un substrato di informazione davvero solido si rischia solo di prendere le decisioni sbagliate». Le diverse data strategy per i prossimi tre anni sono condizionate da una visione del mondo che aveva già cominciato a cambiare. «La priorità non è spostarsi o non spostarsi sul cloud, ma trovare il modo di far dialogare centinaia di app con altrettanti database su cinque tipi diversi di piattaforma senza che si debbano spostare masse di dati da una parte all’altra per poter fare una query».

Un percorso, quello della integrazione dei dati, tanto più complesso da governare se si considerano che le funzioni di indirizzo, dentro alle organizzazioni del mercato finance, non sono quelle di una startup come Tesla. Ecco quindi che anche il sistema di alta formazione di MPS in ambito dati passa per un meccanismo simile ai master interni e riguarda – come spiega Schiera – circa quattromila persone. «L’acquisizione dei talenti dall’esterno verso aziende come le nostre è pieno di vincoli. Internamente, viceversa, si tratta di recuperare tante persone finite in ruoli non coerenti con la loro formazione, con competenze che rappresentano ancora una ricchezza. Il mondo che vince ragiona in modo agile e il “waterfall” tatuato nel DNA, che per MPS risale al 1472, deve cambiare». Continuità della relazione e trasparenza su dati e servizi sono solo due dei pilastri su cui si regge la fiducia nei confronti dell’istituzione finanziaria. «Il terzo – ricorda Antonello Liguori di Cisco – è la cybersecurity». Secondo le periodiche valutazioni di Cisco presentate nel report globale Security Outcomes Study 2021, il fenomeno del furto dei dati è in forte crescita. «Nell’ultimo anno è stato trafugato un volume di dati pari a quello dei 15 anni precedenti e il rischio per il mondo bancario è molto più elevato che in altri settori, proprio per la forte digitalizzazione e l’apertura. Per questo, le banche si sono fatte trovare più pronte di altri soggetti».

LA CULTURA DELLA CYBERSECURITY

La risposta corretta non sta solo nella compliance – spiega Liguori di Cisco. Ma nella cultura. «Fortunatamente, oggi c’è maggiore predisposizione nei confronti della cybersecurity. Il tema viene discusso nei summit con i presidenti dei CDA e con i CIO. La consapevolezza favorisce l’accantonamento di risorse da investire in tecnologie e nuovi talenti». Gli obiettivi di un valido sistema di sicurezza sono la visibilità sugli attacchi e le vulnerabilità, e una semplificazione di sistemi spesso popolati dalle soluzioni di decine di vendor diversi. «Cisco – conclude Liguori – ha formato in Italia 12mila esperti sul fronte della sicurezza. È necessario inoltre fare ecosistema con le fintech e l’università. A Milano, Cisco ha recentemente promosso l’apertura di un centro globale di co-innovation presso il Museo della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinci”.

In un periodo in cui l’acquisizione di nuovi dati viene rallentata dal lockdown, Banca Carige – interviene Marco La Fauci – si concentra sul patrimonio interno, affinando i suoi modelli distribuiti di ricerca e insistendo molto sulla data quality. «Attraverso i webinar cerchiamo di sensibilizzare i nostri esperti sulle figure dei data steward e dei data owner, anche adottando una strumentazione da applicare nei processi di qualità del dato. Inoltre, abbiamo sviluppato un data warehouse interno in cui il concetto di “vista”, equivalente a un vero e proprio servizio, serve a evitare eccessive complessità». Avere una visione corretta del dato aiuta molto a modulare gli interventi in materia di sicurezza. «La flessibilità e la visibilità aiutano ad affrontare gli attacchi dall’esterno, ma con l’esplosione di canali e modelli di servizio il punto debole rimane quello della possibile manipolazione dei clienti finali, che devono percepire il nostro supporto se non vogliamo che venga erosa la fiducia verso la banca. Dobbiamo essere proattivi e reattivi al tempo stesso». Seguendo una strategia che si declina sui tre pilastri della valorizzazione del patrimonio informativo, delle risorse aziendali e delle competenze dei colleghi, Credem ha concepito l’idea del Data Hero.

«In questo percorso evolutivo – spiega Stefano Zoni – abbiamo sviluppato un percorso di data governance. Operando in un ambito di sicurezza, ci sono diverse normative che riguardano ruoli e processi e ci permettono di integrare la buona gestione del dato in tema di analytics, che comprende anche il mondo dell’AI e del machine learning». Non è solo un concetto tecnologico – aggiunge Zoni – ma di data culture, perché un buon governo dei dati e una buona analisi non hanno valore se il messaggio non viene percepito. E per veicolarlo, Credem lavora anche sulla formazione delle persone al fine di creare un percorso “Data Driven” virtuoso. «Il valore ultimo è quello delle persone».

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GLI EROI DELLE INFORMAZIONI

Credem ha scelto di non mettere in risalto il ruolo da tuttologo del data scientist perché solo una squadra può essere vincente». Il percorso di formazione dei “data hero” prevede quattro profili: l’information governor che governa il patrimonio informativo; il data engineer che ha il compito di ingegnerizzare il pacchetto di strumenti analitici; il data scientist che trova insight nei dati e l’information designer che abilita alla presa di decisione. «Oggi – conclude Zoni – cinquecento su settemila addetti sono “data hero” e lavorano in modo interfunzionale, indipendentemente dai dipartimenti, riconoscendosi solo sulle proprie competenze, arricchite costantemente attraverso percorsi formativi e operativi, partecipando a iniziative come il recente “Datathon”. Su tutto il tema dei dati – riprende Fabio Arimburgo di Cedacri – siamo solo all’inizio. Il grande service provider ha allestito un data lake “democratico”, pronto ad accogliere un bagaglio molto diversificato. «Ci sono clienti con stratificazione ultradecennale e il nostro data lake può acquisire dati di clienti e terze parti, in una visione olistica sulla quale costruire case in grado di sfruttare l’ecosistema del cliente oltre a quello di Cedacri». Diversi clienti mettono a disposizione le loro informazioni anonimizzate, per dar vita a clusterizzazioni interessanti per una realtà molto disomogenea per tipologie e territori di appartenenza.

