Con due sentenze recenti, il Tribunale di Roma ha deciso in modo diverso se includere o meno anche i dirigenti nel blocco dei licenziamenti individuali per motivo oggettivo
Licenziare un dirigente per “risparmiare” sui costi aziendali? Domanda non banale, almeno fino al prossimo 30 giugno 2021, quando potrebbe cessare il “blocco dei licenziamenti”. Come noto, da marzo 2020, dopo l’entrata in vigore dell’art. 46 del Decreto Cura Italia (D.L. 18/2020), è stato imposto a tutte le aziende di non avviare procedure di licenziamento collettivo e di non intimare licenziamenti per motivi oggettivi, senza operare alcuna distinzione in base al numero dei dipendenti. Questo divieto è stato da ultimo confermato, nella sua formulazione più ampia, prima dalla Legge di Bilancio per il 2021 (Legge n. 178/2020) e poi dal Decreto Sostegni del 22 marzo 2021 (D.L. 41/2021). Fin dalla sua introduzione, il blocco dei licenziamenti ha destato molte perplessità e interrogativi, primo tra tutti quello di riuscire a individuare le ipotesi escluse dal novero dei casi “bloccati”. E, proprio sulle ipotesi escluse, il Tribunale di Roma si è diversamente espresso a poche settimane di distanza.
Con una prima decisione del 26 febbraio 2021, il Tribunale di Roma ha giudicato invalido il licenziamento intimato a un dirigente, a luglio 2020, per soppressione della posizione lavorativa, ritenendolo contrario alla norma imperativa dell’art. 46 del Cura Italia. Secondo il Giudicante, lo scopo del blocco sarebbe quello di evitare che il danno pandemico venga “scaricato” sui lavoratori, esigenza comune anche ai dirigenti stante la maggior elasticità del regime normativo e collettivo loro applicabile e confermata dalla loro inclusione nelle tutele applicabili in caso di licenziamento collettivo.
Nella seconda vicenda, invece, il chief operating officer della società impugnava il licenziamento intimatogli a maggio 2020 per soppressione della sua posizione, ritenendolo in contrasto con il divieto del Cura Italia. Impugnazione che il Tribunale di Roma ha giudicato infondata, nella sentenza del 19 aprile 2021, per plurime ragioni. Anzitutto, perché la norma emergenziale stabilisce che il datore di lavoro, a prescindere dal numero dei dipendenti, non può licenziare per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’Art. 3 L. 604/1966, norma, quest’ultima, che non si applica ai dirigenti, sia per legge (si veda, l’art. 10, L. 604/1966) sia per giurisprudenza costante. In secondo luogo, per un motivo legato alla ratio del divieto, vale a dire quella di tutelare l’occupazione attraverso la possibilità per le aziende di avvalersi degli ammortizzatori sociali, consentendo alle stesse di contenere i costi del lavoro pur a fronte del blocco dei licenziamenti.
In poche parole, ponendo i costi del lavoro a carico della collettività e non delle aziende. Nel caso dei dirigenti, il binomio divieto di licenziamento/costo a carico della collettività non è però sostenibile perché per i dirigenti il ricorso agli ammortizzatori sociali non è consentito in costanza di rapporto. In terzo luogo, perché la diversità tra l’ipotesi del licenziamento individuale e quella del licenziamento collettivo giustifica una diversità di trattamento. Questo contrasto giurisprudenziale sarà, allora, uno dei rischi che le aziende devono ponderare laddove, a fronte di una reale esigenza riorganizzativa, decidano di voler intimare il licenziamento a un dirigente per motivo economico/organizzativo, non potendo escludere con certezza tali figure apicali dall’applicazione del blocco dei licenziamenti.
Avv.ti Andrea Savoia partner e Marilena Cartabia senior associate
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