Sviluppo di reti e strutture di prossimità. Telemedicina e teleassistenza. Valorizzazione dei dati sanitari per ribaltare il paradigma della medicina territoriale. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede riforme e investimenti per il potenziamento del sistema salute. L’esperienza sul campo di Vivisol, Evidation Health e Policlinico Gemelli di Roma
La pandemia da Covid-19 ha messo a dura prova il nostro Sistema Sanitario Nazionale, richiedendo un dispendio di risorse per fronteggiare la situazione di emergenza: nel Documento di Economia e Finanza si legge che la spesa sanitaria nel 2020 è cresciuta del 6,5% rispetto all’anno precedente, arrivando a circa 123 miliardi. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) l’emergenza sta stimolando anche la crescita del mercato della sanità digitale. I diversi periodi di lockdown imposti in questo periodo per fermare il virus hanno portato a restrizioni sulla circolazione delle persone, accrescendo in cittadini, professionisti sanitari e manager delle strutture sanitarie la consapevolezza di quanto sia cruciale il contributo del digitale nel processo di prevenzione, accesso, cura e assistenza. Pur nelle enormi difficoltà di questo periodo, i modelli di cura sono stati forzatamente ridisegnati in ottica Connected Care, ripensando con l’aiuto del digitale ciascuna fase per ridurre le ospedalizzazioni e per gestire i pazienti sul territorio. Il sistema diventerà necessariamente più remoto, connesso e sostenibile: le persone eviteranno di andare in ospedale, tranne in circostanze inevitabili, si potranno connettere virtualmente con i loro medici, mentre le cure primarie e i servizi sanitari ambulatoriali potranno essere coordinati a distanza.
Secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, lo scorso anno la spesa per la Sanità digitale in Italia è stata pari a 1,5 miliardi di euro, corrispondente a circa 25 euro per abitante, l’1,2% della spesa sanitaria pubblica. C’è stato un aumento del 5% rispetto al 2019, confermando il trend degli anni precedenti (+3% nel 2019, +7% nel 2018). Il digitale rappresenta una priorità per le strutture sanitarie italiane, per superare le fragilità del nostro sistema, tra le quali la disparità a livello socioeconomico e geografico nell’accesso ai servizi, la ridotta integrazione tra servizi ospedalieri e servizi territoriali, i tempi di attesa molto elevati per l’accesso ad alcune prestazioni sanitarie. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) si è posto tra gli obiettivi prioritari proprio il superamento di queste fragilità, prevedendo un capitolo (Missione 6) di riforme e investimenti dedicati al settore salute per un totale di
15,63 miliardi di euro di cui 8,63 per l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione, con particolare focus sul Fascicolo Sanitario Elettronico, e 7 per lo sviluppo di reti di prossimità e strutture, e per la telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale. Se si riuscisse a sfruttare pienamente le tecnologie digitali, il cittadino-paziente sarebbe posto al centro dei processi di prevenzione e cura, soddisfacendo una delle linee guida dell’ISS: per far questo, occorre rivedere la relazione fra operatori e pazienti e consentire un migliore e più rapido accesso alle informazioni e ai servizi sanitari, così da rendere più appropriato e sostenibile il rapporto con i professionisti sanitari e con il sistema salute.
I SERVIZI DIGITALI
Secondo i dati dell’Osservatorio, i servizi digitali più utilizzati dai cittadini sono il ritiro online dei documenti clinici (37% dei cittadini che hanno fatto accesso al servizio referti, rispetto al 29% rilevato a inizio 2020), le prenotazioni online di visite o esami (26% contro il 23%) e il pagamento delle prestazioni (17%, in aumento dal 15%). La sfida per il futuro sarà di mettere a disposizione dei cittadini servizi digitali progettati tenendo in considerazione le loro esigenze, che siano semplici da utilizzare, facilmente accessibili, e integrati nel Fascicolo sanitario elettronico (FSE), strumento che può diventare sempre più vantaggioso per cittadini e pazienti. Una ricerca di Doxapharma mostra come i pazienti ritengano importante integrare nel FSE, oltre a referti e ricette, anche sistemi per la prenotazione online di visite ed esami (78%), ma anche i propri piani di cura (80%) e le informazioni sulla propria patologia (78%) e su prestazioni sanitarie convenzionate o con esenzione (77%). Dalla stessa ricerca, emerge che nei mesi centrali dell’emergenza sanitaria è aumentato il numero di cittadini che ha utilizzato Internet per informarsi sui corretti stili di vita. Il 79% di chi ha cercato in passato questo tipo di informazioni intende farlo in futuro attraverso i canali digitali, il 74% è interessato a farlo per problemi di salute e malattie, il 73% per farmaci e terapie. Diverse istituzioni, aziende sanitarie e altri enti in questo periodo hanno introdotto dei chatbot per rispondere in maniera automatica alle principali richieste da parte dei cittadini sul tema Covid.
