Il 2020 ci ha travolto come una tempesta. Molti, trascinati alla deriva. Pochi, scaraventati al largo su nuove rotte di navigazione a vele spiegate. Tutti, in qualche modo disorientati. Senza il tempo di capire, ma solo di reagire. Il 2020 ci ha portato via amici, maestri e compagni di viaggio. La velocità sopravanza la capacità di adattarsi al cambiamento. E mentre stai per riprendere fiato, arriva l’onda che non ti aspetti.
La paura fa parte della vita, anche quando ci sentiamo invincibili, anche quando ce ne dimentichiamo. Non possiamo prevedere tutto e tenere ogni cosa sotto controllo. Possiamo gestire i rischi e limitare i danni. E avere un piano B a portata di mano. Ma l’imprevedibile resta imprevedibile. La paura ci permette di evolverci. Ha ragione Beppe Carrella, manager fuori dal coro, quando dice che la paura è il motore dell’innovazione. La paura della morte e della distruzione ci spinge a migliorare il mondo in cui viviamo. La paura delle malattie dà forza alla ricerca per scoprire nuove cure. La paura di non avere un domani ci obbliga a ripensare il presente.
Intanto, l’economia globale mostra segnali di recupero ma le prospettive sono incerte. Gli esperti della Banca d’Italia prefigurano una ripresa economica nel prossimo triennio (3,5% nel 2021, 3,8% nel 2022 e 2,3% nel 2023). PIL ancora in riduzione nel trimestre in corso e debole all’inizio del 2021, per poi tornare a espandersi a ritmi significativi nella parte centrale del 2021, grazie all’ipotesi di miglioramento del quadro sanitario e all’effetto delle misure di politica economica.
La pandemia contagia ogni cosa. Nel corso dell’anno, l’allarme cybersecurity è cresciuto seguendo la curva della pandemia. Tendenza confermata dagli esperti di Clusit e anche dagli ultimi dati dell’Osservatorio Cybersecurity di Exprivia. Tuttavia, la sicurezza – anche tra gli addetti ai lavori – resta un ostacolo procedurale o una perdita di tempo che appassiona gli avvocati e annoia gli sviluppatori open source. Al pari del business delle ecomafie, il virus dell’illegalità informatica non si arresta davanti a niente e non conosce crisi.
La nostra capacità di resistere è messa a dura prova. Possiamo negare la realtà. Oppure, possiamo riflettere su quello che sappiamo per superare gli errori. Possiamo concentrarci solo su quello che proviamo. Oppure, possiamo entrare in sintonia con tutto quello che ci circonda. Quando si toccano le emozioni si crea fiducia.
Le aziende del futuro saranno quelle in grado di creare una elevata empatia con i clienti, creando spazi di innovazione più coraggiosi basati sulla coopetizione. Perché si può essere “self-interest” senza distruggere, conquistare, inquinare, basando la crescita su fondamentali solidi, materiali e immateriali, e beni inclusivi non solo esclusivi. Questa crisi lascerà solchi profondi: il 30% delle imprese non ce la farà. Il 30% è bloccato e aspetta di capire. Il 30% va benissimo. In quei solchi, possiamo seminare qualcosa di buono, dissodando bene il terreno dalle cattive abitudini. I nuovi inizi spaventano sempre. La crisi è una opportunità, continuiamo a ripeterlo, forse per riempire il vuoto. Su come ne verremo fuori, si è detto e scritto molto. Io vengo dal Salento. Mi ricordo lo scandalo del vino al metanolo e di come lo risolsero i produttori pugliesi: facendo un vino migliore.
Ci troviamo sul crinale, tra la tentazione di un ritorno alla normalità precedente, animati dal desiderio egoistico di accaparrarci una “fetta di torta”, e la necessità di prendere la strada più scomoda per impegnarci e crescere, recuperando il terreno perduto. Tutto il Paese ha un problema di legacy. Dovremmo dimostrare di mettere il debito su una curva discendente rispetto al PIL. Il debito sarà sostenibile se servirà a sostenere investimenti in capitale umano e infrastrutture. Si può discutere del profitto e di come si fa. Il Paese sta in piedi perché ci sono le imprese che creano ricchezza e lavoro. Ma le imprese non devono diventare apparati e i manager non devono diventare tecnocrati esecutivi. Innovazione, sostenibilità ambientale, scuola ed export sono l’unico “vaccino” per la ripresa del sistema imprenditoriale e il rilancio del Mezzogiorno. Perché “la barca” è una sola. E se ben guidata, sa fare cose straordinarie. Come la barca volante di Leonardo Lecce, docente di ingegneria aerospaziale in pensione e CEO di Novotech. Un’idea nata tre anni fa, grazie a un finanziamento di 1,3 milioni di euro da parte del Ministero per lo Sviluppo economico. Una sfida di innovazione, che apre le sue ali come fanno i gabbiani: per superare la tempesta.