Dalla realtà del cambiamento al cambiamento reale. La lectio del filosofo Umberto Galimberti per riflettere sulla necessità di un nuovo inizio. Dobbiamo elaborare un pensiero alternativo al pensiero che calcola soltanto, se vogliamo costruire nuovi spazi e nuovi valori per il futuro
Tutti i nuovi inizi spaventano sempre. Quando ci imbattiamo in problemi che non riusciamo a risolvere. Quando non riusciamo a capire bene lo spazio in cui viviamo, che non è più solo quello della biologia e della geografia – allora chiediamo aiuto ai filosofi, perché nella terra di mezzo della trasformazione digitale, dove tutto può sembrare “facile, veloce e prevedibile” – le “scorciatoie” possono portare su sentieri pericolosi. La tecnologia ha ridisegnato l’ambiente funzionale nel quale ci muoviamo e che ci contiene. Secondo il filosofo Umberto Galimberti – «l’errore più comune è pensare che la tecnologia sia solo uno strumento a nostra disposizione. La tecnologia invece è diventata il soggetto della storia». Allora, dobbiamo elaborare un pensiero alternativo al pensiero che calcola soltanto, se vogliamo costruire nuovi spazi e nuovi valori per il futuro. Una sfida che coinvolge e chiama in causa le imprese tecnologiche come agenti del cambiamento per un nuovo inizio. «La tecnica non è mai neutrale, perché crea un mondo con determinate caratteristiche, che non possiamo evitare di assimilare e che ci trasformano. Il rischio è di mettere fuori gioco tutto quello che ci rende veramente umani. Perché ciò che fuoriesce dalla logica della tecnica – afferma Galimberti – diventa elemento di disturbo. Perché l’uomo non è solo razionalità, ma anche irrazionalità, fantasia, immaginazione, desiderio, sogno». Come scrive Heidegger – non è inquietante che il mondo si trasformi in un unico apparato tecnico-economico. L’aspetto più inquietante è che non siamo preparati a questa radicale trasformazione del mondo. La logica dell’ottimizzazione imposta dalla tecnica ha un solo obiettivo: raggiungere il massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi.
La logica della tecnica
La tecnica è la forma più alta di razionalità mai raggiunta dall’uomo – spiega Galimberti. «Il suo obiettivo è l’ottimizzazione. La tecnica ha cessato di essere strumento nelle mani dell’uomo a partire dalla seconda guerra mondiale. Ma questa visione era stata già anticipata da Hegel, che aveva osservato che l’aumento quantitativo di un fenomeno corrisponde a un mutamento qualitativo anche del paesaggio, con un capovolgimento tra mezzo e fine, tra soggetto e oggetto. Se la tecnica diventa la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo, allora la tecnica smette di essere mezzo e diventa fine».
Dobbiamo smobilitare l’idea che la tecnica sia uno strumento nelle mani dell’uomo – insiste Galimberti. «La tecnica è diventata il soggetto del mondo e non è più oggetto di una nostra scelta. La tecnica è il nostro ambiente e il nostro paesaggio, dove fini e mezzi, scopi e ideazioni, condotte, azioni e passioni, persino sogni e desideri sono tecnicamente articolati e hanno bisogno della tecnica per esprimersi. La tecnica funziona secondo la logica dell’auto-potenziamento. La tecnica sa come si devono fare le cose. L’architetto sa come si devono costruire i palazzi. La politica decide se e perché si devono fare. Ma la politica non è più il luogo della scelta. Perché la politica per decidere guarda all’economia e l’economia guarda alle risorse tecnologiche» – spiega Galimberti. «La tecnica diventa quindi il fulcro della decisone, ma la tecnica non ha scopi, non redime, non salva, non dice la verità. La tecnica funziona e basta. E il suo scopo è quello che Nietzsche aveva assegnato alla volontà di potenza: la tecnica vuole unicamente il suo sviluppo e il suo potenziamento».
