Smart working. Valore lavoro

Postazioni non assegnate, flessibilità e sostenibilità. Lavoro task-oriented e meno gerarchie nel futuro della casa-ufficio. La tavola rotonda dedicata allo smart working racconta le esperienze maturate nei primi mesi di lockdown da CRIF, Italgas, Lenovo, Maticmind, PwC, Sophos e UniCredit. Cercando di immaginare il dopo

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Tecnologie e reti fanno saltare i tradizionali vincoli di tempo e spazio che governavano il lavoro nell’ufficio e nei luoghi di produzione. La vita non lavorativa deve fare i conti con la digitalizzazione che impatta sugli strumenti di cui ci serviamo nelle ore di svago, e sulle relazioni sociali che la stessa tecnologia ci porta a costruire. Su tutti noi viene esercitata una pressione “omeostatica” che ci spinge ad acquisire le stesse modalità nella professione come nel tempo libero, generando situazioni che influiscono a loro volta sui modelli organizzativi e manageriali. Aspetti, questi, con cui siamo abituati a confrontarci da tempo quando parliamo di smart working. Con l’emergenza sanitaria, siamo tuttavia passati di colpo da uno scenario di potenzialità a una ineluttabile prassi quotidiana. Ciò che fino a ieri l’altro appariva solo come una delle tante sfide trasformative, un confronto tra approcci teorici, nell’anno della pandemia è diventato una necessità molto pratica. Ma il “telelavoro” che abbiamo introdotto, forzando modalità e organizzazioni, non può essere una semplice “trasposizione”, un cambiamento solo cosmetico. Concetti come collaborazione e smart working non possono essere circoscritti all’uso di strumenti “salva-tempo”, al banale spostamento del lavoratore da un ambiente d’ufficio alla sala da pranzo di casa.

Non si tratta più di sperimentare modelli blandamente alternativi, attraverso la semplice istituzione di fasce part-time e di una giornata di lavoro da casa. Occorre invece riflettere – come abbiamo chiesto a CRIF, Italgas, Lenovo, Maticmind, PwC, Sophos e UniCredit – su come la perdita di centralità dell’ufficio influisce sull’operatività di una impresa, la sua capacità di centrare gli obiettivi strategici, di governare la complessità dei progetti e di rispondere con rapidità e duttilità alle sollecitazioni dei mercati. Magari anche attraverso nuove modalità di interazione e nuovi modelli di organizzazione del lavoro. Un lavoro “diverso” proprio perché libero da molti dei vincoli tradizionali. Come di consueto, imprese utenti e fornitori di tecnologie sono stati chiamati a discutere di modelli orientati allo smart working e alla collaborazione, nonché dei fenomeni che hanno contribuito ad accelerare o rimodulare le strategie in corso. Lo scopo è dunque quello di raccogliere preziose testimonianze sul modo in cui un campione rappresentativo di aziende ha risposto all’emergenza, attraverso quali strumenti e piattaforme tecnologiche, e soprattutto in virtù di quali modalità organizzative e figure di coordinamento.

Un’altra area di forte interesse riguarda ovviamente tutte le problematicità vissute sia sul piano strettamente tecnico e infrastrutturale sia da un punto di vista normativo e di tutela della sicurezza delle persone e dei dati. CRIF, Italgas, Lenovo, Maticmind, PwC, Sophos e UniCredit sono intervenuti anche su un piano più speculativo, sull’evoluzione che tecnologie sempre più automatizzate e “smart” utilizzate a supporto del lavoro e delle decisioni potranno avere – in un futuro che quasi sicuramente non comporterà il totale ritorno al passato – nel nuovo contesto di relazione che umanità e macchine stanno costruendo. Ecco il risultato di due ore di intensa conversazione.

