La pandemia accelera la tendenza a servirsi dei canali digitali, integrandoli in strategie di vendita che devono essere sempre più omnicomprensive. Alla base dell’evoluzione, ci sono l’analisi delle informazioni e la condivisione di conoscenze ancora troppo compartimentalizzate
Data Manager ha sempre dedicato molto spazio nelle sue tavole rotonde alla trasformazione digitale del retail. Il ritmo dell’evoluzione tecnologica, il mutare dei framework regolatori e l’inventiva degli imprenditori del settore non si fermano mai. La trasformazione digitale del negozio fisico prosegue all’insegna dell’hyper-commerce, come sintesi dei nuovi modelli di relazione che il retailer stabilisce con i suoi clienti attraverso una molteplicità di canali di vendita e touchpoint comunicativi, dove ciascun elemento contribuisce a un complicato “gioco di sponda” il cui obiettivo è un customer journey integrato e omogeneo. Un’evoluzione altrettanto complessa avviene sul fronte della relazione tra retailer e catene distributive da un lato e tutto il mondo della produzione e della logistica dei beni di consumo dall’altro. Un’interfaccia, quest’ultima, che è stata messa a una dura prova dei fatti in occasione dei lunghi mesi di blocco imposti dalla gestione della crisi sanitaria ancora in corso. Il momento della spesa è stato vissuto da milioni di famiglie italiane non solo come indifferibile attività primaria, tesa al proprio sostentamento, ma come unica valvola di sfogo, una vera e propria “ora d’aria” fisica e psicologica, concessa a tante persone costrette a un duro isolamento forzato. Tutto, in quei momenti, doveva funzionare alla perfezione, mentre per l’acquisto di generi non-food molti venivano spinti, anche per la prima volta, all’uso di canali digitali. Scenario che si ripropone anche in questa seconda ondata.
Per molti operatori, la situazione ha creato uno spazio di opportunità utilizzato per rivedere, rilanciare, potenziare, o addirittura accelerare le rispettive strategie in direzione dei canali digitali o addirittura verso la piena multicanalità. La pandemia sembra anzi aver evidenziato una importante svolta culturale, inaugurando uno scenario in cui il concetto stesso di multicanalità – intesa come orchestrazione di approcci distinti – cede il passo a una più complessa forma di relazione col cliente che si avvale simultaneamente di diverse modalità e linguaggi di comunicazione, e per questo necessita di una visione e un controllo quanto più possibile unificati. Abbiamo pensato quindi di coinvolgere i nostri interlocutori dell’universo del retail di beni di consumo, in un racconto delle esperienze che gli operatori hanno maturato a livello di strategie decisionali, mutamenti organizzativi, azioni e attivazioni sul campo e – ovviamente – delle tecnologie a supporto di queste decisioni e attività. Ai partecipanti, è stata proposta una serie di spunti di un dibattito che malgrado le presenze ridotte a causa delle regole sul distanziamento, è stato molto animato.
PIANI ACCELERATI
Il primo tema sul piatto riguarda i piani di adeguamento e le esperienze vissute in materia di decisioni e implementazioni sul breve termine di sistemi, tecnologie, procedure e tool di analisi, previsione e supporto decisionale per far fronte al rapido mutare delle circostanze e del customer journey. La tavola rotonda si è anche soffermata sull’effetto che l’emergenza ha avuto nell’accelerare strategie di e-commerce già pianificate ma non ancora implementate o solo parzialmente realizzate. Durante la discussione, ci sono stati esempi di gruppi attivi a livello internazionale, che hanno dovuto rivedere la programmazione dei lanci previsti nelle diverse aree geografiche ricoperte. E sono emersi anche i temi ricorrenti della tecnologia applicata al mondo delle vendite in tutte le sue declinazioni. Attenzione quindi a problematiche come l’uso di strumenti di pagamento alternativi al contante e agli investimenti richiesti per attrezzarsi in tal senso; e soprattutto, sono venuti alla luce in tutta la loro rilevanza e attualità i temi della sicurezza e del controllo di merci e persone, che coinvolgono anche tutte le operations in chiave di business continuity, ben oltre la normale dose di compliance alle tante regole fissate nei settori del food e dei beni di consumo. In genere, il tentativo di distillare da queste conversazioni una vera e propria lezione per il futuro è un compito arduo. Ma la sensazione è che in questa occasione si possa almeno cercare di trarre qualche insegnamento dalla prima fase di lockdown e dalla nuova serie di misure finalizzate al contenimento della seconda ondata di contagi. Anche su questo abbiamo cercato di carpire dai nostri interlocutori qualche indicazione per un futuro che certamente richiederà una ulteriore pressione sul pedale della trasformazione digitale ma che forse segue un presente in cui certi cambiamenti, strutturali e culturali, sono già avvenuti e oggi attendono una fase di estensione e consolidamento, almeno per quanto concerne la complicata realtà della produzione e vendita di prodotti al dettaglio.