Secondo IDC, la crescita degli sviluppi nella porta d’accesso digitale ai servizi migliorerà l’esperienza della salute dei pazienti. In quest’ambito, in Europa è previsto un aumento di spesa del 51% in app per mobile, 50% in servizi al paziente e in infrastrutture di supporto, 39% in AI e machine learning. Entro il 2023, il 65% dei pazienti europei avrà accesso alle cure tramite una porta d’accesso digitale. In questo anno e mezzo, IDC ritiene che i consumatori europei di servizi sanitari siano stati a proprio agio negli incontri virtuali con i loro medici, mentre i medici hanno approfittato della tecnologia delle riunioni remote anche per ottenere informazioni utili dai rappresentanti di vendita del settore farmaceutico. Ciò si aggiunge a una tendenza a lungo termine verso canali digitali come e-mail certificate, portali di siti Web di aziende farmaceutiche, webinar, conferenze virtuali. Gli incontri di persona aumenteranno sicuramente con la scomparsa della pandemia, ma i medici prescrittori continueranno a fare sempre più affidamento su questi strumenti digitali remoti che offrono la comodità di accedere alle informazioni sui farmaci e sui dispositivi dove, quando e come lo desiderano, migliorando la produttività e riducendo i costi per le aziende sanitarie. Anche secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, l’utilizzo delle piattaforme di collaborazione ha subito un forte balzo in avanti durante l’emergenza sanitaria: il dato è confermato dall’utilizzo da parte dei medici di medicina generale (52% contro 12% pre-emergenza), dei medici specialisti (70% contro 30%) e dei pazienti (30% contro 11%). I pazienti dimostrano un notevole interesse verso queste modalità di comunicazione: il 74% vorrebbe utilizzare in futuro le comunicazioni con i medici via SMS, l’82% tramite piattaforme di collaborazione, il 94% via e-mail, addirittura il 96% tramite app di messaggistica istantanea.
«Il digitale sta cambiando i tradizionali punti di contatto della Sanità, introducendone di nuovi, come siti web, app e chatbot» – conferma Chiara Sgarbossa, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità. «Le nuove tecnologie devono essere impiegate per riprogettare l’esperienza degli utenti affinché possano accedere più facilmente e velocemente a informazioni e servizi secondo modelli di cura innovativi e sostenibili. Sarà importante da questo punto di vista superare barriere e diffidenze, riconoscendo la specificità dei diversi profili di cittadini e sapendo progettare percorsi differenziati in grado di superare il potenziale “digital divide”, che rischierebbe di escludere proprio quelle fasce di popolazione che hanno maggiore bisogno di sostegno». Le diverse competenze digitali di base dei cittadini limitano maggiormente l’utilizzo dei canali digitali soprattutto tra gli anziani: il 70% della popolazione utilizza abitualmente PC, tablet o smartphone, ma questa percentuale scende al 30% tra gli over 65. La costruzione del nuovo modello di Sanità connessa dovrà anche essere necessariamente inclusiva: per far questo sarà importante sviluppare la cultura e le competenze digitali di professionisti sanitari, cittadini e pazienti.
