Nessuno avrebbe mai immaginato la crisi che la pandemia di Covid-19 sta producendo a livello globale. E al momento, nessuno è in grado di prevedere quando finirà né quali saranno le trasformazioni economiche e sociali che produrrà. Oltre a tutti gli elementi negativi collegati alla prima fase acuta occorre – però – immaginare il dopo e considerare gli effetti positivi.
Tra questi: il miglioramento dell’ambiente, il calo dei reati ordinari, la riscoperta del “tempo” e delle piccole cose e, infine, l’impiego diffuso delle tecnologie e dei servizi digitali. Improvvisamente, siamo forzati a collaborare da remoto e a sfruttare tutte quelle opportunità che ci sono state offerte da tempo dalla tecnologia informatica. Il Coronavirus ci costringe a un corso rapido di alfabetizzazione di massa sull’ICT. Quello che sta avvenendo in questi giorni è la più grande esercitazione di massa su smart working, e-commerce, e-learning, e-banking, e-payments, con qualche timida puntata anche nella Digital Agenda della PA.
Per quanto riguarda lo smart working, è significativa la definizione che ne ha dato l’Osservatorio del Politecnico di Milano come “nuova filosofia manageriale fondata nella restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una responsabilizzazione sui risultati”. Anche se con qualche resistenza, tutti si stanno adeguando, comprese le scuole e le imprese più restie al cambiamento. Insomma, stiamo facendo un “salto quantico” nell’infosfera o, se si preferisce, nel cyberspace. In breve tempo stiamo realizzando un passaggio culturale e tecnologico che forse avrebbe richiesto 10 anni. Il filosofo Luciano Floridi, professore di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, in questi ultimi tempi, ci ha ben preparati alla nuova dimensione dell’onlife come piena integrazione armonica tra il “reale” e il “virtuale”.
Il cambiamento ha complessità inedite per la società globalizzata di oggi che dovranno essere affrontate con cura e attenzione. Una di queste è la cyber security dei sistemi e delle applicazioni. Di fronte all’aumento dei servizi digitali, come si può essere sicuri che vengano implementati correttamente e in sicurezza? Per non parlare della carenza di risorse qualificate e delle lacune in termini di conoscenze. Occorre anche potenziare le infrastrutture di base – reti e servizi cloud in primis – e disporre di autostrade digitali. Questo bisogno è rimasto inevaso da tempo e ora ne potremmo pagare le conseguenze. Il Paese, infatti, è ancora diviso in zone a connessione veloce e “aree bianche”, dette anche “a fallimento di mercato”, in cui non è possibile effettuare una videochiamata. L’Italia ha subito bisogno di connessioni veloci e diffuse, non solo a parole, e la classifica DESI (Digital European Services Index) parla chiaro in materia.
Occorre varare da subito una profonda semplificazione e sburocratizzazione, generando efficienza e produttività, abbandonando il doppio regime dell’emergenza rispetto all’ordinarietà, in cui da decenni lo Stato è costretto ad aggirare se stesso con procedure in deroga e d’urgenza. È drammatico che ci voglia una pandemia per accelerare la digital transformation, ma dobbiamo assolutamente sfruttare questa crisi per avere maggiore produttività e migliore qualità della vita. Le organizzazioni che sapranno raccogliere e affrontare la sfida ne usciranno rafforzate e pronte a espandersi nel nuovo scenario economico.
Per dirla con Albert Einstein: «La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È dalla crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato». Oppure, se preferite, come disse Winston Churchill: «Never waste a crisis» – non sprecare mai una crisi.