SPAZIO DI LAVORO DISTRIBUITO

Ammonta a cinquemila persone, un migliaio solo nella Service Factory, lo staff di CRIF, azienda specializzata in prodotti informativi a valore aggiunto per il mondo finanziario e assicurativo. Il gruppo internazionale è attivo da circa 20 anni e – secondo l’IT director Carlo Romagnoli – da almeno cinque anni si è aperto allo smart working. «Cambiare il modo di lavorare non è facile e questo riguarda anche gli strumenti utilizzati perché anche se mediamente siamo giovani, abituarsi non è scontato». Nonostante l’esperienza accumulata, l’arrivo subitaneo della pandemia ha colto di sorpresa tutti, incluso il management di CRIF. Che ha tuttavia reagito con prontezza fissando subito due obiettivi fondamentali: la sicurezza delle persone e la loro operatività. «Prima abbiamo cercato di spiegare le motivazioni, subito dopo abbiamo chiuso gli uffici» – ricorda Romagnoli. «Il lavoro preliminare svolto in questi anni è stato una fortuna, si è trattato di completare quel tipo di processo». La motivazione è stata fortissima e ha aiutato l’IT di CRIF ad adattare una infrastruttura già agile ed espandibile alle diversità di un gruppo multinazionale. Sul piano tecnologico non ci sono stati impatti negativi. «Da un punto di vista quantitativo e qualitativo, non abbiamo riscontrato differenze rispetto al passato. Il vero impatto lo abbiamo misurato nella mancanza della socialità» – spiega Romagnoli, riferendosi alle difficoltà di trovare nei gruppi di lavoro virtuali lo stesso “collante” della presenza fisica e nell’assicurare, a distanza, un legame efficace tra collaboratori e decisori. Un punto su cui si dovrà probabilmente insistere negli scenari prossimi venturi, non solo agendo su funzionalità e interfacce, ma introducendo una sorta di alternanza tra modalità di incontro.

Nella complessa realtà di un banca paneuropea come UniCredit, la gestione dello smart working è stata affidata a un team interfunzionale comprendente la struttura Real Estate, per la gestione degli spazi, la funzione di Human Capital, per le persone, e IT per le infrastrutture tecnologiche. Il gruppo bancario è pioniere riconosciuto, nel settore della sperimentazione nel campo con progetti partiti nel 2012 con una iniziativa mirata a rivedere soprattutto l’organizzazione degli spazi in un’azienda che alla fine del primo decennio del 2000 era dislocata su numerose sedi, collocate prevalentemente nel centro delle città (aveva ad esempio 25 sedi a Milano e 27 a Roma). «Per quanto riguarda gli spazi fisici, il piano di intervento avviato già nel 2012 – spiega Giovanni Bevilacqua, head of RE Smart Working, Sustainability & Innovation Real Estate Italy – ha ridotto il numero di metri quadri occupati ed è stata soprattutto l’occasione di far partire una trasformazione che dall’ufficio muove verso il cosiddetto “activity based working”, offrendo una libertà di gestione dello spazio in funzione delle attività svolte».

La rivoluzione delle postazioni “non assegnate” e delle varietà di work setting, che secondo Bevilacqua abilita la possibilità di estendere al sistema città il concetto di smartworking, ha investito fin da prima della pandemia migliaia di dipendenti UniCredit, fino a un terzo della forza lavoro in Italia. «L’esperienza ha poi rappresentato un asset formidabile nella gestione immediata della crisi sanitaria, quando abbiamo raggiunto a livello di gruppo picchi di 60mila connessioni simultanee durante il lockdown». Oggi, si tratta di dare una accelerazione ulteriore al cambiamento culturale nella “nuova normalità” che seguirà l’emergenza. «Ci aspettiamo che certe modalità adottate in questo periodo restino anche in futuro, perché sono le persone che ce lo chiedono» – afferma Bevilacqua. Certezza che si fonda sulla base di una ricerca interna rivolta a 30mila collaboratori che hanno apprezzato il lavoro da remoto, in quanto offre una maggiore flessibilità lavorativa e nuove opportunità per conciliare vita professionale e personale, in una prospettiva di crescente sostenibilità.