SE IL BOARD SI ACCORGE DELL’E-COMMERCE
Alberto Billato è il Digital & eCommerce director di Stiga Group, un’azienda che produce tagliaerba e minitrattori per giardinaggio. Si tratta di una realtà complessa, cresciuta molto per acquisizioni (il brand Stiga ha origini svedesi) la cui produzione si basa in Italia, con politiche commerciali ritagliate su misura delle diverse nazioni in cui è presente. «Attiva soprattutto come produttore OEM, dal 2017 Stiga ha avviato un cambiamento strategico scegliendo di diventare un’azienda di brand sull’intero mercato europeo» – racconta Billato, rilevando un primo importante effetto della pandemia: se negli ultimi tre anni il giovane manager dei canali digitali incontrava il board di Stiga una volta all’anno, nei concitati mesi di lockdown il contatto è diventato settimanale. Fino a questo momento, prosegue Billato, l’online di Stiga ha pesato poco meno del 5%, su un fatturato di 500 milioni, con una strategia mista B2C e B2B avviata solo negli ultimi 2 anni. Per Stiga la chiusura non ha riguardato solo i canali fisici – spiega il direttore dell’e-commerce: «Anche sui siti di e-commerce i prodotti fino a quel momento regolarmente in offerta venivano improvvisamente bloccati per evidenti difficoltà nell’assicurare una logistica adeguata. Ci siamo ritrovati con la merce bloccata nei magazzini in Europa e senza la possibilità di comunicare con i clienti, che non sapevano più a quali canali rivolgersi». Nel giro di pochissimo tempo, su mandato del board di gruppo, Billato e il suo team riescono a rilasciare le versioni dello store digitale di Stiga per Germania e Danimarca, che vanno ad aggiungersi alle versioni per Svezia, UK e Polonia a suo tempo già attive. Le due nuove country vengono scelte per la disponibilità di risorse, in modo da accelerare lo smaltimento del surplus di magazzino accumulato con il blocco di Amazon, B&Q e altre insegne online. «Il paradosso è che marzo e aprile sono mesi importantissimi per le attrezzature da giardinaggio e in più quest’anno in stagione ha fatto bellissimo tempo in tutta Europa».
CRESCITA A DOPPIA CIFRA
La sostanza del racconto di Billato si può sintetizzare così. «Nell’emergenza, ci siamo messi a ragionare e abbiamo attivato due nuovi canali B2C in due nazioni su cui sapevamo di poter contare. Nel giro di tre settimane, convertendo alcune persone in store manager, abbiamo inoltre creato su Amazon un canale white label, collaborando in outsourcing con un service provider per il fulfillment e la logistica, per noi lo snodo più importante, e studiando le situazioni per ogni area geografica, anche dal punto di vista normativo». Il canale digitale Stiga ha compiuto un notevole passo avanti, con una crescita in volume a doppia cifra nei primi mesi di lockdown. Billato si sofferma brevemente sull’evoluzione di questa intensa attività di pianificazione e lancio: «L’idea per la seconda fase di emergenza è quella di integrare digitalmente un cluster di duemila punti vendita fisici in tutta Europa».
