Smart working, un vantaggio ma attenzione a qualità delle performance e tutela dei dati

Smart working, un vantaggio ma attenzione a qualità delle performance e tutela dei dati

Esploso nel dibattito collettivo a causa del propagarsi del Coronavirus, il lavoro agile, o smart working, presenta numerosi vantaggi. Ma ci sono anche cautele da seguire

Lo smart working, o lavoro agile, è termine ben noto e con l’esplosione del Coronavirus esso è però prepotentemente entrato nel dibattito collettivo, quasi al pari delle scorte di mascherina o amuchina andate esaurite.

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Per semplificare un aspetto che presenta, lati anche complessi se rapportati alla qualità del lavoro, bisogna inevitabilmente passare dalla direttiva ufficiale emanata dal ministero dal Dipartimento della Funzione Pubblica, a firma della Ministra Fabiana Dadone.

La direttiva spinge sul lavoro agile in favore del personale complessivamente inteso e sul lavoro flessibile con un occhio di riguardo per i dipendenti delle PA affetti da patologie pregresse, che usano i trasporti pubblici o che hanno carichi familiari ulteriori connessi alle eventuali chiusure di asili e scuole dell’infanzia. La direttiva introduce, per questo momento di emergenza, una preferenza per riunioni, convegni e momenti formativi svolti con modalità telematiche che possono sostituire anche gran parte delle missioni nazionali e internazionali, escluse quelle strettamente indispensabili.

E se lo smart working – come da decreto legge approvato nelle scorse ore – diventa  applicabile “in via automatica” fino al 15 marzo nelle regioni interessate dai contagi, per il resto d’Italia il faro-guida è rappresentato dai suggerimenti proposti dalla direttiva-Dadone.

I numeri dello smart working in Italia

Secondo i dati più recenti di Eurostat, i lavoratori dipendenti italiani potenzialmente occupabili nello smart working (manager e quadri, professionisti, tecnici e impiegati d’ufficio) sono 8 milioni 359 mila. Se a un terzo di questi fosse concessa la possibilità di lavorare saltuariamente o stabilmente in modalità “agile”, si raggiungerebbero i 2 milioni 758mila. Questa modalità di lavoro è largamente diffusa in Europa, ma ancora molto poco in Italia. Sempre secondo tali dati nel 2018 l’11,6% dei lavoratori europei alle dipendenze d’imprese o organizzazioni pubbliche praticava smart working, lavorando da casa saltuariamente (8,7%) o stabilmente (2,9%), grazie alle opportunità messe a disposizione dalle nuove tecnologie.

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In Italia la percentuale si ferma al 2% (solo 354 mila lavoratori dipendenti), risultando non solo la più bassa d’Europa (poco sopra Cipro e Montenegro), ma anche la più distante da Paesi come Regno Unito (20,2%), Francia (16,6%) o Germania (8,6%). Per non parlare di quelli del Nord Europa, dove la quota di lavoratori che possono lavorare da casa anche con flessibilità oraria sale al 31% in Svezia e Olanda, 27% circa in Islanda e Lussemburgo, 25% in Danimarca e Finlandia.

I vantaggi

Senza concentrarsi sui possibili ritorni in termini di mera “qualità di vita” per i dipendenti, le analisi che operano un focus su aspetti puramente economici o di performance sono tutte concordi nel considerare lo smart working una soluzione particolarmente vantaggiosa, anche se ancora poco sfruttata, soprattutto nel nostro paese.  Secondo i dati di Variazioni, società di work-life balance e change management, un’organizzazione smart di poco più di 3 giorni al mese, su un’azienda di almeno 100 dipendenti, può far risparmiare all’azienda oltre 200 mila euro all’anno tra buoni pasto, indennità di trasferta e altro. Un guadagno non indifferente per il datore di lavoro, che vede al di là della soddisfazione del proprio lavoratore anche un maggior attaccamento di quest’ultimo verso l’azienda. Più del 95% dei dirigenti, ad esempio, ha dichiarato che la produttività aumenta e che tutti gli obiettivi sono stati raggiunti dai lavoratori smart, mentre l’81% dei lavoratori ha dichiarato che aumenta la concentrazione e il lavoro di team diventa più efficiente