Recentemente è stata siglata con il Comitato aziendale Europeo una dichiarazione congiunta sul lavoro da remoto che ha lo scopo di sviluppare un approccio globale comune al fine di offrire a tutti i dipendenti UniCredit l’accesso al lavoro da remoto in futuro con un piano progressivo di attuazione che mira a raggiungere, nelle sedi e negli uffici centrali, a livello di gruppo mediamente il 40% del tempo di lavoro, distribuito su base settimanale o mensile». Il ruolo dell’ufficio – conclude Bevilacqua – resterà però al centro, perché lo spazio fisico è un elemento distintivo della socializzazione e della collaborazione.

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Secondo Enza Truzzolillo, sales director Large Enterprise di Lenovo, la pandemia ha imposto un’accelerazione senza precedenti nella trasformazione digitale e nell’adozione di pratiche di lavoro da remoto. Secondo un’indagine condotta da Lenovo a livello globale, nei principali mercati in cui opera tra cui l’Italia, nel 2019 il 70% delle PMI utilizzava i desktop come dispositivo principale e non aveva accesso a strumenti basati su cloud. «Per dare la priorità a pratiche di smart collaboration, vedremo aziende investire nel miglioramento dell’infrastruttura IT e nel rispondere alle esigenze di base dei dipendenti, ad esempio i pc, per garantire la produttività indipendentemente da dove si trovano. Questa nuova esperienza di lavoro stimolerà anche un aumento delle decisioni tecnologiche guidate dagli utenti finali cioè i dipendenti insieme ai loro dipartimenti IT, poiché i confini tradizionalmente netti tra la tecnologia aziendale e quella consumer continuano a erodersi». Da qui deriva anche la previsione di Lenovo nello sviluppo di tecnologia, con una sempre maggiore attenzione all’ergonomia dell’hardware per la produttività, inclusi pc, monitor e accessori, per contribuire a rendere più confortevole l’esperienza da casa.

Con un maggior uso di tecnologie self-service, il supporto IT si evolverà per soddisfare le esigenze di una forza lavoro che si prevede diventare permanentemente distribuita, rendendo necessario il supporto predittivo basato su machine learning e software di autoriparazione: aumenterà il provisioning zero-touch, l’offerta di gestione di app ed endpoint, soluzioni di Modern IT e SaaS basati su cloud, per semplificare l’intervento dell’IT. Da qui – spiega Enza Truzzolillo – la grande insistenza di Lenovo proprio sul fronte dell’assistenza e dei servizi. «Se è difficile accedere ai nostri uffici per l’assistenza, stiamo immaginando condizioni di smart working in cui il supporto agli utenti interviene su una geografia distribuita, con nuovi servizi a valore aggiunto, basati su cloud che offrano ai reparti IT la possibilità di diagnosticare problemi e prevedere potenziali guasti del sistema su intere flotte di pc aziendali». Lenovo affronta, attraverso questi servizi, aspetti che finora erano appannaggio delle risorse interne alle imprese, come l’asset management, la pre-configurazione di pc forniti ai clienti o la cybersecurity, predisponendo un’offerta di servizi più in sintonia con uno spazio di lavoro distribuito.

