Dopo il rinvio dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa, nei prossimi mesi resta decisivo per le aziende avere indicatori di performance affidabili per il mantenimento e l’accesso a nuovo credito. Parola d’ordine per i CFO: liquidità

Governance, change management e rischio crisi. Torna centrale la necessità di un ridisegno complessivo della governance dell’impresa con il CFO sempre più leader del change management e partner del CEO, soprattutto perché a causa della contingenza Covid-19, nei prossimi mesi del 2020 sarà decisivo per le aziende avere indicatori di performance da presentare agli istituti bancari per mantenere a condizioni di vantaggio le linee di credito in essere e agevolare l’accesso a nuova finanza.

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Il CFO sarà chiamato a riunire le truppe (supply chain, logistica, IT, marketing, sales, customer service) per rispondere alle esigenze delle imprese. In condizioni normali, i CFO si dividono in due grandi categorie: quelli conservativi e quelli più operativi – o per meglio dire – quelli che giocano in difensa, nel senso del controllo dei conti, delle normative, del mantenimento del buono stato di salute finanziaria, e quelli che giocano in un ruolo di attacco, cioè orientato alla crescita e che al fianco del CEO lavorano al miglioramento delle performance e degli investimenti per l’incremento del business.

Le attuali condizioni rappresentano un nuovo banco di prova per il CFO in un orizzonte difficile da prevedere. Due le priorità dei CFO in questo momento. La prima è quella di conoscere le cifre e assicurare la liquidità necessaria, e l’utilizzo degli strumenti software di gestione e analisi saranno fondamentali. La seconda priorità sarà quella di consigliare il CEO, fornendo un quadro il più possibile in tempo reale sull’effettivo stato di salute dell’azienda, implementando la capacità di forecasting per proteggere l’organizzazione dalla possibile inadempienza di clienti e fornitori.

EVOLUZIONE IN CORSO

Le evoluzioni tecnologiche in atto da tempo stanno causando veloci e importanti trasformazioni nei modelli organizzativi e nei processi operativi delle aziende, arrivando perfino a modificare il modo di fare impresa. La rivoluzione digitale sta trasformando il ruolo del direttore finanziario, o chief financial officer (CFO), più ancora di altre figure manageriali presenti in azienda. D’altronde, per la natura della sua attività, il CFO è da sempre depositario dei dati aziendali, e gestore dei principali sistemi informativi, direttamente o assieme al responsabile IT nelle realtà dove è presente: questo lo ha portato a essere una figura di riferimento fondamentale nella trasformazione digitale in corso in questi anni.

Il CFO fino a qualche anno fa era chiamato “l’uomo dei bilanci”. Ancora adesso, il suo ruolo principale è quello di responsabile amministrativo-finanziario, per il quale sono necessarie ottime competenze tecniche e capacità di gestione delle persone del reparto amministrativo, così come i suoi compiti principali restano il controllo amministrativo e contabile, la supervisione della stabilità finanziaria della società, la redazione del bilancio, il monitoraggio delle performance aziendali: con il suo team prepara report periodici (conto economico, situazione finanziaria, budget), in modo da informare sull’andamento aziendale la direzione aziendale, il CDA, gli azionisti e gli enti regolatori. Grazie alle proprie competenze e alla conoscenza del business aziendale, il CFO è sempre più protagonista del change management: deve saper digitalizzare il proprio reparto, promuovere un miglior utilizzo degli ERP aziendali, che comprendono solitamente funzionalità integrate di business intelligence; deve essere in grado di indirizzare le scelte aziendali, gli investimenti verso le corrette tecnologie digitali, il cloud, gli analytics e l’intelligenza artificiale; e deve diffonderne l’utilizzo in tutte le business unit, per condividere la conoscenza all’interno dell’organizzazione e creare valore.

Grazie agli analytics, viene infatti migliorato il processo decisionale e si ricavano importanti indicazioni e migliori decisioni strategiche, così che per i CFO la nuova tecnologia non serve solo a semplificare il lavoro, ma diventa lo strumento per cogliere nuove opportunità di business su cui puntare, e compiere le migliori scelte di investimento dove impiegare con maggiori probabilità di successo il capitale e le risorse dell’azienda. L’attività del direttore finanziario risulta anche fondamentale per l’allineamento degli obiettivi aziendali, e per guidare l’azienda verso nuovi modelli operativi: per far questo, deve avere ottime capacità di comunicazione interpersonale per spiegare le decisioni prese; avere la fiducia delle altre figure aziendali; avere capacità di lavoro in team ed esercitare una leadership nel processo di evoluzione aziendale.