GESTIRE LA COMPLESSITÀ

Davanti a queste disomogeneità il rischio di basarsi su dati di bassa qualità è elevato, ma Cedacri cerca di raggiungere l’obiettivo della “golden source” di riferimento attraverso opportuni incroci. Un altro livello di ricerca riguarda l’identificazione di legami e interazioni trasversali ai clienti e ai prodotti, attraverso lo sviluppo di “data dictionary” attendibili e know-how di algoritmi e informazioni che sono la base di nuovi use case. «È un lavoro limitato solo dalla fantasia» – conclude Arimburgo. «Per esempio, abbiamo sottoposto a una rete neurale i dati che servono a valutare il rischio di credito. Abbiamo utilizzato motori di AI per interrogare il data lake usando il linguaggio naturale. E abbiamo sviluppato un sistema di dynamic pricing che determina il prezzo dei servizi sulla base del comportamento dei clienti».

Nel suo ruolo di responsabile dell’area sicurezza di Crédit Agricole, gli obiettivi di Luigi Altavilla non sono delimitati solo dagli obblighi di natura normativa. «È soprattutto una questione di sostenibilità da garantire all’azienda perché oltre al fenomeno delle frodi, anch’esso in crescita, mi spaventa la complessità degli attacchi, che hanno obiettivi sempre più ambiziosi». Temi come l’esfiltrazione di dati e il ransomware – che determinano il blocco di intere aziende, specialmente le più piccole, spesso a livello geografico e distrettuale – hanno raggiunto un livello di guardia. In tutti questi casi, gli attaccanti mostrano di aver sviluppato competenze evolute e una organizzazione che prevede diversi layer di attacco, in perfetto stile “as a Service”, per sfruttare le vulnerabilità con tanti livelli di sicurezza perimetrale che sono venuti meno. «Il cambiamento riguarda il passaggio da una sicurezza “signor no” a una protezione che incide sulla usability. Tutti i sistemi online sono utilizzabili se i meccanismi di autenticazione funzionano. Su questo Crédit Agricole sta facendo una grossa attività. Occorre strutturarsi a 360 gradi non solo sul piano delle operations, ma convergendo verso soluzioni evolute in ottica preventiva, con sistemi di Security information and Event management (SIEM), antifrode, fino ad arrivare a strutture e processi di governance della sicurezza con attività legate al mondo delle infrastrutture».

IL DIGITAL TWIN DEL CLIENTE

Nell’anno in cui il numero di interazioni con la rete fisica di UnipolSai si è decisamente ridotto – come riferisce Simona Squaglia – il gruppo assicurativo si è focalizzato sul recupero di informazioni che non potevano più provenire solo dalla rete. «Abbiamo investito per costruire una identità univoca dei clienti e dei prospect, definendo tutta una serie di regole di match and merge dei dati raccolti dai sistemi interni della compagnia e di quelli delle società del Gruppo, per consolidare il patrimonio informativo, condividerlo con la rete e sfruttarne al massimo le potenzialità in termini di sviluppo commerciale. Abbiamo realizzato una nuova master data management platform, una delle realizzazioni più importanti e uniche osservate durante il mio percorso professionale, con l’obiettivo di avere una unificazione dal punto di vista delle anagrafiche e dei singoli dati. Avere la disponibilità del dato senza ridondanze, su una ricca varietà di sistemi è stata un punto di svolta» – conferma Simona Squaglia, considerando le difficoltà intrinseche nel digitalizzare il cliente di un servizio assicurativo, a fronte della sua estrema variabilità in funzione dell’età anagrafica. «Ci scontriamo sempre con il reperimento delle informazioni digitali: il fattore differenziante che ci consente di realizzare campagne data-driven» – ribadisce Squaglia. «La sfida è cercare di interagire sempre di più con i clienti per stimolarli all’uso delle app firmate UnipolSai, perché i dati digitali e l’interazione omnicanale sono il futuro del business, nel rispetto comunque del monitoraggio da parte dell’organizzazione interna dell’applicazione della normativa privacy come elemento non negoziabile neppure a vantaggio dell’agilità di business».

Dagli interventi ascoltati, possiamo dire di aver acclarato il fenomeno di una distribuzione senza precedenti dei dati su cui in passato gli istituti finanziari potevano esercitare uno stretto controllo. «La moltiplicazione dei touchpoint e dei collaboratori delocalizzati, unita alla multicanalità e al nascere di infrastrutture ibride e multicloud rendono centrale il tema della correlazione e dell’integrazione dei dati» – conclude Gabriele Obino di Denodo. «La strada dell’integrazione logica è l’unica percorribile per evitare ridondanze molto costose» – sottolinea Obino, citando le affermazioni del responsabile della data governance di Montepaschi. «La piattaforma Denodo adotta un approccio che guarda alla semantica non alla fisicità del dato. E queste non sono le valutazioni degli analisti, bensì dei clienti costretti a individuare un punto di sintesi di tutta questa proliferazione».

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Point of view

Intervista a Fabio Arimburgo, product manager Finanza e Normativa di Cedacri: L’aggregatore per la banca digitale

Intervista ad Antonello Liguori, finance global account manager di Cisco: Un futuro di semplificazione

Intervista a Gabriele Obino, regional VP Southern Europe and Middle East di Denodo: Campione di time-to-market