La rivoluzione digitale ci mette nelle condizioni di aprire nuovi spazi di cooperazione, e non solo di competizione. «La tecnologia ha permesso di migliorare le condizioni di vita delle persone, basta pensare al contributo nella ricerca medica» – afferma Francesca Puggioni, managing director Southern Europe di Orange Business Services.
«La tecnologia serve a imparare, a non sentirsi soli, a compiere imprese che sembravano impossibili. Serve a ridurre le differenze che creano squilibri. La tecnologia è un enabler, è empowerment». Ma la tecnologia va governata, come il mercato. Non possiamo pensare che si autoregoli, servono norme, e per crearle, occorre capire che cosa è la tecnologia e quali sono i rischi che porta con sé. Non sempre chi decide ha le competenze per farlo, per questo motivo – mai come in questo periodo di complessità – è necessario rivolgersi a chi ha familiarità con questa nuova dimensione e contare sulla responsabilità sociale delle imprese. Dall’innovazione tecnologica possono arrivare i nuovi ideali di progresso per il futuro – dalla sostenibilità ambientale alla sostenibilità delle scelte. Penso che dobbiamo impegnarci per un nuovo equilibrio».
Considerato il tessuto economico delle imprese italiane, la grande occasione per una spinta economica – secondo Puggioni – è rappresentata dallo “smart everything”: un ambiente funzionale che genera dati, connesso a dispositivi smart per la cattura dell’informazione, basato su reti di nuova generazione e infrastrutture cloud. «Un nuovo tessuto connettivo che abilita l’elaborazione intelligente dei dati e l’implementazione dei processi al centro o alla periferia di una organizzazione aziendale facilitando ottimizzazione ed equilibrio nella produzione responsabile, nell’esperienza dei dipendenti, fino alla customer experience. L’affidabilità’ delle connessioni, il cloud, e la sicurezza sono alla base di questo nuovo modello operativo, proprio come acqua, autostrade ed elettricità sono state in passato i pilastri di ogni espansione economica. Chiaramente, questo ambiente “smart” dovrà essere inevitabilmente supportato da una filosofia di governo e da un’etica in grado di sostenerne il valore e i vantaggi, a beneficio di tutta la comunità».
La connessione tra il sapere e il fare, un obiettivo da non perdere
Per Francesca Puggioni non dobbiamo perdere la connessione tra quello che la tecnologia ci dà e la conoscenza di ciò che sta dietro e fa funzionare tutto alla velocità di un click. «Dobbiamo essere agili, sfruttando tutto quello che la tecnologia ci offre, ma dobbiamo essere resilienti in caso di necessità. Non dobbiamo dimenticare come si fanno le cose. Se la tecnologia permette di uscire fuori dalla dialettica classica tra centro e periferia – tutto diventa centrale se è collegato, tutto diventa periferia se non è connesso – è anche vero che questo nuovo modello avrà un impatto irreversibile sul modo in cui le città si costruiranno, sui piani regolatori del futuro, sulla densità urbana, sui trasporti per i cambiamenti collegati all’organizzazione del lavoro. Tutto ciò avrà conseguenze inevitabili, e in principio molto positive sull’organizzazione della vita delle persone, e anche sull’ambiente, per esempio sui consumi di energia. Per governare questo cambiamento servono competenze nuove che possano garantire una continua resilienza. Riusciamo a immaginare cosa succederebbe se tutto ciò dovesse dipendere solo da competenze al di fuori del nostro paese?».
La rivoluzione industriale nelle sue diverse ondate è una gaussiana. «In ogni ciclo – spiega Puggioni – c’è l’opportunità di costruire un futuro nuovo. La tecnologia permetterà di creare ricchezza, ma solo se sappiamo cosa vogliamo fare e dove vogliamo arrivare. E sarà essenziale in tutto questo eliminare le asimmetrie». La sostenibilità è la sfida più grande che abbiamo davanti: «Dobbiamo lavorare insieme, mettere a fattor comune le competenze. Il digitale permette di aprire nuovi spazi di competizione che generano meno conflitti e meno squilibri, ma bisogna farsi trovare pronti, guardando avanti, non solo agli obiettivi trimestrali, ma ai nostri obiettivi finali».