Tecnica e scienza
Anche la democrazia non funziona più perché per funzionare ha bisogno di sapere, di conoscenza, di competenze per decidere. «Ecco perché i governi hanno bisogno di tecnici per governare» – continua Galimberti. Però, come diceva Kant – la democrazia è una idea regolativa: «Anche se non si è mai realizzata, è l’orizzonte verso il quale dobbiamo tendere. Responsabilità significa rispondere degli effetti delle proprie azioni». Con una popolazione mondiale di quasi otto miliardi di persone possiamo ancora considerare l’uomo unico fine e tutto il resto mezzo? Oggi, l’ambiente fisico, l’aria, l’acqua sono mezzi o fini? Secondo Galimberti dobbiamo smobilitare anche l’altra idea comune del rapporto tra scienza e tecnica. «Dobbiamo smettere di considerare la scienza pura e la tecnica il suo braccio esecutivo. Semmai è il contrario. L’anima della scienza è la tecnica, perché la scienza non guarda il mondo per contemplarlo, ma per conoscerlo e manipolarlo. L’intenzione della tecnica è già nello sguardo della scienza. Non c’è una scienza pura di cui la tecnica sarebbe la buona o la cattiva applicazione. Se in un bosco ci sono un poeta e un falegname, anche se il bosco si offre allo sguardo di entrambi allo stesso modo, il falegname non vede le stesse cose del poeta». Durante la pandemia, ci siamo stupiti che la scienza non parlasse con una sola voce di verità. «Ma la scienza dice solo cose esatte» – commenta Galimberti. «Esatto significa “ottenuto da”, cioè che dipende dalle premesse poste all’inizio del ragionamento. La scienza procede per prove ed errori. E l’errore non è il fallimento, ma il punto da cui ripartire per migliorare. In questo, la logica della tecnica è perfetta e compiuta perché assimila anche i suoi stessi errori».
Il futuro non è più una promessa
Siamo immersi nell’età della tecnica e dell’assoluta imprevedibilità. «La nostra capacità di fare ha oltrepassato la nostra capacità di prevedere gli effetti delle nostre azioni» – continua Galimberti. «I greci avevano affidato a Prometeo l’incarico di dare la tecnica agli uomini. “Pro-metis” significa colui che pensa prima, colui che prevede. Noi abbiamo scatenato Prometeo, non lo abbiamo incatenato. Il nostro agire è senza meta. Non dobbiamo commettere l’errore di restare intrappolati dall’idea di un futuro fatto unicamente di salvezza. Questa divisione del tempo è una eredità della cultura cristiana. Il passato è peccato originale, il presente è redenzione, il futuro è salvezza. Anche la scienza è profondamente cristiana. Per la scienza il passato è ignoranza, il presente è ricerca, il futuro è progresso. Anche Marx da questo punto di vista è un grande cristiano: il passato è ingiustizia sociale, il presente fa esplodere le contraddizioni del capitalismo, il futuro è giustizia sulla terra. Anche Freud, che scrive un libro contro la religione, pensa che il passato è il tempo in cui si forma il trauma o la nevrosi, il presente è terapia, il futuro è guarigione. L’idea che il futuro sia sempre positivo può essere pericolosa. Chiedetelo ai giovani se il futuro per loro è una certezza o una minaccia. Il futuro non è più una promessa» – afferma Galimberti.
Abbiamo spalancato le porte al nichilismo. Alla riduzione dell’essere a materia, energia e informazione. Riducendo la responsabilità alla funzione, all’aderenza ai processi, ai protocolli, all’interno di un logica di apparato. Dobbiamo superare questo modello o quantomeno iniziare a porci delle domande. «La tecnica non ha scopi di salvezza. L’uomo è obsoleto, nel rapporto uomo-macchina, la macchina ha già vinto. Se la tecnica è oggi la condizione necessaria per realizzare qualsiasi scopo, essa non è più un mezzo, ma il primo scopo a cui tutti gli altri sono subordinati. Tutti gli altri scopi allora collassano, diventano illusioni, fantasie o delusioni. L’egemonia della tecnica determina una variazione di tutte le categorie umane, ovvero dei modi tradizionali di intendere la ragione, la verità, l’ideologia, la politica, l’etica, la natura, la religione e la stessa storia».