Il CFO moderno deve anche avere mentalità aperta al cambiamento e alle innovazioni, capacità di adattamento alle nuove tecnologie, visione su tutte le attività aziendali, competenze di strategia aziendale, di gestione del rischio, di pianificazione, di gestione e sfruttamento dei dati. Già nella ricerca del 2017 “The future of CFOs in the Enterprise 4.0 era”, realizzata da Business International in collaborazione con Accenture ed Expense Reduction Analysts, 95 CFO italiani di differenti settori merceologici avevano identificato come competenze importanti la conoscenza approfondita del business (54%), la proattività nelle decisioni (51%), il change management (47%), le competenze digitali (38%), le competenze comunicativo-relazionali (36%) e le capacità analitiche (21%). Secondo gli intervistati, i CFO devono essere supporto all’innovazione e all’implementazione di nuovi modelli di business (73%), interlocutori degli stakeholders esterni (62%), acceleratori di una strategia agile (61%), sostenitori di una crescita duratura e sostenibile (58%). Il CFO è una delle figure che più si sono evolute dal punto di vista digitale negli ultimi anni, proprio perché non può più limitarsi ad attività di tipo tecnico-amministrativo, ma deve contribuire direttamente alle strategie aziendali, in qualità di consulente primario dei manager apicali nelle decisioni di business.

«In questo contesto – spiega Giorgio Mini, vicepresidente di Zucchetti – il CFO ha la necessità di avvalersi non solo di strumenti di business intelligence capaci di analizzare la situazione finanziaria della propria azienda, ma anche di ricorrere a funzionalità avanzate di analytics per effettuare analisi predittive che consentano di pianificare nel modo più opportuno costi e investimenti». Anche nell’ambito del controllo di gestione, ormai, è indispensabile utilizzare sistemi digitali evoluti basati sugli analytics, capaci di acquisire dati da diverse fonti e integrarli in informazioni sugli andamenti economici e finanziari utili a prendere decisioni rapide sulla base di un quadro completo e aggiornato.

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La pressione dei regolatori verso un maggiore orientamento verso il forward thinking si traduce da parte dei CFO in un impiego sempre più importante di piattaforme analitiche che vanno oltre i consueti strumenti di amministrazione e controllo, attraverso dashboard che hanno l’ambizione di evidenziare in tempo reale i rischi diretti e indiretti che l’organizzazione va assumendosi nell’ambito talvolta assai variegato delle attività aziendali. «Però, la mitigazione proattiva del rischio – fa notare Giancarlo Vercellino, associate director Research & Consulting di IDC Italy – ancora prima della disciplina scientifica, richiede una sensibilità imprenditoriale che molto spesso è difficile apprezzare nei CFO, ma proviene più tipicamente dai CEO e dai COO». La questione è cruciale. «Se un giorno – continua Vercellino – i CEO disponessero di strumenti sempre più avanzati, intelligenti e automatici per la gestione dei dati aziendali, per la chiusura dei bilanci e l’amministrazione dei fabbisogni finanziari, avrebbero ancora bisogno dei CFO? Il ruolo dei CFO è chiaramente destinato a cambiare nei prossimi anni e dovrà necessariamente trovare un nuovo posizionamento più funzionale rispetto a chi in azienda gestisce direttamente i dati oppure il core business».

CONTROLLO IN TEMPO REALE

La gestione amministrativa e finanziaria quindi non viene più portata avanti lavorando su numerosi file Excel, ma operando su sistemi di BI che assicurano una fonte unica di dati con un’elevata qualità, quindi “dati certi”, e che permettono diverse analisi, da più utenti, in ogni luogo, in ogni momento e da diversi dispositivi. «Molti CFO – spiega Mirko Menecali, Partner & Alliance manager di Sinfo One – basano ancora le loro analisi su Excel, ma ci sono sempre più stimoli, anche normativi, che spingono verso l’adozione di analytics. Per esempio, il nuovo Codice della crisi d’impresa, che doveva entrare in vigore dall’agosto di quest’anno (e poi rimandato prima al 15 febbraio e poi al primo settembre 2021) aveva l’obiettivo di riformare la disciplina fallimentare introducendo un sistema integrato di procedure di allerta. L’adeguamento, se affrontato in maniera corretta e non solo come formalità, può rappresentare un’opportunità di crescita e sviluppo dei sistemi di controllo del business». In questa ottica, nonostante il rinvio al 2021 dell’entrata in vigore del nuovo Codice, che potrebbe essere un’opportunità per migliorare la normativa anche alla luce delle conseguenze economiche del Covid-19, lo stimolo normativo – continua Menecali – «può essere un ulteriore incentivo verso un processo di evoluzione degli strumenti di supporto decisionale e È importante che il sistema di business intelligence aziendale sia correttamente progettato in modo da essere in grado di supportare sia un reporting strutturato imposto da elementi normativi, che processi decisionali non facilmente imbrigliabili in strutture predeterminate, ma che richiedono dati oggettivi. Tutti i più recenti studi sulle funzioni importanti di un sistema di BI individuano come requisiti primari tanto la data quality e data governance quanto il data discovery».