Secondo Sergio Scornavacca, direttore Industry & Consumer Market di Minsait, che riunisce i servizi e le competenze IT del gruppo ingegneristico spagnolo Indra, da nove anni in Italia, dove ha raggiunto una cifra di 1.200 collaboratori, il cambio di passo nell’emergenza – «è stato dettato da un DNA che ci ha imposto una reazione da ingegneri: no panic, disciplina e vicinanza ai colleghi che non potevamo lasciare a zero». Ma tutto quello che Minsait ha allestito internamente – in termini per esempio di radicale spostamento sull’asse dello smart working – è stato immediatamente restituito ai grandi clienti. Per Scornavacca, l’impatto di un fenomeno così esteso e profondo implicherà azioni che non possono essere puramente tecnologiche. «Dobbiamo ritrovare un equilibrio sul piano della psicologia sociale. La pandemia ha un impatto su tutto. Le scale di valore del business cambiano nel momento in cui impari che ruolo ha la salute quando incide così su vasta scala sul lavoro, l’organizzazione, la produzione, i processi».
CONTACTLESS, MA COLLEGATI
Ci sarà necessariamente un profondo cambiamento in tutto quello che facciamo dopo un periodo che ha visto aziende crollare di decine e decine di punti percentuali e altre sottoposte allo stress di un’ondata di acquisti – spiega Scornavacca. La digital transformation ha contribuito a cambiare molti piani, che oggi diventano “costruttivi” come mai lo erano stati prima dell’emergenza, non solo incrementando il livello di attenzione al change management e alla capacità di reinventare ogni giorno il modo di vivere tutto, ma anche – continua Scornavacca – ponendo la massima priorità alla sicurezza che per Minsait non è mai stata solo digitale. «La sicurezza non è mai stata così tangibile. Al tempo stesso, viviamo in una società che avrà a che fare con strumenti di pagamento sempre più intelligenti. La paura del contagio ci insegna quanto sia importante non toccare, pensiamo solo ai ristoranti che non ti porgono neppure più il menù. Anche questo è un cambiamento digitale, sul piano funzionale è commodity, sul piano strategico no. I consumatori, noi cittadini, dobbiamo essere trattati come “surgelati” nella catena del freddo. Qualcuno o qualcosa deve fare in modo che tutti noi manteniamo sempre la stessa temperatura».
RECUPERARE IL RITARDO
Il confronto con le opinioni di un pure player dell’e-commerce come ePrice può sicuramente ispirare anche gli operatori che si stanno avvicinando, al pari di Stiga, a un approccio più multicanale. Acquisito dalla società Banzai nel 2007 ma fondato nell’ottobre del 2000 – racconta l’head of Media eCommerce & Partnership Stefano Preti – ePrice in questo momento è il primo operatore di e-commerce italiano, con 186 milioni di fatturato. «L’andamento dell’e-commerce ha uno sviluppo continuo, anche a causa del Covid. Malgrado la pressione generale sulla logistica che coinvolge tutto il settore retail senza distinzioni, ePrice supera le previsioni di budget. Da un lato vedo la preoccupazione costante rispetto a quello che sta avvenendo per i possibili impatti sulla quotidianità, dall’altro questo momento – per me che sono ottimista sempre – è una grande opportunità. Una volta trovato un vaccino efficace vedrete, dimenticheremo in fretta certi effetti. In compenso, i cambiamenti che stiamo vedendo sono infrastrutturali». Secondo Preti, l’errore di molti retailer è considerare sempre solo l’aspetto locale del business in un mondo di estrema complessità e ampiezza d’orizzonte. Dove il colosso globale Amazon è solo uno dei venditori del marketplace di Ali Baba. Oggi, Occidente e Oriente sono due sistemi completamente separati, ma entrambi crescono a ritmi pazzeschi con quote del 36% del retail in Italia, oltre il 50% in Cechia o UK.
