Effetto Bruxelles, la morsa sui giganti del Web

Effetto Bruxelles, la morsa sui giganti del Web

L’ineluttabilità del declino dell’Unione Europea è un tema che inizia a raccogliere consensi negli anni che vanno dalla caduta del Muro alla prima guerra in Iraq nel 1992. Al pari di altre narrazioni di decadenza, ormai un genere letterario codificato come la fantascienza o la giallistica, può contare su un nutrito gruppo di aedi e cultori anche qui da noi.

Alimentato peraltro da fatti come la crescita pigra dopo un decennio di austerità, lo shock della Brexit, la sin qui fallimentare gestione dei flussi migratori, gli effetti della pandemia globale e dinamiche geopolitiche più eteree come l’Atlantismo freddo degli USA, l’ascesa dell’influenza cinese e il rispetto dei principi dello stato di diritto in Ungheria e Polonia. Inneschi che proiettano ombre sinistre sul futuro della costruzione europea e l’influenza dell’UE sul palcoscenico del mondo.

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Anu Bradford, giurista della Columbia University nel solco tracciato da altri autori che prima di lei hanno letto nell’edificazione del sogno europeo uno dei progetti politici più ambiziosi del dopoguerra, in “Effetto Bruxelles” (Franco Angeli, 2021) demolisce l’idea che l’UE sia fragile e ininfluente sul piano globale.

Al contrario, l’Europa è un attore di primo piano che ha il potere di regolare tutto, o quasi. Dai prodotti che produciamo e consumiamo all’aria che respiriamo. Plasmando così sia i mercati che l’esistenza delle persone. “Con i suoi regolamenti e le sue norme – scrive Anu Bradford – l’UE ha la capacità unilaterale di regolare i mercati globali, stabilendo standard de facto nella politica della concorrenza, in materia di tutela ambientale, sicurezza alimentare e protezione della privacy”. Con una forza che la eleva a potenza normativa globale. È soprattutto in ambito tecnologico che l’effetto Bruxelles irradia tutti i suoi effetti. Produzione e gestione delle aziende del settore si stanno conformando agli standard UE. A partire dai colossi digitali che dopo anni di battaglie sono oggi costretti, obtorto collo, ad adottare gli standard impegnativi pretesi dall’UE per i suoi cittadini. Con effetti che si preannunciano di lunga durata.

È impensabile infatti che dopo gli investimenti colossali – vedi il numero di data center spuntati come funghi nel vecchio Continente – per adeguarsi alle regole dettate da Bruxelles, “Google & friends” decidano di adottare una exit strategy. Detto questo, le regole dell’Europa condizionano i comportamenti delle aziende in buona parte del mondo. Non sono solo le Big Tech ad adeguarsi al GDPR. È il mercato globale che trova vantaggioso adattarsi alla normativa europea, come dimostrano i numerosi casi di “swap” o di trapianto dell’impianto del GDPR nelle legislazioni nazionali. Con effetti che lasciano presagire una progressiva armonizzazione e stabilizzazione del quadro normativo internazionale.

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Questo non significa che le regole fissate dall’UE in tema di privacy non siano migliorabili. Né che i ladri di dati e di privacy smetteranno i panni di “gamblers” ai tavoli dell’elusione della normativa e della pressione lobbistica per condizionare le scelte europee. E anche se in questo momento è in vantaggio, non è affatto scontato che sarà l’Europa a prevalere in questo duro confronto. Ma è un fatto che oggi l’UE detenga una riserva di “smart power” la cui portata inizia a essere compresa e rispettata. L’effetto Bruxelles insomma va preso sul serio. L’auspicio è che l’ambizione continui a consolidarne gli sviluppi secondo i principi democratici che informano questa parte di mondo.