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Grazie alle analisi sui database aziendali e sui Big Data, il CFO è in grado di fornire insights sempre più rilevanti su tutte le attività che generano valore per l’azienda. L’ampliamento delle sue competenze dipende non soltanto dalla sua capacità di analizzare set di dati sempre più complessi, ma soprattutto dalla sua abilità nel tradurre le informazioni in indicazioni strategicamente rilevanti, anche in ambiti che non sono di sua competenza diretta. Tra le conseguenze della rivoluzione digitale, quindi, vi è anche l’allargamento delle aree di competenza e di responsabilità del direttore finanziario che, dovendosi occupare degli aspetti finanziari dell’azienda, deve avere una visione a largo raggio su tutto quello che accade all’interno, costruendo anche delle connessioni tra i vari dipartimenti.

L’interesse dei CFO in merito ai predictive analytics e al ruolo che l’intelligenza artificiale può giocare nell’ambito delle loro responsabilità – secondo Vercellino di IDC – si declina essenzialmente in tre punti principali: «Analisi strategica dei rischi, prevenzione delle frodi e reportistica in tempo reale. Almeno questo è quanto abbiamo osservato parlando con quasi duecento dirigenti finanziari, provenienti tanto da settori industriali che finanziari. Come è ben noto, l’impatto dell’AI sulle professioni legate all’amministrazione, alla finanza e al controllo potrebbe essere dirompente. E sono pochissimi i responsabili finanziari che decidono ostinatamente di rifuggire soluzioni analitiche avanzate (circa il 5%), a riprova del fatto che i CFO si sono ormai resi conto che con queste soluzioni dovranno necessariamente trovare un equilibrio per preservare il proprio ruolo e la propria professionalità. Oggi, l’AI e i predictive analytics consentono di prevedere le date di pagamento delle fatture ancora aperte; consentono di verificare automaticamente la compliance della gestione finanziaria e dei pagamenti riducendo al massimo le risorse necessarie per gli audit; consentono di anticipare i risultati della gestione trimestrale, semestrale ed annuale; e consentono di individuare inefficienze nei processi e nella gestione che hanno un impatto sulla bottom line dell’impresa».

IL NUOVO CODICE (RIMANDATO)

Menecali di Sinfo One ha citato il nuovo “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (legge 155/2017, e successivo Decreto Legislativo. 14/2019), che ha riformato la disciplina fallimentare introducendo delle procedure di allerta e il calcolo degli indicatori di crisi. Si tratta – almeno nelle intenzioni – di una delle più importanti novità normative degli ultimi tempi, oggetto di attenzione da parte dei CFO sia per le nuove attività che queste comportano sia per le eventuali modifiche che devono essere apportate ai software gestionali.

Il nuovo codice – che riformava l’intera materia del fallimento e le procedure per prevenire o risolvere le situazioni di crisi in tutte le imprese (escluse solo banche, intermediari finanziari e grandi imprese) e che poi è stato rimandato – stabiliva in capo all’imprenditore l’obbligo di istituire in azienda un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, con l’obbligo conseguente di dotarsi di strumenti, definiti di allerta interna, idonei a rilevare tempestivamente lo stato di crisi, e di assumere le iniziative necessarie a farvi fronte.

L’obiettivo della riforma era quello di facilitare il risanamento delle aziende in difficoltà e anticipare l’emersione della crisi. Il blocco imposto dal lockdown – oltre al rinvio – avrà l’effetto di produrre nuove integrazioni e correzioni all’attuale riforma, anche alla luce delle nuove regole emanate in ambito europeo, contribuendo – come si auspica da più parti – a un ridisegno complessivo della disciplina della governance dell’impresa. Gli strumenti di allerta interna – che il Codice aveva predisposto prima del blocco – prevedevano di monitorare in modo sistematico i principali indicatori dell’azienda: la situazione patrimoniale, economica, finanziaria, strategica e organizzativa, rilevando le principali criticità in modo da consentire agli organi di governo dell’impresa di poter intraprendere le più opportune azioni di miglioramento e di rafforzamento. Il codice prevedeva anche strumenti di allerta esterna: gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, e con l’obbligo – da parte dell’organo amministrativo – di verificare costantemente la situazione aziendale, mettendo in atto tutte le procedure necessarie. Inoltre, il codice imponeva di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa e l’equilibrio economico finanziario, prevedendo l’andamento della gestione e segnalando in modo tempestivo l’esistenza di fondati indizi di crisi, con infine l’obbligo – al superamento di determinate soglie di esposizione – di segnalazione agli organi creditori pubblici qualificati.