Prima di questa crisi – afferma Preti – «eravamo in un “set mentale” con un ritardo di una decina d’anni. Il management è indietro strutturalmente. E dieci anni sono un’era geologica». I cambiamenti avvenuti sono reali e concreti anche nelle stesse interfacce digitali, nel modo di portare il cliente verso i siti di acquisto online, nei social network dove Instagram ha preso il posto di Facebook. Gli eventi che stiamo vivendo determinano un cambiamento devastante e sicuramente saremo migliori non solo nel business. Ciò che avverrà andrà sicuramente in senso migliorativo». Dobbiamo però costruire condizioni che accelerino questo cambiamento. Le aziende produttrici di beni di consumo si devono adeguare, fugare ogni sospetto che l’e-commerce sia qualcosa di marginale, addirittura “emergenziale”. Non è niente di tutto questo. «Il retail fisico non muore ma cambierà radicalmente» – conclude Preti. «Una parte migrerà online e una parte rimarrà sul fisico con diverse modalità di vendita. Se il negozio fisico trattasse i clienti come ePrice tratta i suoi, difficilmente un cliente uscirebbe dal punto vendita senza aver acquistato un prodotto, come succede oggi». La sfida si gioca sui numeri degli analytics e sulla formazione del personale, sull’affinamento delle capacità di vendere.
A SCUOLA DI DATA VIRTUALIZATION
Proprio sulla capacità analitica, interviene Gabriele Obino, regional VP Southern Europe & Middle East di Denodo, l’azienda ibero-americana che si occupa di virtualizzazione del dato in grandi progetti di integrazione di risorse informative. «In Denodo Italia, siamo rimasti colpiti dalla forte relazione che sussisteva tra il business generato e le attività – demo, proof of concept – svolte in presenza. Come tutti, abbiamo dovuto scoprire decine di piattaforme di videoconferenza, e le tante funzioni non documentate nascoste in questi sistemi. Ma a parte queste difficoltà, per dare un contributo fattivo, specializzato, durante il lockdown abbiamo messo in piedi un portale di informazione sul Covid – coronavirusdataportal.com – chiedendo a colleghi, clienti, data scientist di tutte le nazioni di fornire dati, rapporti, fonti ufficiali per costruire uno strumento di aggregazione e studio di queste informazioni, con l’obiettivo di mostrare come la piattaforma di virtualizzazione del dato può amplificare i processi di filtraggio, ripulitura, analisi, visualizzazione nei progetti big data».
La prima conseguenza della crisi – prosegue Obino – a parte la dilatazione del processo di vendita, è stata proprio la crescita della domanda di trasformazione con una pressione maggiore. «I clienti hanno sempre più necessità di dati contestualizzati alla situazione attuale. Un cliente come Istat, per esempio, fornitrice istituzionale dei dati al Governo e ai cittadini, cercava un sistema di integrazione che le permettesse di produrre dati a richiesta e attraverso qualsiasi interfaccia. Il punto saliente, nel retail, è che i canali sono tantissimi ma il cliente è uno solo. E tu non lo sai. La multicanalità si scontra con la capacità di gestire molteplici fonti di informazione. È come avere una vista unificata tutta spezzettata: devi essere in grado di mettere insieme tutto».
CONOSCI IL TUO CLIENTE
Sulla capacità di riconoscere veramente il cliente, si avverte ancora di più il gap culturale tra un retailer moderno, nato con una mentalità digital-first, rispetto a venditori più tradizionali. «Da un lato ci sono sistemi che sanno dov’è il cliente, quali sono i suoi orientamenti e così via» – interviene Stefano Preti di ePrice. «Dall’altro ci sono aziende che il loro cliente lo conoscono pochissimo. La conoscenza cambia completamente le modalità di relazione e vendita». Per Obino, anche le aziende più tradizionali si rendono conto dello stravolgimento complessivo che ha spinto a ripensare certi modelli. «Il rischio è che il ritorno alla normalità ce lo faccia dimenticare: il nostro problema è che siamo un paese di santi, ma non di innovatori. Sulle dinamiche di vendita si deve avere il pieno controllo, anche in una complessa catena end-to-end». Forse, in fin dei conti è sempre solo un problema di acquisizione di competenze e di corretta allocazione delle stesse dentro alla struttura organizzativa del retailer.