COLLABORAZIONE E SICUREZZA

Matteo Veneziani, CIO e change leader in PwC Italia ci aiuta a capire come una grande organizzazione aziendale ha affrontato un cambiamento vissuto soprattutto dal punto di vista dei numeri coinvolti. Anche nel caso del grande consultant globale, il tema smart working è stato infatti prioritario nell’arco degli ultimi tre anni, attraverso una complessa strategia di trasformazione verso le infrastrutture e la collaboration in cloud. «L’impatto del decreto ministeriale “Blocca Italia” l’abbiamo misurato soprattutto sui volumi, con un raddoppio del traffico sui canali VPN e mobili e un aumento di nove volte rispetto al passato nel numero di video conferenze organizzate» – riferisce Veneziani. «Ancora prima dell’emergenza sanitaria, PwC si era premurata di pianificare l’organizzazione del lavoro, anche a livello di contrattazione sindacale, anticipando la possibilità di raggiungere percentuali di telelavoro fino al 40%, e raggiungendo un livello medio del 27% di ore in smart working. Abbiamo ripensato i nostri spazi interni, con una sede romana completamente ristrutturata e il completamento della nuova sede milanese nel quartiere di City Life, portato a termine lo scorso ottobre, in piena seconda ondata epidemica». In pochi mesi, nella nuova torre sono state spostate 1.200 persone, la metà della capienza massima. L’esistenza di premesse tecnologiche, di sicurezza e di contrattualistica necessarie per avviare uno smart working su vasta scala hanno consentito allo staff di Veneziani di affrontare la questione davvero fondamentale del change management. «Ci siamo focalizzati su come aiutare i colleghi del business a individuare nuove modalità di ingaggio con i loro clienti» – racconta il CIO di PwC. «Abbiamo utilizzato le tecnologie per stare vicini ai nostri colleghi, anche organizzando attività alternative al lavoro, incluse le tecniche di meditazione e rilassamento».

Un aspetto positivo ha riguardato la capacità di reclutare diverse funzioni aziendali nel coordinamento di questo sforzo. Ai progetti di ripensamento degli usi “abitativi” degli spazi partecipava, per esempio, la figura del building manager, che in questo caso riportava direttamente al CIO. Ma ora si apre, per tutti, la sfida del mantenimento di queste esperienze a lungo come a breve termine. Soprattutto in un futuro immediato, ancora caratterizzato da un’emergenza che viene tuttavia affrontata in modo molto diverso rispetto a un anno fa, attraverso misure di lockdown a intermittenza, a carattere molto meno generalizzato. Uno degli aspetti più critici di una forza lavoro rimossa di colpo dal contesto “certificato” delle infrastrutture e dei dispositivi aziendali è ovviamente la gestione della cybersecurity. Come si può far fronte a una tematica così fondamentale e complessa? Walter Narisoni, sales engineer manager di Sophos, racconta come la sua stessa azienda ha vissuto internamente il problema. «Anche noi abbiamo dovuto adattarci, anche se da tempo abbiamo smesso di acquistare pc desktop individuali e la maggior parte delle persone e dei team virtuali sono dislocati ovunque». Sophos, con i suoi 3.500 collaboratori nel mondo, non ha vissuto particolari traumi, lo stesso vale per i clienti di grandi dimensioni. «Per quanto riguarda i nostri clienti meno strutturati, abbiamo fornito tutta una serie di strumenti aggiuntivi – osserva Narisoni – per esempio corsi online per una ottimale configurazione dei firewall e delle VPN, raggiungendo centinaia di partecipanti a lezione. Al fine di supportare ulteriormente i nostri clienti, soprattutto nella prima fase dell’emergenza, abbiamo organizzato delle sessioni ad hoc per illustrare come sfruttare al meglio le funzionalità delle versioni trial dei nostri firewall virtuali».

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Del resto – riconosce Narisoni – nella situazione in cui si sono trovati tutti, la priorità generale era quella di consentire un minimo di operatività, intervenendo semmai in maniera più tattica sulle inevitabili falle determinate dall’uso di reti e dispositivi domestici spesso configurati in modo poco corretto. «Un’altra priorità è la salute delle persone» – afferma Narisoni. «Sophos ha già prorogato fino al prossimo giugno la misura del lavoro da casa». E nel frattempo, lo specialista in sicurezza ha rafforzato l’offerta di protezione “as a Service” facendo leva sui nuovi paradigmi della cybersecurity “on cloud”, primo tra tutti il concetto di accesso Zero Trust, pensato proprio per agevolare la connettività di dispositivi potenzialmente insicuri da domini presumibilmente privi di protezione.