La politica spodestata
La politica come “tecnica regia” inventata da Platone è un sovrano spodestato. «La tecnica sa “come si devono fare le cose” ma non sa “se devono essere fatte” e neppure “perché devono essere fatte”. Oggi, il rapporto tra tecnica e politica, si è completamente capovolto. Non solo. La tecnica sovverte anche la struttura del potere. La tecnica dà potere a tutti coloro che operano in un apparato. Siamo quindi di fronte a un potere nuovo, perché la tecnica prevede una coordinazione dei suoi apparati e sub-apparati, affinché tutto possa funzionare con regolarità e coordinazione assolute. Basta infatti l’interruzione di un piccolo segmento perché si blocchi tutto il sistema interconnesso. La tecnica inoltre ci mette di fronte a problemi sui quali siamo chiamati a pronunciarci senza alcuna competenza. Le persone prive di queste specifiche qualifiche prendono posizione su basi “irrazionali” e le insidie più gravi – che per Platone meritavano l’espulsione dalla città – sono la mistificazione del linguaggio e del consenso. Nell’età della tecnica, si pone anche il problema del rapporto tra uomo e democrazia, potere e consenso. La tecnica mette sul tavolo problemi che richiedono una competenza di gran lunga maggiore di quella di cui disponiamo. E non abbiamo un’etica che sia all’altezza dell’età della tecnica». La tecnica non può essere il luogo delle scelte, perché la tecnica non ha scopi. L’ottimizzazione e l’efficientamento non aprono orizzonti di senso. La tecnica può liberare dalla fatica, guarire dalle malattie, allungare la vita media. Ma come si gestiscono le transizioni da un modello a un altro? Come riempire di senso vite che durano più a lungo?
La nuova etica della responsabilità
L’etica nell’età della tecnica è diventata patetica, può solo implorare la tecnica “che può” di non fare “ciò che può”. Questo non si è mai visto nella storia – afferma Galimberti. «L’etica non è in grado di interdire la tecnica. Al massimo è in grado di implorarla, ma l’implorazione non porta a nessun risultato. Anche perché l’etica occidentale cristiana guarda l’uomo non a partire dai suoi comportamenti ma dalla intenzione con cui compie un’azione. Sull’intenzionalità si è fondato tutto l’ordine giuridico europeo. Ma conoscere l’intenzione che avevano Oppenheimer o Fermi quando lavoravano alla bomba atomica non è di nessun interesse.
È molto più importante conoscere gli effetti della bomba atomica. Dall’etica dell’intenzione dobbiamo passare all’etica della responsabilità, che significa diventare responsabili degli effetti delle nostre azioni, a patto però che gli effetti – avverte Max Weber – siano prevedibili. Ma è proprio della tecno-scienza avere effetti imprevedibili». I manager possono essere considerati moderni Ulisse? «I manager hanno lo scopo della crescita dell’azienda, di centrare gli obiettivi che vengono loro affidati, e a fine anno distribuire dividendi a tutti gli stakeholder. Il profitto è una etica legittima» – risponde Galimberti. «I manager potrebbero rifondare una nuova gerarchia degli scopi, a patto di non essere guidati solo dal profitto che è diventato il generatore simbolico di tutti i valori. Ma ci vorrebbe una alleanza trasversale tra tutti i manager del mondo. E la missione di rifondare una dimensione nuova di valori per il futuro non può essere tutta sulle spalle dei manager. Dobbiamo globalizzare altri interessi, spostando l’ago della bilancia dai beni esclusivi che creano competizione ai beni inclusivi che creano inclusione. Per farlo dobbiamo costruire un governo del mondo completamente nuovo. Ma questo mi pare altamente improbabile».
Heidegger e il problema della tecnica
La metafisica, inaugurata da Platone, secondo Martin Heidegger ha messo in circolazione un’unica forma di pensiero: il pensiero calcolante, che ha trovato nell’economia e nella tecnica l’espressione più alta e organizzata. A partire da Platone, tutta la filosofia non ha fatto altro che preoccuparsi di garantire tutte le cose del mondo e metterle a disposizione dell’uomo. La tecnica è infatti la realizzazione compiuta dell’intenzione segreta della metafisica, la più idonea a garantire non solo la disponibilità di tutte le cose, ma anche la loro riproducibilità. In “Heidegger e il nuovo inizio” (Feltrinelli), Umberto Galimberti ci conduce alla riscoperta del pensiero di Heidegger e fa un fondamentale passo in avanti. Al tempo di Heidegger, la tecnica poteva ancora essere considerata uno strumento nelle mani dell’uomo. Oggi, non lo è più: è diventata l’ambiente in cui l’uomo vive, e l’uomo stesso è diventato un funzionario della tecnica. Questo libro – scrive Galimberti – è una guida alla lettura di Heidegger e, come ogni guida, conduce da un “primo inizio” a un “altro inizio”, come lo chiama Heidegger, per giungere al quale occorre attraversare l’intero pensiero occidentale, che è stato governato dalla metafisica inaugurata da Platone.