Una decisione molto recente del Tribunale di Siena offre l’occasione per riflettere sulle potenzialità delle recensioni online, ma anche su rischi a cui è esposta la reputazione aziendale quando si hanno dei profili social che dovrebbero essere giornalmente monitorati
Alzi la mano chi non ha mai letto la recensione di un prodotto prima di acquistarlo online? E chi non ha mai cercato il giudizio di un altro utente prima di acquistare un servizio online o rivolgersi a un professionista? Forse nessuno, soprattutto durante le settimane di lockdown! Molto spesso, però, le recensioni da strumento potenzialmente utile sia all’utente sia alle imprese possono diventare un’insidia per la notorietà di un’azienda o di un professionista: l’esempio più recente arriva dall’Inghilterra dove, a settembre, Amazon ha dovuto cancellare oltre 20mila recensioni scritte in cambio di denaro e finite al centro di un’inchiesta in cui il colosso dell’e-commerce ha chiesto il risarcimento dei danni subiti per truffa.
Ma sono altrettanto noti i casi delle Aule italiane: nel settembre 2018, i Giudici di Lecce condannavano a nove mesi di carcere per truffa e sostituzione di persona, senza sospensione condizionale della pena, il titolare di un’azienda che aveva utilizzato false identità per pubblicare false recensioni in cambio di denaro. Pochi anni prima, invece, un ristoratore veneziano era riuscito a ottenere con un ricorso d’urgenza la cancellazione da un noto portale di una recensione scritta da un competitor che, sotto mentite spoglie, lo aveva apostrofato con epiteti poco “decorosi”: in quel caso, la condotta era stata giudicata come concorrenza sleale. Di fronte a questi casi concreti, un’azienda potrebbe decidere di ricorrere a quanti più strumenti possibili per prevenire condotte lesive o denigratorie e per limitare i rischi di un futuro contenzioso giudiziario.
A questo proposito, è interessante citare una decisione presa poche settimane fa dal Tribunale di Siena dove è stata respinta la domanda di una professionista consulente del lavoro che chiedeva il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti per la pubblicazione di una recensione ritenuta denigratoria e offensiva sulla pagina di Google Business del suo studio professionale. Secondo il Giudice, però, occorre anzitutto ricordare che la presenza di recensioni negative è uno dei “pericoli” a cui ogni soggetto si espone quando decide di inserire il suo profilo professionale su una piattaforma digitale. Nel caso della professionista senese, inoltre, aver qualificato la sua prestazione come “fregatura” non poteva considerarsi espressione di carattere volutamente denigratorio, ma solo manifestazione di una insoddisfazione per la prestazione ricevuta. Per il Giudice di Siena occorre, infatti, bilanciare il diritto alla dignità (art. 2 Cost.) con quello alla libertà di critica (art. 21 Cost.), diritto, quest’ultimo, che deve essere esercitato nel rispetto del canone della continenza per cui le modalità espressive usate non possono diventare un’aggressione verbale infamante o umiliante.
Per evitare di ricorrere subito alle vie legali, sarebbe opportuno effettuare regolarmente un monitoraggio dei profili social aziendali per verificare se le eventuali critiche ricevute sono conformi al canone della continenza oppure, in caso contrario, replicare invitando l’utente anche a un confronto privato. Altrettanto utile è informare i propri dipendenti e collaboratori della necessità di rispettare sui social la cosiddetta netiquette. Infine, in caso di attacco volutamente lesivo la reputazione aziendale, la prima reazione dovrebbe essere quella di una replica autorevole, seguita dalla cancellazione (ovvero, ove non possibile, richiesta di cancellazione) dei commenti ritenuti inadeguati o, nei casi più gravi, la richiesta alla piattaforma di “bloccare” l’utente. Infine, prima di cancellare il commento censurabile è buona prassi effettuarne lo screenshot, a futura prova dell’offesa subita.
Avv.ti Andrea Savoia partner e Marilena Cartabia senior associate UNIOLEX Stucchi & Partners www.uniolex.com