VALORIZZAZIONE DEI DATI
L’utilizzo delle tecnologie digitali, in un momento di così forte pressione su medici e ospedali, ha facilitato le analisi dei dati alla base delle decisioni cliniche e dato supporto alle strutture sanitarie nella continuità di cura e nell’operatività. La sfida principale per i prossimi anni è la costruzione di un sistema sanitario connesso basato su soluzioni digitali in grado di generare dati, raccoglierli, integrarli, condividerli e valorizzarli, grazie all’utilizzo di Big Data e di analytics. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, le aziende sanitarie dimostrano un livello di maturità nella gestione e valorizzazione dei dati sui pazienti, soprattutto per quanto riguarda i dati di tipo amministrativo: il 62% li analizza con strumenti di descriptive analytics, l’8% con logiche di advanced analytics, mentre il 14% li raccoglie e non li analizza. I dati gestionali e organizzativi sono analizzati in modalità descrittiva dal 43% delle aziende, con strumenti avanzati dal 5%, mentre il 24% non li analizza anche se disponibili. Le fonti dei Big Data sono molteplici: cartelle cliniche elettroniche, dati del sistema sanitario, analisi di laboratorio, messi in relazione con informazioni demografiche, ricerche scientifiche e cliniche. Questi dati sono poi incrociati con i dati provenienti da app, dispositivi indossabili, sensori che monitorano lo stato di salute.
Secondo Ennio Tasciotti, professore di Tecnologie Biomediche all’Università San Raffaele di Roma, fondatore e direttore del Centro di Medicina Biomimetica del Methodist Hospital Research Institute di Houston, i Big Data hanno la possibilità di migliorare in modo deciso la nostra salute e la medicina avanza in direzione delle 4P: personalizzata, predittiva, preventiva, partecipativa. «La scienza dei dati avrà un ruolo centrale nel futuro della medicina e permetterà di mettere in relazione, per esempio, le spese farmaceutiche con l’incidenza di determinate malattie, oppure correlare il profilo genomico di ciascun cittadino con la sua alimentazione e il suo stile di vita, prevedendo con quali probabilità certe malattie possano svilupparsi».
Nonostante questo periodo di difficoltà, anzi in qualche caso proprio come supporto alla gestione dell’emergenza sanitaria, sono stati sviluppati diversi progetti interessanti. Tra gli altri, merita una menzione quello sviluppato dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, che utilizza soluzioni di Advanced Analytics per prevedere gli afflussi in terapia intensiva, capire le eventuali complicanze mediche dei malati di coronavirus, pianificare il lavoro nei reparti, prevedere gli impatti sull’organizzazione, nonché programmare e gestire in modo efficace la somministrazione dei vaccini.
A raccontare il progetto, ci viene in aiuto Andrea Cambieri, direttore sanitario di Presidio del Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma: «In stretto contatto con la direzione ICT, guidata dal direttore Paolo Sergi e, in particolare, con la divisione Data warehouse e Flussi IRCCS coordinata da Antonio Marchetti, abbiamo cercato di capire quali metriche fossero più idonee. La sfida è definire un numero ristretto e gestibile di indicatori di cui una parte sono esterni, come per esempio l’andamento dei contagi o l’indice R con T, e una parte sono interni, come gli accessi al pronto soccorso, i tamponi risultati positivi sul totale dei tamponi effettuati, il coefficiente di operatori che si ammalano, la forza lavoro che può rientrare, i posti letti disponibili, e così via. Tutti indicatori necessari per capire come “gestire il fronte” – mette in evidenza Cambieri – cosa che riusciamo a fare con la capacità predittiva sfruttando le potenzialità della piattaforma che utilizziamo». I numeri aiutano a capire dove, come e quando gestire in modo dinamico i posti letto in più, per esempio, non solo per le terapie intensive ma anche posti letto “normali” da convertire in letti per le zone sub-intensive e letti per i malati meno gravi che devono comunque essere gestiti in reparti ad hoc, reparti Covid. «Serve una pianificazione accurata perché gli impatti sono molteplici» – spiega Cambieri. «È necessario allertare il servizio tecnico per far arrivare l’ossigeno, pianificare il lavoro e i turni di medici e personale infermieristico, organizzare il trasferimento dei “malati bianchi”, pazienti non Covid, recuperare gli asset, macchinari necessari al monitoraggio dei pazienti, farmaci, presidi medici. Senza una capacità di gestione previsionale, con analisi predittive, questa organizzazione sarebbe pressoché impossibile. Ci troveremmo nel caos».