Nelle proiezioni economiche a breve termine di molte aziende, l’80% delle revenue aziendali arriverà dai servizi che coinvolgono dati. «In Orange, in accordo con il nostro piano Engage 2025, siamo molto impegnati nei servizi di consulenza IT, e nei nuovi servizi digitali a supporto di sofisticate strategie di co-innovazione che abbiamo iniziato con varie imprese europee, e che vanno ben al di là dei classici servizi di rete. Una co-innovazione che è alla base di business modelli aziendali ben pensati, resi disponibili e utilizzati in modo più attento, inclusivo e sostenibile. La tecnologia digitale è un potente abilitatore per il cambiamento economico, sociale e ambientale, e in ciascuna di queste dimensioni, le imprese possono giocare un ruolo importante nelle scelte per contribuire responsabilmente alla crescita del paese. La consapevolezza dei rischi è la sola maniera di governare il cambiamento in maniera dinamica e costruttiva, come sanno bene i CIO e CTO di quelle aziende italiane che sono riuscite a gestire il momento di crisi» – continua Puggioni. «Aziende che erano “pronte” per una ragione semplice: CIO e CTO giocano un ruolo di “value creation”, che significa anticipare le esigenze dell’azienda nella complessità. In questo senso, i manager si trovano ad avere una responsabilità quasi “politica” nell’anticipare e nel guardare avanti. Responsabilità a duplice livello: all’interno, nel supportare le aziende a fare le scelte giuste per il futuro, e all’esterno, come advisor pubblici per aiutare e far crescere il sistema, con la consapevolezza che ogni scelta – fatta o mancata – ha sempre delle conseguenze».
«La tecnologia per ridurre le differenze che creano squilibri. Tutto diventa centrale se è collegato, tutto diventa periferia se non è connesso»
La nuova “terra di mezzo” digitale
«Protezione, valorizzazione dei dati, e trasparenza fanno parte dei valori fondamentali di Orange» – spiega Puggioni. «Solo sulla base di questi valori si può creare un modello di co-innovazione con le grandi aziende, e l’adozione responsabile dei modelli digitali. Ed è in questa ottica di scambi “etici” di dati che bisogna lavorare. Anche la questione della rete unica in Italia dovrebbe essere posta in questi termini evolutivi e non di costruzione di nuovi monopoli, che non fanno bene né al mercato né alle imprese. La competizione eventualmente la facciamo su servizi e sui prezzi, ma il governo deve svolgere un ruolo chiave di regia, di regolazione e di bilanciamento».
Crediamo che il cloud non sia solo un’esigenza europea, ma mondiale. Come la rete telefonica lo è stata fino al momento della nascita del world wide web. Con Gaia-X parte la sfida del cloud europeo anche come volano della ripresa: «È un’esigenza, una necessità e anche un risultato che abiliterà, in futuro, una visione ancora più globale. Il superamento delle frontiere economiche e territoriali porterà anche a una convergenza della regolamentazione. Adesso, abbiamo bisogno di riconoscerci come Europa e di difendere i dati dei cittadini europei. In questa direzione l’Europa può fare da traino verso quello che potrebbe essere un cloud mondiale. Certo, con un cloud europeo avremo un quadro più trasparente per i fornitori di servizi cloud esistenti per garantire l’interoperabilità a livello europeo e la compliance alle normative – incluso il GDPR – e al tempo stesso anche un catalogo di servizi cui le aziende possono accedere quando cercano servizi dati specifici come AI o IoT. Le reti si adattano alle esigenze delle applicazioni che servono alle imprese. Del resto, parliamo di 5G proprio per questo motivo: perché quello che serve domani, va costruito prima. Le reti sono come la struttura che fa correre un Paese: il parallelismo è con le autostrade, e le considerazioni sono le stesse. Un’autostrada piena di buche, con una manutenzione assente, non può essere né veloce né sicura» – conclude Puggioni.