RIPENSARE IL LAVORO

La prima fase del lockdown ha visto anche in Italgas uno spostamento massiccio e rapido verso il lavoro a distanza. «Per una serie di circostanze, non ultima una strategia di digitalizzazione già in fase avanzata, siamo passati subito in modalità smart working» – spiega Marco Barra Caracciolo, chief information officer di Italgas. «L’infrastruttura di Italgas è tutta in cloud, il personale utilizza solo notebook e il personale tecnico è dotato anche di iPad. Il numero di videoconferenze è passato da medie di poche decine di eventi che coinvolgevano poche centinaia di persone, a duemila persone collegate attraverso una media giornaliera di mille virtual meeting». Italgas, un’azienda che lavora prevalentemente sul campo, effettuando interventi di allacciamento alle reti gas e di pronto intervento, per ragioni di sicurezza delle persone ha dovuto temporaneamente sospendere alcuni servizi, mantenendo operativa la parte di pronto intervento e manutenzione “in presenza” nonostante il dimezzamento del numero di tecnici operativi. La fortuna c’entra poco: Italgas era già intervenuta sull’ottimizzazione del sistema CRM implementando una app di “schedulazione” del lavoro dei tecnici che – secondo Barra Caracciolo – «si è rivelata un toccasana». Analizzando ulteriormente gli aspetti logistici sono stati rivisti anche certi meccanismi al contorno. «Abbiamo scoperto che gli operai potevano fare a meno di passare per l’ufficio ed effettuare in casa la vestizione con tute e attrezzi da lavoro» – continua il CIO di Italgas. «Abbiamo rafforzato il contatto con le ditte appaltatrici per controllare lo stato di esecuzione degli interventi e accelerato progetti che avevamo in calendario, come l’uso della realtà aumentata per consentire di effettuare certi controlli da remoto. Una soluzione implementata in tre mesi invece di dodici».

Sono però le considerazioni più generali sui cui Barra Caracciolo si sofferma alla fine del suo primo intervento, a introdurre la seconda parte del dibattito. Come adattarsi a una giornata lavorativa che si allunga fino a dare la sensazione che sia impossibile “staccare”? Come riuscire a semplificare e accelerare processi e pratiche date finora per scontate, a partire dalla produzione di documenti cartacei che in molte situazione si è praticamente azzerata senza apparenti conseguenze sulla produttività e sulla qualità del lavoro? «L’insegnamento più importante – avverte il CIO di Italgas – arriva da una pandemia che ci ha fatto improvvisamente comprendere e mettere a terra una tecnologia che doveva essere più pronta di quanto immaginavamo. Quello che manca adesso è un vero cambio di paradigma. Serve un ripensamento del lavoro e delle sue regole. Perché smart working non significa soltanto lavorare da casa due giorni invece di uno».

Anche Marco Robbiani, technical advisor del system integrator Maticmind, offre un punto di vista da “problem solver” specializzato in smart collaboration in un’azienda di consulenza abituata a intervenire sulle infrastrutture di rete fisiche e virtuali dei suoi clienti, attraverso un team di oltre 700 specialisti attivi in tutta Italia. «In tutto il periodo della pandemia, abbiamo vissuto il dietro le quinte di quello che accade nelle imprese e molto di ciò che emerge in questa discussione coincide con la nostra esperienza. Dove c’è stata lungimiranza, scelta di persone giuste e dove le abitudini del passato non pesano eccessivamente, le nuove dinamiche si affrontano con tranquillità. Se questi presupposti non ci sono, può essere un sacrificio enorme». Le realtà che erano rimaste più scettiche nei confronti del cloud, per esempio, hanno avuto difficoltà, anche se – ribadisce Robbiani – «l’obiettivo di Maticmind è proprio quello di aiutare tutti a ristrutturarsi al meglio».

