Come raddoppiare la produttività dei knowledge worker delle aziende data-driven, dimezzare il tempo per rispondere ai clienti, incrementare del 25 per cento il successo del lancio di nuovi prodotti e servizi
L’intelligence aziendale è molto di più della capacità di un’azienda di prendere decisioni che siano data-driven, della capacità di analisi di grandi volumi di dati (big data), della capacità di implementare soluzioni di automazione basate sull’intelligenza artificiale e sul machine learning per generare risultati di business. È molto di più anche dell’avere a disposizione più dati dei propri concorrenti. L’intelligence di un’azienda è soprattutto l’abilità di imparare in modo continuativo ed esponenziale (“at scale”), di valutare e di spiegare i risultati come derivanti da quell’apprendimento e, in definitiva, di adattarsi alle evoluzioni del mercato grazie all’apprendimento in modo più veloce e dinamico dei concorrenti. Nella visione di IDC, con “Future of Intelligence” si fa riferimento alla capacità di un’organizzazione di apprendere e contemporaneamente sintetizzare le informazioni di cui necessita per applicare gli insights che ne derivano su larga scala, ottenendo così un vantaggio competitivo che la guidi alla realizzazione degli obiettivi aziendali.
COME SUPERARE LA VISIONE A SILOS
Questi tre atteggiamenti – sintetizzare le informazioni, imparare, creare insight su larga scala – non sono delle novità nelle attività di un’impresa. Tuttavia, riuscire ad applicare queste tre capacità come un’unica abilità a livello aziendale rimane un obiettivo difficile da raggiungere per la maggior parte delle realtà. Sono molte le sfide che le aziende devono affrontare per raggiungere questo obiettivo. L’esistenza di silos è certamente quella più ricorrente e la più difficile da superare. In ambienti separati infatti risulta difficile – se non impossibile – raccogliere e analizzare dati e informazioni e le loro interazioni alla base dell’apprendimento. Soprattutto, risulta ancora più complicato applicare la conoscenza appresa.
La maggior parte dei CIO che vengono intervistati sull’argomento ammette per esempio l’impossibilità di vedere modelli ricorrenti a causa della scarsa raccolta, conservazione e condivisione delle conoscenze aziendali. Ciò comporta – per esempio – una snervante lentezza nel trasformare i dati in informazioni e poi in conoscenza, e una ricaduta negativa sulle decisioni strategiche risultando scadenti e poco tempestive. Non solo. Un approccio a silos comporta anche una scarsa visibilità nei processi end-to-end che limita notevolmente la capacità dei decision maker e degli stakeholder di migliorare i processi interni, identificare opportunità di mercato o applicare soluzioni di automazione, intelligenza artificiale e machine learning. A queste però si aggiungono altre sfide di tipo culturale, forse più difficili da superare. Tre in particolare sono quelle più comuni. La prima è un’irrazionale avversione verso le evidenze dei dati, che vengono ignorate per dare invece credito a sensazioni più viscerali facendo emergere in modo preponderante la presenza di pregiudizi all’interno dei processi decisionali. Questo spinge a muoversi entro parametri che sono delimitati da convinzioni acquisite in precedenza e sottolinea una scarsa predisposizione all’apprendimento continuo. La seconda è una carente alfabetizzazione sui processi di gestione dei dati e una conseguente incapacità di utilizzare un linguaggio comune sulla loro gestione. La conseguenza è l’impossibilità di utilizzare i dati correttamente in quanto influenzati da processi di disinformazione o di inquinamento delle informazioni (volontario o meno).
La terza è la mancanza di una data intelligence efficace ed efficiente con conseguente sfiducia nei dati, nelle informazioni e nei relativi insights. A cascata poi tale sfiducia ha un impatto altrettanto negativo anche sui modelli di intelligenza artificiale che dipendono da questi dati e informazioni. Le imprese in grado di superare queste sfide saranno in grado di eliminare i silos, imparando come un’unica entità e su vasta scala. In tali imprese, i dati generati da prodotti, servizi, esperienze ed ecosistemi informeranno e guideranno l’automazione intelligente dei processi anziché essere semplicemente un ingrediente per i report offline.
