Intesa e il beneficio delle piattaforme digitali per l’ottimizzazione dei processi. Franco Tafini e Luigi Traverso disegnano il quadro di riferimento in cui l’azienda del Gruppo IBM si inserisce con le sue soluzioni di ottimizzazione dei flussi, firma e onboarding
In uno scenario globale profondamente cambiato dalla crisi sanitaria che ha segnato il 2020, il business, nella sua più larga accezione, guarda al digitale non più solo come alternativa ma quale piattaforma imprescindibile di rilancio. Quando si parla di piattaforme digitali ci si riferisce alla possibilità di tradurre in un’unica interfaccia servizi solitamente basati su infrastrutture differenti, così da realizzare un flusso interoperabile di accesso. Questo consente di visualizzare informazioni contestuali che di norma sono rese disponibili solo all’azienda che comunica con un consumatore, dando vita a un modello di business moderno, la “platform economy”. Al cuore di tale prospettiva c’è un lato tecnico importante: la condivisione delle interfacce di programmazione, nella cosiddetta “API economy”, che rende possibile, concretamente, condividere dati e informazioni tra i diversi attori, per completare l’offerta al cliente. Nome di spicco nel mondo della platform economy è Intesa, azienda del Gruppo IBM.
Il vantaggio dell’AI nelle operations
Intesa, soprattutto negli ultimi mesi, ha dovuto approcciare in maniera differente il mercato di riferimento, essendo emerse delle variazioni significative nel tipo di gestione di alcuni rapporti, come quelli tra fornitori e clienti. Introducendo piattaforme che sfruttano le potenzialità dell’AI e della blockchain, sono state rafforzate, per esempio, quelle attività che riguardano lo scambio di merci e il controllo della qualità nella catena di fornitura, che erano stati comunque preventivati al di là della pandemia, con un focus particolare su come vengono utilizzati i dati – come ci spiega Luigi Traverso, head of supply chain solutions di Intesa (Gruppo IBM). «Proprio a causa della crisi sanitaria, in molti casi si è compromesso quel rapporto fiduciario con il fornitore, non più in grado di sostenere i costi con i quali assicurava la qualità di beni e la loro consegna nei tempi stabiliti. I vecchi KPI non rispondono più alle metriche attuali».
In questo scenario di incertezza – «le soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, tramite le “control tower” avvertono quando si analizza un contesto fuori controllo, ossia sotto un livello predefinito di accettabilità. In questo modo, il supply manager ha la possibilità di aprire delle stanze virtuali attraverso le quali l’azienda convoca i responsabili per decidere come agire».
La catena del valore
Ma ci sono anche altri cambiamenti in atto, in cui Intesa può dare il suo contributo di valore. Basti pensare a come alcuni settori siano stati catapultati nello scenario dell’e-commerce, che magari avevano approcciato solo come canale alternativo di vendita. «Durante il lockdown ci siamo ritrovati a fare la spesa online» – continua Traverso. «Un trend destinato a crescere in futuro, non solo perché stanno cambiando le abitudini di consumo, ma soprattutto perché è cambiato l’approccio della GDO nei confronti della propria catena di fornitura, di approvvigionamento e di distribuzione al cliente. Prima i grandi gruppi si affidavano ai magazzini centrali dai quali la merce partiva per raggiungere i negozi sul territorio. Oggi, gli stessi magazzini riforniscono direttamente il cliente finale, saltando un passaggio. Si introducono quindi altri attori, vettori anche piccoli, che sostituiscono o almeno affiancano i grandi trasportatori».
Intesa ha lavorato nei mesi per finalizzare quei servizi, già in via di lancio ma accelerati dalla pandemia, che semplificano la gestione delle attività con i fornitori “da ultimo miglio”. «Questo vuol dire avere in tempo reale la visione di contratti, costi e tempistiche relativi al singolo fornitore, con l’opportunità di riconciliare anche le fatture inerenti ogni viaggio. Lo spostamento dallo scaffale all’e-commerce è un’amplificazione dell’effetto lockdown, che rimarrà nel tempo».