Gli indicatori di crisi – individuati dalla disciplina del codice – e da sottoporre a monitoraggio continuo erano gli squilibri reddituali, patrimoniali e finanziari. Questi indicatori – rilevabili attraverso appositi indici in grado di mostrare la sostenibilità dei debiti aziendali nel breve periodo, cioè almeno nei sei mesi successivi al momento della misurazione – avrebbero in questo modo consentito di misurare e valutare le prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso.

STRUMENTI PER GESTIRE LA CRISI

Come si vede, la problematica da gestire è complessa, sia dal punto di vista organizzativo che dal punto di vista delle funzionalità da implementare. Soprattutto, alla luce del blocco dell’entrata in vigore del nuovo codice sulla disciplina della crisi d’impresa e dell’onda lunga dell’impatto economico che l’emergenza Covid-19 avrà sulle imprese. In tutti i casi, risulta evidente – e tanto più in un periodo di crisi conclamata – come l’utilizzo di piattaforme software sia indispensabile per poter monitorare la situazione aziendale in tempo reale, gestire in modo automatico i processi aziendali legati agli strumenti di allerta e consentire la valutazione degli indicatori della crisi, in quest’ultimo caso tramite funzioni di estrazione automatica dei dati contabili necessari al calcolo. Il monitoraggio costante – secondo quanto previsto dal codice prima del blocco – doveva essere abilitato dall’integrazione di soluzioni software integrate con gli ERP aziendali, da sempre repository di ogni puntuale registrazione. Un obiettivo che nella realtà sarebbe risultato molto complicato se non impossibile da ottenere, senza un sistema gestionale ad hoc.

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Non è facile, infatti, misurare manualmente il rapporto tra i flussi di cassa che l’azienda ritiene di poter generare e le uscite relative a impegni finanziari già assunti. Inoltre, serve un sistema dedicato per la necessaria strutturazione di un processo di reporting e di monitoraggio improntati in ottica di forward looking, cioè con una visione in prospettiva.

Secondo Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia, i software per la gestione della crisi d’impresa sono sempre più in via di adozione e diffusione, soprattutto in considerazione degli sviluppi attuali. Gli applicativi di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia si rivolgono in modo differenziato ai commercialisti e alle PMI. «Per moltissime imprese – spiega Angeleri – il commercialista è il CFO in outsourcing dell’azienda». Di conseguenza – «lo strumento digitale deve essere aderente alle sue necessità». Con questo spirito, l’azienda ha sviluppato Genya Crisi d’Impresa, la soluzione che consente, partendo da una situazione contabile ottenuta da un qualsiasi applicativo, di ottenere automaticamente il calcolo degli indici di allerta, una ricca serie di indici di bilancio e la gestione del rating bancario, grazie all’analisi del documento della Centrale dei Rischi e Medio Credito Centrale. Il tutto rappresentabile in un report o fornendo al proprio cliente l’accesso diretto alla soluzione.

«Genya Crisi d’Impresa – spiega Angeleri – rende più efficiente la valutazione della crisi, consentendo di fornire ai clienti dello studio del commercialista un servizio di consulenza preziosissimo, proprio in un momento come questo di una prima uscita dalla crisi causata dalla pandemia». Per le PMI che si avvalgono di strutture interne, Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia ha sviluppato Arca Crisi d’Impresa, un modulo del consolidato ERP Arca EVOLUTION. «Vogliamo offrire all’intero mercato soluzioni appropriate e rispondenti alle specifiche esigenze» – afferma Angeleri. Durante i mesi difficili dell’isolamento e del lockdown, questi strumenti sono diventati ancora più di attualità, nonostante la proroga all’anno prossimo. E lo saranno ancora di più, durante tutta la fase di ripresa economica che accompagnerà il 2020, con tutto il dibattito che scaturirà sulla necessità di un ulteriore adeguamento e miglioramento del codice della crisi.

«Sul fronte delle nuove disposizioni sulla crisi d’impresa – spiega Giorgio Mini di Zucchetti – abbiamo notato una mancata reattività da parte delle imprese, una forma di attesa come se si auspicasse un rinvio, che poi è arrivato a causa dell’emergenza sanitaria legata al coronavirus, con il rinvio dell’entrata in vigore delle misure di allerta. Nonostante il sospiro di sollievo tirato da alcuni, si sottovaluta però – fa notare Mini – «il fatto che nei prossimi mesi del 2020 sarà decisivo per le aziende avere indicatori di performance da presentare agli istituti bancari per mantenere a condizioni di vantaggio le linee di credito in essere e agevolare l’accesso a nuova finanza. In questa ottica, Zucchetti ha realizzato Digital CFO, un software in tecnologia web che con l’inserimento di poche informazioni restituisce in automatico l’analisi finanziaria dell’impresa, segnalando in tempo reale eventuali anomalie».