Da un’azienda che affonda le radici del suo know-how nel mondo ipertecnologico del networking, arriva quasi paradossalmente un messaggio centrato sul fattore umano. «L’aspetto fondamentale che voglio mettere in evidenza – dice Robbiani – è che il cambiamento legato allo smart working non si concretizza spostando il lavoro dall’ufficio alla casa. Il lavoro per obiettivi richiede anche un clima diverso tra le persone, un senso di fiducia reciproca che automaticamente porta i collaboratori a svincolarsi dai concetti come gli orari fissi di lavoro». La tecnologia dovrebbe aiutarci anche a costruire questa fiducia, creando un circolo virtuoso che in futuro ci consentirà un netto salto di qualità verso una serie di benefici a tutti i livelli, incluso quello del ridotto impatto ambientale.

FLESSIBILITÀ E FIDUCIA

Carlo Romagnoli di CRIF riprende il tema della fiducia per sottolineare come sia effettivamente necessario entrare in una diversa postura mentale, quella per cui il management di un’azienda deve guardare al raggiungimento degli obiettivi, non alla presenza dei dipendenti in ufficio. «Poi c’è il tema della sostenibilità del lavoro, che passa per quello della sua flessibilità. Lo vediamo nella difficoltà di riportare le persone in ufficio. Mi sembra chiaro che in futuro gli uffici non torneranno a riempirsi completamente. Si imporrà quasi certamente il paradigma per cui sarà il lavoratore a scegliere la sede più opportuna in funzione delle attività da svolgere» – conclude il responsabile tecnologico di CRIF.

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Per Giovanni Bevilacqua di UniCredit, lo smart working sarà necessariamente una somma di componenti in grado di attivare il cambiamento. «Mi sembra molto interessante questo concetto di ridisegno dell’ufficio tradizionale, passando a un modello ibrido e più equilibrato tra lavoro da remoto e presenza in ufficio quale luogo fondamentale per favorire la collaborazione, la socialità e la connessione delle persone. L’ufficio continuerà a essere il luogo più importante per formazione e condivisione di competenze e conoscenze».

A supporto di queste riflessioni sul futuro prossimo dello smart working destinato a rimanere, Enza Truzzolillo di Lenovo offre alcuni dati emersi dalla survey Mid Enterprise Technology and The Evolving World of Work effettuata sui clienti Lenovo nelle imprese di medie dimensioni. «Le risposte evidenziano ostacoli e sfide – riferisce la responsabile commerciale Large Enterprise di Lenovo – in ambiti come la sicurezza e la formazione». Quasi il 70% degli intervistati in situazioni di telelavoro si è dovuto trasformare in una sorta di self-IT manager e questo è un fattore di cui tener conto nella probabile evoluzione di una forza lavoro, quasi sicuramente destinata a essere più autonoma e remotizzata. Con i suoi clienti, Lenovo affronta anche la questione degli scenari post-Covid. «Il 63% del campione ritiene che nel telelavoro i livelli di efficienza aumentano, ma viene a mancare un corretto bilanciamento tra professionale e privato» – spiega Enza Truzzolillo, sottolineando la necessità di intervenire con diverse strategie HR in parallelo a chiare policy IT. «Oltre la metà degli intervistati ritiene che lo smart working sia una conquista definitiva che richiede un ulteriore potenziamento degli strumenti della collaborazione, a livello di piattaforme e dispositivi».

Per Matteo Veneziani di PwC insieme all’aspetto tecnologico è opportuno affrontare quello culturale. Dopo l’iniziale entusiasmo – registrato nei primi mesi del blocco, quando la gente cantava sui balconi – è subentrata una situazione di maggiore incertezza, che richiede nuovi meccanismi di ingaggio delle persone. «Meccanismi che vanno al di là del riorganizzarsi per task o per obiettivi» – spiega Veneziani. «Dalle migliaia di colloqui con cui PwC seleziona il suo personale emerge il valore che i lavoratori più giovani attribuiscono alle aziende che sanno responsabilizzare il dipendente sull’uso del tempo di lavoro. Ma bisogna stabilire le regole di un corretto confine tra casa e lavoro ed è qui che il change management deve indirizzare le persone, mettendo in evidenza i rischi e le buone pratiche per evitarli».