Ottimizzare e velocizzare i trasporti ma senza dimenticare il concetto di affidabilità, da cui la supply chain dipende. In tal senso, Intesa ha nel suo portafoglio gli “smart product”, sensori IoT che controllano la qualità di un bene, dalla sua nascita alla trasformazione, conservazione e distribuzione finale. «L’esempio più calzante è quello del chicco di caffè: coltivazione, lavorazione, sintesi e confezionamento sono processi non più sconosciuti ma resi trasparenti da informazioni digitali che poi finiscono in codice che qualsiasi consumatore può utilizzare per sapere da dove arriva un prodotto e quale è stato il suo “viaggio”. Il lato tecnologico viene arricchito dall’utilizzo della blockchain, come garanzia di trasparenza e tracciabilità».
Evoluzione del digital trust
L’esperienza ventennale di Intesa è ben conosciuta anche nel settore della firma elettronica e digitale. A raccontarcela è Franco Tafini, head of CA & DTM Solutions di Intesa. «Come azienda abbiamo assistito alle varie fasi nell’affermazione della tecnologia in Italia. Da modalità tradizionali di autenticazione a quelle più ibride e, finalmente, a quelle del tutto digitali. Molti sono i settori pienamente coinvolti nei processi di informatizzazione dei dati: finance, automotive, utility. Lo scenario è in evoluzione, come dimostrano i passi fatti nella direzione dell’autenticazione biometrica, che si affianca alla firma elettronica proprio per offrire soluzioni integrate di trust e sicurezza. Ma il punto fondamentale resta la compliance normativa».
Le nuove tecnologie
In un panorama sempre più virtuale, l’approccio e la soddisfazione del consumatore si giocano su livelli “liquidi”, meno marcati di un tempo. «La banca che non ha più una filiale fisica – spiega Tafini – necessita di una nuova prossimità, di un nuovo modo di raggiungere le persone e servirle. Parliamo allora di “Digital customer onboarding and experience” come della possibilità di consentire agli utenti di gestire la relazione con il proprio istituto senza doversi più recare in banca e in assoluta sicurezza. Sfruttando tecnologie video, si consolida una sorta di modalità self-service, con cui i funzionari di una società possono raccogliere informazioni e validarle in tempo reale. Esistono due percorsi per la video identificazione, con il rispetto da un punto di vista normativo sia dei regolamenti europei (eIDAS) che delle direttive di Banca d’Italia: la prima è una vera e propria “video chat”, che consiste in una chiamata effettuata all’operatore della banca. La seconda procedura si chiama “video selfie”, che segue una video identificazione tramite istruzioni che vengono comunicate da un’app. E tutte garantiscono una conformità alle norme prima inimmaginabile. Tutto è tracciato, analizzato e verificato, con un tasso minimo, quasi azzerato, di errore» – continua Tafini. «Permettere di firmare un documento e validarlo all’interno di un tempo certo, consolida i processi e ne semplifica il controllo a posteriori».
Altro punto è l’automazione delle attività: «Sgravare il funzionario da operazioni ripetitive, legate solo a passaggi burocratici, è un vero beneficio. Così come lo è il permettere non solo la firma di documenti tra due soggetti – operatore e cliente – ma anche tra più individui – il venditore, il cliente, il rappresentante legale di una società. In passato, questi flussi, che si concludevano con qualche firma, richiedevano una serie di step preliminari sicuramente time-consuming. Con il digitale, accorciamo le tempistiche e realizziamo un’interazione maggiore tra i diretti interessati, per ottenere un’attività dinamica e partecipata».
Il futuro è la convergenza
Nell’ottica di Intesa, è determinante considerare le varie opportunità di firma, riconoscimento e validazione, come tasselli di un quadro unico, la cui comprensione “olistica” restituisce un fattore differenziante sul mercato e risponde – come spiega Tafini – a quella continuità di servizio che i clienti si aspettano. «Le persone accedono alle piattaforme, concludono operazioni come e quando vogliono. Solo le aziende capaci di offrire un ventaglio di scelta ampio ai consumatori saranno in grado di resistere ai cambiamenti del mercato».