IMPRESE VERAMENTE DATA-DRIVEN
Quando le imprese avranno sviluppato questa capacità di apprendere, saranno anche in grado di trasformarsi realmente in aziende con processi decisionali data-driven. In questo contesto, la capacità di correlare gli algoritmi di analisi dei dati con gli obiettivi di business sarà il risultato della collaborazione tra team differenti all’interno dei quali troveranno spazio data scientist, data architects e i responsabili delle varie linee di business. In questo modo, le aziende potranno fornire strumenti completi a supporto del miglioramento dei processi IT e di business, della gestione delle risorse, del miglioramento di prodotti e servizi, liberando il valore intrinseco dei dati, sfruttando l’intelligence, utilizzano modelli di digital twin, traendo insights dalle attività di social marketing e comprendendo al meglio i feedback dei propri clienti. La creazione di un’intelligence aziendale, vero obiettivo di questo percorso evolutivo, sarà possibile solo grazie all’utilizzo congiunto e integrato di soluzioni di business intelligence, di data intelligence e delle altre tecnologie implementate all’interno dell’intera azienda. Le realtà che saranno in grado di entrare all’interno di questa economia dell’intelligence potranno disporre di un vantaggio competitivo notevole rispetto ai concorrenti.
Ai giorni nostri il problema più stringente che le imprese si trovano ad affrontare non è legato alla quantità di informazioni da analizzare e su cui basare la costruzione di un’impresa data-driven. Quello che è veramente necessario è la capacità di creare sistemi in grado di filtrare questa mole di dati e informazioni – destinata a crescere in modo ancor più esponenziale nel prossimo futuro- al fine di eliminare ciò che per gli obiettivi aziendali risulta essere non importante, se non irrilevante, e utilizzare invece solo quelle informazioni effettivamente utili e contestualizzabili. Per garantire che il futuro dell’intelligence aziendale porti un reale valore alle imprese, agli individui e alla società nel suo complesso, i C-Level aziendali tecnologici e di business dovranno tenere in considerazione una serie di aspetti. In primis, comprendere che è necessario concentrarsi sulla fornitura di informazioni attendibili e attuabili in un determinato contesto, sintetizzando le informazioni in modo accurato e tralasciando quelle che nel contesto risultano poco utili. Decision maker e stakeholder devono comprendere che imparare non significa solo partecipazione a corsi di formazione formali, ma implica osservazione, riflessione, apprendimento, accesso e condivisione delle informazioni e delle conoscenze. Altro aspetto fondamentale di questo approccio è la consapevolezza che la fornitura di insights su vasta scala è molto più dell’adozione di tecnologie come il cloud che lo possono abilitare. È fondamentale poi comprendere che queste tre capacità, sintetizzare le informazioni, apprendere e fornire insights at scale, non sono indipendenti tra di loro. L’azienda dovrà investire in tutte e tre contemporaneamente e in modo interconnesso.
Il successo degli investimenti in quest’area è poi strettamente dipendente dalla continua e costante misurazione del valore che sarà abilitato da una maggiore intelligence aziendale. Ovvero è fondamentale misurare quanto sia il miglioramento derivante dalla creazione di una intelligence companywide. È necessario costruire e incoraggiare una cultura aziendale basata sulle evidenze, assumendo figure con competenze adeguate all’inevitabile aumento dell’automazione nella gestione dei dati. Figure in grado di formulare giudizi, comprendere il significato di una previsione e affrontare i rari casi in cui i dati per l’AI/ML non siano sufficienti. Infine, è necessario abbracciare la consapevolezza che il futuro dell’intelligence dipenderà dagli investimenti in persone, processi e tecnologie per le pratiche di governance, di conformità normativa, di sicurezza e di gestione del rischio.
Sergio Patano associate research director di IDC Italia