Il Tribunale di Mantova si è per la prima volta pronunciato sul blocco dei licenziamenti, riconoscendo la nullità del licenziamento intimato per motivo economico nonostante la vigenza del divieto. Violate norme di natura imperativa
L’anno appena finito sarà per tutti indimenticabile, nel bene e nel male. La pandemia provocata dalla diffusione del virus SARS-CoV-2 ha cambiato molte abitudini, ma soprattutto ha imposto alle istituzioni di individuare quante più soluzioni possibili per limitare le conseguenze, anche economiche, legate alle chiusure imposte a molte attività produttive. Tra le misure eccezionali adottate dal legislatore italiano, quella che ha da subito destato un certo “scalpore” è stata l’introduzione del cosiddetto blocco dei licenziamenti. Con l’art. 46 del Decreto Cura Italia, da marzo 2020, si è imposto a tutte le aziende di non avviare procedure di licenziamento collettivo (quelle pendenti al 23 febbraio 2020 sono state sospese) e di non intimare licenziamenti per motivi economici. Questo divieto, che inizialmente doveva operare solo per sessanta giorni, è stato via via prorogato e, da ultimo, con l’approvazione della Legge di Bilancio per il 2021 (Legge n. 178 del 30.12.2020), ne è stata confermata la vigenza sino al prossimo 31 marzo 2021.
Dal momento che l’unico precedente storico della norma risaliva al Dopoguerra, quando un Decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945 aveva imposto ai soli datori di lavoro identificati per settore produttivo (industriale) e sede (39 provincie della c.d. “Alta Italia”) di non licenziare i lavoratori identificati per la categoria di appartenenza (impiegati, operai), fin dalle settimane successive l’entrata in vigore del “blocco” si è aperto un vivace dibattito su due temi principali. Primo: l’individuazione delle ipotesi escluse dal novero dei casi “bloccati”. Secondo: nel silenzio di legge, l’individuazione del regime sanzionatorio applicabile all’azienda che avesse comunque deciso di licenziare per ragioni economiche.
Proprio alla seconda domanda, ha dato risposta il Tribunale di Mantova con la sentenza dello scorso 11 novembre 2020, ad oggi, la prima pronunzia nota sul blocco dei licenziamenti. Il caso concreto ha interessato una dipendente assunta a maggio 2018, collocata in CIG-Covid a marzo 2020 e licenziata il 9 giugno 2020 per “chiusura della sede operativa e la cessazione dell’attività”. Impugnato il licenziamento, la lavoratrice dimostrava che l’attività del suo datore non era affatto cessata perché altri punti vendita erano rimasti aperti e vi continuavano a lavorare altre colleghe, per cui chiedeva al Giudice di essere reintegrata. Secondo il Tribunale di Mantova, il blocco dei licenziamenti costituisce una tutela temporanea della stabilità dei rapporti di lavoro, finalizzata a salvaguardare la stabilità del mercato e del sistema economico, per cui la sua adozione si collega a esigenze di ordine pubblico: per questi motivi, il divieto assume natura imperativa e la sua violazione comporta la nullità del licenziamento sia ai sensi dell’art. 18, comma 1 St. Lav. (che si applica a chi è stato assunto prima del 7 marzo 2015), sia ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. 23/2015 (che si applica a chi è stato assunto in regime di c.d. tutele crescenti).
Rimane tuttavia una questione che potrebbe essere sollevata nelle prossime settimane: la legittimità costituzionale della norma. In tal caso, la Corte Costituzionale potrebbe essere chiamata a pronunciarsi sul bilanciamento dei due diritti coinvolti dal divieto: da un lato la libertà di iniziativa economica privata riconosciuta dall’art. 41 della Costituzione e dall’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; dall’altro il diritto al lavoro, riconosciuto dall’art. 4 della Costituzione.
Avv.ti Andrea Savoia partner e Marilena Cartabia senior associate
UNIOLEX Stucchi & Partners www.uniolex.com