TELEMEDICINA E TELEASSISTENZA
Nell’ambito dell’attuazione dei servizi di sanità in rete, secondo l’ISS assume grande rilevanza la definizione di modalità tecnico-organizzative finalizzate a consentire l’integrazione socio-sanitaria e a sostenere forme innovative di domiciliarità. I servizi di telemedicina possono rappresentare, in questo senso, una parte integrante del ridisegno strutturale e organizzativo della rete di assistenza del Paese. La telemedicina può in particolare contribuire a migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria, consentire la fruibilità di cure, servizi di diagnosi e consulenza medica a distanza, permettere il costante monitoraggio di parametri vitali, al fine di ridurre il rischio d’insorgenza di complicazioni in persone a rischio o affette da patologie croniche.
La telemedicina in questo periodo ha registrato un vero e proprio boom di interesse fra gli operatori del settore: i medici hanno compreso quanto sia fondamentale per garantire la continuità delle cure, anche a domicilio, e per l’integrazione tra ospedale e territorio, e quanto possa rappresentare un alleato importante per mantenere un contatto più costante e appropriato con i pazienti, in questa fase di emergenza, ma anche nel futuro. Secondo IDC, una piattaforma di telemedicina fa risparmiare 32 minuti di cure secondarie per paziente, e riscuote successo tra i pazienti, tanto che il 76% di essi chiede che, in caso di nuovi bisogni sanitari, vengano curati nuovamente in questa forma. IDC prevede che già quest’anno in Europa gli investimenti nelle applicazioni per il virtual care aumenteranno del 23%.
Secondo l’Osservatorio, oggi il servizio di telemedicina più utilizzato è il tele-consulto con medici specialisti (47% degli specialisti, e 39% dei MMG), seguito dalla tele-visita (39% degli specialisti e dei MMG) e il tele-monitoraggio dei propri parametri clinici (28% e 43%). Tra le aziende attive in questo settore, Vivisol, uno dei principali gruppi europei operanti nel settore dell’assistenza domiciliare in ambito sanitario. In questo difficile periodo, Vivisol ha rafforzato il proprio servizio assistenziale e risposto alle complesse esigenze dei propri clienti, adottando una soluzione di telediagnosi innovativa, che consente di monitorare i pazienti al proprio domicilio evitando il ricorso all’ospedalizzazione e rendendo in tal modo più efficiente la gestione territoriale dei malati meno gravi. La soluzione scelta dall’azienda, nella sua veste di homecare provider, le ha garantito un prezioso supporto tecnologico per le sue centrali mediche operative, così come già accaduto per le centrali di ospedali e ASST, consentendo al personale sanitario la gestione dei pazienti da remoto, tramite l’accesso a una piattaforma facile da utilizzare e intuitiva, che in pochi minuti è in grado di fornire, mediante dashboard di analisi dei dati, lo stato di salute di tutti i pazienti da monitorare. Il check-up quotidiano dei malati può avvenire scegliendo tra diverse modalità: tramite il call-center, con l’inserimento manuale dei dati raccolti, tramite il download automatico dei dati inseriti autonomamente dal paziente nella app oppure caricati via Bluetooth direttamente dal saturimetro in dotazione. In pochi anni, la tecnologia supporterà ancora meglio questi ambiti applicativi.
«Vedo un futuro interessante nell’ambito della medicina a distanza» – afferma Cambieri del Gemelli di Roma. «E non mi riferisco solo alla telemedicina che siamo riusciti ad attivare oggi, ma alla cosiddetta “tecno-assistenza” fatta di wearable device che si connettono con l’ospedale in maniera push, anche non percepita dal paziente, e che possono consentire alla struttura sanitaria di assistere i pazienti in modo proattivo, chiamando il paziente se e quando necessario. Oggi, avviene il contrario, è il paziente che chiama l’ospedale per fare visite, controlli, richieste di aiuto. La tecno-assistenza di cui l’analisi dei dati è l’elemento cardine ci consentirà di ribaltare il paradigma».