Nel suo secondo intervento, Marco Barra Caracciolo di Italgas sottolinea il ruolo molteplice che una tecnologia pensata correttamente può svolgere. «Nel realizzare le nostre app siamo partiti da un foglio bianco, cercando di accompagnare le nuove funzionalità con una buona experience e la massima facilità d’uso». Gli occhiali della realtà aumentata – aggiunge il CIO di Italgas – vengono incontro alle esigenze di un tecnico riparatore, ma possono servire anche in fase di formazione, o per istruire e dare consigli sul corretto impiego di un dispositivo.

Marco Robbiani di Maticmind coglie subito il riferimento alla user experience per ribadire l’importanza della tecnologia nel rendere sempre più fluida l’interazione con gli strumenti della collaborazione. Nell’era del contactless non dobbiamo dimenticare le forme di controllo che al momento si stanno affermando soprattutto in contesti non professionali. «La prossima partita della collaborazione coinvolgerà le tecnologie del controllo vocale stile Alexa, l’intelligenza artificiale capace di interpretare il linguaggio naturale e la gestualità». Tutti aspetti da tenere in considerazione in futuro, anche se Barra Caracciolo invita a non soffermarsi soltanto sull’ottimizzazione dello smart working. «Stiamo introducendo queste innovazioni in aziende che continuano a mantenere la loro struttura gerarchica, per cui ogni cosa richiede un certo numero di passaggi e controlli che i giovani lavoratori per primi non sanno più spiegare. Non dobbiamo tornare alla normalità precedente, ma è evidente che dovremo affrontare il problema in modo molto più ampio» – spiega il CIO di Italgas.

In conclusione, se smart working non vuol dire semplicemente telelavoro ma permettere di sfruttare in modo intelligente luoghi e spazi di lavoro, le tecnologie di sicurezza devono essere in grado di proteggere e tenere sotto controllo l’infrastruttura che si è estesa in modo tentacolare. «La richiesta di servizi gestiti per la prevenzione delle minacce e il ripristino di reti e sistemi già colpiti è molto aumentata – mette in evidenza  Walter Narisoni di Sophos – mentre un aiuto sempre più valido viene dall’intelligenza artificiale, su cui Sophos investe molto». L’obiettivo è una protezione sempre più “embedded”, efficace ma invisibile, capace di trasferire il peso della gestione delle regole e delle configurazioni sulle spalle dei provider di cybersecurity e dei loro partner.

Il boom dello smart working “forzato” impatta le piattaforme di collaboration, la solidità delle reti e la sicurezza. CIO, IT manager, responsabili HR e CISO sono in prima linea per supportare l’evoluzione del lavoro. La strada per differenziare davvero il “tele” dallo “smart” è solo agli inizi. La trasformazione digitale accelerata dalla pandemia ha rotto molti equilibri. Il lavoratore non può essere ridotto a uno degli elementi che compongono il flusso della produttività, ma deve rimanere protagonista dello sviluppo e della crescita dell’azienda. Per cogliere in pieno tutti i vantaggi del lavoro agile – sul fronte del risparmio, della produttività, della conciliazione famiglia-lavoro e della continuità operativa – è necessario un serio confronto istituzionale sul futuro del lavoro e le sue regole. Speriamo di aver contribuito, almeno in parte, a gettare le prime basi di questo fondamentale dibattito.

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Point of View

Intervista a Enza Truzzolillo, sales director Large Enterprise di Lenovo Italia: Un nuovo modello di gestione dell’IT

Interista a Marco Robbiani, technical advisor di Maticmind: Il nuovo spazio della collaboration

Intervista a Walter Narisoni, sales engineer manager di Sophos: La sicurezza dello smart worker