Digitalizzazione, istruzione e reskilling. Tra le priorità individuate da Draghi per far ripartire l’Italia, ci sono gli investimenti in formazione e ricerca per fronteggiare i tanti cambiamenti nel mercato del lavoro, legati alla digitalizzazione, all’automazione, ai progressi dell’intelligenza artificiale e alla transizione ecologica.
Sul fronte dell’istruzione il nostro Governo è pronto sia nelle ambizioni («Siamo chiamati a disegnare un percorso educativo che combini la necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti, anche nel panorama europeo, con innesti di nuove materie e metodologie, e coniugare le competenze scientifiche con quelle delle aree umanistiche e del multilinguismo»), sia nei fatti: il Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza assegna 1,5 miliardi di euro agli ITIS, venti volte il finanziamento di un anno normale. Per quanto riguarda i cambiamenti nel mondo del lavoro, però, la pandemia ha accelerato trend già esistenti, e oggi stiamo affrontando una sfida simile al passaggio dal lavoro agricolo all’industrializzazione, con una velocità di cambiamento molto maggiore: questa non consentirà il normale avvicendamento tra generazioni, per il quale sarebbe forse sufficiente una riforma dell’istruzione, ma costringerà la riqualificazione di decine di milioni di lavoratori di tutto il mondo.
Nel report “Future of the Jobs 2020”, il World Economic Forum prevede che entro il 2025 il 40% delle competenze base degli attuali lavoratori cambierà, e il 50% di tutti i lavoratori avrà bisogno di reskilling, cioè di imparare competenze nuove per ricoprire il proprio ruolo, o per svolgere un nuovo mestiere. In pochi anni, 85 milioni di posti di lavoro verranno eliminati, sostituiti dall’automazione dei processi produttivi e dai progressi nell’IT, mentre verranno creati 97 milioni di nuove professioni, più adatte ai nuovi assetti organizzativi aziendali.
Uscire dalla pandemia – ormai è chiaro – non sarà come riaccendere la luce, occorre prepararsi al “next normal”. Nei prossimi anni cambieranno notevolmente le modalità con cui vengono prodotte e poi consegnate le merci, ed erogati i servizi, perciò le aziende non dovranno investire soltanto nelle tecnologie per affrontare il cambiamento, ma si dovranno focalizzare sulle competenze necessarie per utilizzare le nuove tecnologie e per soddisfare le nuove richieste di business. Attività e ruoli nelle imprese dovranno quindi essere ridisegnati, in modo che le risorse umane possano restare al passo con le competenze richieste dall’adattamento alle mutevoli condizioni esterne e possano svolgere il proprio lavoro in maniera più efficiente ed efficace.
Prima ancora della capacità di utilizzare nuove tecnologie, nelle nuove organizzazioni saranno richieste capacità di pensiero analitico, creatività, attitudine al problem solving, autogestione, capacità di lavorare in team multidisciplinari. In un mondo del lavoro che muta così velocemente, serviranno anche resilienza e spirito di adattamento. Crescerà probabilmente il gap tra le competenze necessarie a operare in questo contesto e la loro reperibilità sul mercato del lavoro: per particolari figure professionali potrebbe arrivare un momento in cui la domanda di professionalità altamente qualificata da parte di aziende e istituzioni supererà l’offerta in molti paesi avanzati. Da subito, quindi, è bene che le imprese inizino un percorso per sviluppare al massimo le potenzialità delle risorse umane che già vi lavorano, iniziando a mappare le competenze di ogni persona, e preparandosi a investire in formazione continua. Da un lato le imprese si assicureranno lavoratori sempre aggiornati sulle nuove conoscenze da acquisire, che permetteranno loro di mantenersi competitive nel proprio mercato, dall’altro lato i dipendenti, vedendosi valorizzati, saranno fidelizzati all’azienda, che vedrà ridursi il turnover di personale e i relativi costi di recruiting.