In quest’ottica, interessante l’esperienza di Evidation Health, società americana con sede in California, che ha sviluppato la piattaforma Achievement, con oltre quattro milioni di iscritti, dai quali raccoglie, previo consenso informato, informazioni cliniche e indicatori biometrici tramite comuni dispositivi tecnologici indossabili. In questo modo, l’azienda ha rovesciato completamente l’approccio tradizionale della medicina, basando la cura delle persone sulla prevenzione costante invece che su interventi che riparano i problemi quando insorgono nel nostro organismo. La mole di dati generata è notevole, le informazioni sono gestite con un rigoroso controllo della privacy dell’utente e sviscerate con analytics che permettono di individuare precocemente i primi segnali di malattie, comunicando alle persone i comportamenti da adottare per prevenirle. La piattaforma è molto semplice da utilizzare per gli utenti, ma i risultati che si ottengono possono avere un enorme impatto sulla salute pubblica: la piattaforma, infatti, può essere sfruttata per guidare i pazienti nell’analisi delle rispettive situazioni medico-sanitarie, così da innescare un circolo virtuoso dell’informazione che si traduce in cure tempestive e appropriate. È anche possibile seguire programmi personalizzati che incoraggiano attività e comportamenti salutari, o farsi monitorare i percorsi di riabilitazione, in modo che la app possa valutare se l’attività fisica che si sta facendo è sufficiente o se sono necessarie eventuali azioni complementari.
Certo, in Italia manca ancora la piena applicazione del nuovo regolamento europeo sui dispositivi medici (in vigore dal 26 maggio), che continuiamo a chiamare nuovo, anche se è del 2017, e ha già subito proroghe e aggiustamenti a causa della pandemia. I punti critici non sono pochi: il regolamento alza il livello di attenzione sulla sicurezza dei dispositivi, introducendo anche il requisito di usabilità, e mettendo in capo ai produttori importanti responsabilità di controllo su produzione e commercializzazione. Non solo. Anche molti software che erogano servizi di telemedicina, secondo il regolamento, sono da considerarsi dispositivi medici, e quindi il regolamento intercetta anche la materia del GDPR. Mentre da una parte, la telemedicina registra un vero boom di interesse, dall’altra il nuovo regolamento – almeno in questa prima fase di applicazione – potrebbe portare a una contrazione dei dispositivi medici reperibili sul mercato, a causa dei requisiti di conformità previsti dalle disposizioni europee. Si tratta di un cambiamento epocale, ma operatori sanitari, utenti finali e autorità di controllo non sono ancora completamente pronti a questo passaggio.
AI, INVESTIMENTI MARGINALI
Gli investimenti nell’intelligenza artificiale in ambito sanitario nel nostro Paese sono ancora marginali. Le strutture sanitarie hanno adottato applicazioni di AI, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di prime sperimentazioni, soprattutto basate sull’elaborazione delle immagini per effettuare attività di supporto alla decisione diagnostica e del testo libero. I medici specialisti indicano l’elaborazione delle immagini come l’applicazione di AI più utile nel supporto della propria pratica clinica e l’ambito più promettente nel prossimo quinquennio (28%). Ci sono anche sperimentazioni significative nell’interpretazione del linguaggio naturale, scritto e parlato. Secondo IDC, entro il 2024, la proliferazione di dati farà sì che il 60% delle infrastrutture IT per la Sanità sarà costruita su una piattaforma dati che utilizzerà l’intelligenza artificiale per migliorare l’automazione dei processi e il processo decisionale. L’intelligenza artificiale migliorerà la microsegmentazione dei pazienti per prevederne i rischi, permetterà cure più precise e sarà utilizzata nel triage. IDC prevede anche che entro il 2026, il 65% dei flussi di lavoro di imaging medico utilizzerà l’intelligenza artificiale per rilevare la malattia sottostante e guidare l’intervento clinico, mentre il 50% utilizzerà la teleradiologia per condividere studi e migliorare l’accesso ai radiologi. È importante sottolineare che l’applicazione di intelligenza artificiale in Sanità richiede che le informazioni da elaborare siano raccolte in digitale, e quindi la presenza di cartelle cliniche elettroniche e sistemi aziendali di gestione delle immagini diagnostiche è un prerequisito.
Secondo Paolo Locatelli, responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, per accelerare la diffusione di sistemi di intelligenza artificiale e sfruttarne tutti i potenziali benefici bisognerà agire su tre fronti: «Aumentare la disponibilità di dati, strutturati e non, in digitale per poter addestrare le soluzioni di AI e generare valore nel supportare cure personalizzate; sviluppare le competenze digitali dei medici e dei profili che si occupano di gestire queste soluzioni, con particolare attenzione ai data scientist; comprendere i limiti di questi strumenti e che il loro ruolo non sarà come sostituto del medico ma di supporto alle sue decisioni».