«Oggi – rimarca Alberto Billato di Stiga – è ancora troppo difficile spiegare al proprio CFO le motivazioni di una campagna pubblicitaria online. Occorre più consapevolezza delle leve che servono a governare e far crescere l’e-commerce. Dobbiamo essere in grado di guardare ai dati: ma più questi aumentano e più risultano inadeguati gli strumenti di cui disponiamo». Sulla questione competenze e organizzazione si soffermerà anche Paolo Sassi, Group IT director di Bauli Group non prima però di raccontare il modo in cui il grande gruppo dolciario ha affrontato l’emergenza. Il gruppo – che riunisce brand leggendari come Motta, Alemagna, Bistefani e produce biscotti, merendine e dolci di “ricorrenza” – opera fondamentalmente in modalità B2B, con la GDO come canale di riferimento. Un primo, forte momento di attenzione – rimarca Sassi – è stato rivolto alla sicurezza del personale che non ha mai sospeso la propria operatività. «Le decisioni vengono prese giorno per giorno in funzione delle decisioni del Governo, dapprima in presenza poi in remoto.
In ogni caso, il nostro obiettivo resta quello di essere vicino alle persone, evidentemente spaventate, dando continuità al lavoro dei colletti blu che continuano a infornare i prodotti». L’altro fattore da governare è stato l’avvicinarsi delle festività: quella pasquale nella prima fase e adesso il Natale. «Sono state concepite opportune iniziative di CRM, con messaggi veicolati attraverso i social, per cercare di capire come reagiva il consumatore» – spiega il capo dell’IT di Bauli. «Il ruolo della funzione IT ha pesato molto nelle scelte fatte. E alcuni progetti hanno subito rallentamenti: abbiamo dovuto affrontare subito la questione dello smart working, ma grazie ai passati investimenti in virtualizzazione del desktop, non abbiamo dovuto compiere sforzi particolari».
UN SALTO QUANTICO VERSO IL FUTURO
L’informatica di Bauli ha operato con tempestività, presentando al board le condizioni necessarie per l’operatività in remoto del personale d’ufficio. È stata l’occasione per spiegare l’uso della piattaforma Microsoft Teams e per definire insieme a manager e dipendenti le nuove modalità di lavoro. «Da questo punto di vista – prosegue Sassi – non credo proprio che torneremo facilmente indietro. Secondo me, “l’elettrone” ha fatto il suo salto energetico. Ancora non sappiamo quello che succederà dal punto di vista dei budget e dell’organizzazione, ma ritornare completamente al passato a questo punto sarebbe antistorico». Questa pragmatica dimostrazione della capacità della tecnologia di attivare un simile cambiamento prospettico non deve farci però dimenticare che il vero ingrediente di qualsiasi ricetta di successo è il cuoco. O nel caso di Bauli, il pasticciere. Nelle parole di Sassi – «un’azienda può trasformarsi digitalmente per fare il salto quantico. Ma l’energia necessaria dipende dalla particolare combinazione di competenze e capacità di visione, che si attiva mettendo insieme il capitale dell’esperienza e il talento dei giovani». A Sassi è sempre stato chiaro, anche nel corso delle sue precedenti esperienze, che l’informatica può contribuire solo fino a un certo punto se i patrimoni di conoscenza non si uniscono, se le informazioni non infrangono i muri organizzativi che le tengono separate. «Se l’e-commerce in Italia prende piede solo adesso è perché troppi esperti di marketing non sapevano nulla di logistica» – conclude Sassi.
Roberto Corraro, Retail Business Unit manager di Axians Italia, rappresenta al tavolo il brand dei servizi IT di una grande realtà multinazionale della cantieristica, Vinci. «Rappresentiamo quindi una delle componenti di un business che nel mondo vale 40 miliardi di fatturato» – spiega Corraro. «In particolare la mia business unit è focalizzata quasi interamente sul retail, come integratore di servizi ICT, preparato a gestire le modalità di lavoro più disparate». Le preoccupazioni che Axians nutriva inizialmente nei confronti delle capacità di adattamento delle infrastrutture nel supporto ai servizi si sono rivelate infondate. Potenziate dalla virtualizzazione, le reti hanno retto ogni carico aggiuntivo, senza mai rallentare il ritmo dell’erogazione. Anche dal punto di vista organizzativo – prosegue Corraro – nessun particolare cambiamento, ma tante iniziative volte a mantenere viva la comunicazione interna e con la clientela.
UNA FISICITÀ MOLTO DIGITALE
Lato mercato – Roberto Corraro sottolinea il grande lavoro di monitoraggio e supporto delle tecnologie utilizzate dai clienti, spesso con accelerazioni decise in funzione dell’inatteso lockdown. Un aspetto negativo è stato il rallentamento di molte delle tradizionali attività on-site che Axians porta avanti nell’ambito delle tecnologie oggi utilizzate per la trasformazione digitale dei punti vendita fisici. Qual è stato quindi il motivo conduttore delle iniziative svolte nella fase del blocco? «Non perdere mai i canali di comunicazione che ci permettono di capire ciò che i nostri clienti stanno pensando di fare con i loro clienti» – risponde Corraro. Spesso non si tratta di veri e propri problemi di “readiness” o di impreparazione. Volontà, idee e competenze da mettere in gioco non mancano: i ritardi si misurano sul piano dell’implementazione dei progetti. «Abbiamo quindi aiutato molti clienti a studiare le cose che potevano essere messe in campo, ed è stata un’esperienza positiva anche per noi. Abbiamo capito meglio quello che possiamo fare domani». Questa fase di crisi non ha visto crollare i palazzi – rileva Corraro – domani non saremo chiamati a ripartire dalle macerie. Ma dovranno cambiare molte cose: questa fase transitoria ci permette di capire i possibili bisogni di domani. «Penso che il fisico non è destinato a sparire. Sarà però un “fisico” molto diverso, sempre più integrato con il digitale. E sono anch’io convinto che la crisi ci sta aiutando a capire l’importanza dell’analisi, il grande fabbisogno di informazioni che servono per capire che cosa fare, per capire il comportamento dei consumatori e dei cittadini. Solo questo ci può aiutare a prendere le decisioni giuste».
La necessità di distillare le informazioni da un oceano apparentemente caotico di dati che ci sta sommergendo – come afferma Gabriele Obino di Denodo – ha un peso rilevante. Ma un altro elemento fondamentale è il cambio organizzativo nella filiera della decisione: una catena che dovrà accorciarsi, che deve imparare a dare valore alle idee – come afferma Roberto Corraro di Axians Italia. Mentre Sergio Scornavacca di Minsait incalza con gli esempi di innovazione intercettati dall’Osservatorio sui beni di consumo che Minsait ha costituito per studiare le nuove tendenze: «Guardiamo alle iniziative di Pinduoduo, la seconda piattaforma di e-commerce in Cina, la terza nel mondo. Il fenomeno del liveshopping con sessioni di televendita in streaming condotte da celebri influencer, nasce da quelle parti. Questi trend ci stanno portando al cosiddetto consumer-to-manufacturer, la nuova frontiera del built-to-order, della produzione su misura».
Per Alberto Billato di Stiga è anche un tema di tempistica decisionale e di messa in sicurezza complessiva, nei luoghi di produzione, nei punti di distribuzione, nell’ultimo miglio del negozio fisico. «La sfida non è solo fare intelligence, essere analitici, al proprio interno, ma capire tutte le dinamiche, quelle del consumatore finale, della logistica, del venditore». E qui si torna al discorso fatto da Paolo Sassi di Bauli, alla capacità di mescolare le esperienze di tutti, mettendo le informazioni e le competenze a fattor comune. Chissà che questo obiettivo di condivisione così estesa non possa trovare un terreno fertile in questa crisi che ci sta insegnando come rimuovere o aggirare – grazie alla tecnologia ma non solo con la tecnologia – le barriere che la lotta contro il contagio ci costringe a erigere.