Ma oltre a benefici qualitativi anche il lavoratore ottiene dal lavoro agile un guadagno economico che ammonta a una busta paga l’anno, circa 1.300 euro per gestire la propria presenza sul posto di lavoro, oltre al fatto che eviterebbe tutti i rischi legati al commuting (pendolarismo) casa-lavoro. Il risparmio lo si misura anche in termini chilometrici: circa 62 sono i chilometri al giorno risparmiati da un lavoratore per gli spostamenti, 2.400 chilometri all’anno, oltre ad evitare un impatto ambientale di 270 chili di CO2 nell’aria, equivalente a 18 alberi per ciascun smart worker.

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Gli errori da evitare

Quando si sceglie una soluzione di smart working ci sono 3 errori comuni, secondo gli esperti di It e Ict, che rischiano di inficiare benefici ed efficacia del sistema.

  • “Il primo è quello di scegliere una soluzione troppo complessa da installare, mantenere e soprattutto da usare. Soluzioni “pesanti” per gli hardware e con interfacce complicate demotivano il lavoratore in partenza. Il sistema da scegliere deve invece essere “user-friendly”, avere un’interfaccia a prova di utente “analogico”. È fondamentale che la soluzione sia intuitiva e facile da usare”, osserva Steve Osler, CEO di Wildix.
  • “Il secondo errore è quello di utilizzare strumenti non professionali. Poter collaborare bene anche in smart working è fondamentale. E nell’ambito della comunicazione da remoto, per esempio, la scelta di un device audio professionale, certificato per le principali piattaforme di Unified Communication, rappresenta un acceleratore della produttività.  Meno interruzioni e più efficienza per i lavoratori”, dichiara Luca Barbarossa, Regional Product Marketing Manager, Emea South di Jabra.
  • “Un altro errore, infine, è quello di adottare un sistema che non comunica perfettamente con i software gestionali dall’azienda. La corretta integrazione permette di risparmiare fino a due ore al giorno in operazioni quotidiane come inserire contatti, cercarli in rubrica, etc.”, osserva Osler.

L’ultimo punto, in particolare, è quello su cui insistono maggiormente le società specializzate in cyber protection, come Acronis. Al di fuori del network aziendale, i dispositivi sono facilmente soggetti agli attacchi di terze parti e di criminali informatici. Attaccare questi endpoint non tutelati può rivelare ai criminali informatici le credenziali di accesso del dipendente, creando così ai medesimi un varco per accedere al sistema delle società o persino per utilizzare il virus informatico per bloccare i dati aziendali.

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“Smart working significa lavoro flessibile indipendentemente dal luogo in cui ci si trova”. – afferma Steve Osler, CEO di Wildix ed esperto in tecnologie per il lavoro agile – “Da casa o dalla spiaggia, il lavoratore deve essere in grado di chiamare, chattare, condividere documenti e avviare videoconferenze così come fosse in ufficio. Non cambiano le azioni, cambia solo il luogo di lavoro. Ciò a patto di scegliere gli strumenti tecnologici per realizzare tutto questo in totale sicurezza. Lo smart working è considerato anche il più efficace incentivo non economico quando si tratta di attrarre e trattenere talenti. E la soddisfazione dei dipendenti che lavorano da remoto cresce, perché con più flessibilità è più facile gestire lavoro e famiglia”.

“Nel momento in cui il lavoro non é più un luogo verso cui recarsi, ma qualche cosa da fare, risulta di estrema importanza la possibilità di utilizzare strumenti di comunicazione professionali, che rispondano a esigenze moderne e che risolvano gli impedimenti che ci separano dal raggiungimento degli obiettivi di produttività. È essenziale poter contare su tecnologie e prodotti che permettano, allo stesso tempo, di potersi concentrare, isolandosi dai rumori esterni, di poter collaborare e comunicare con colleghi, clienti e fornitori, in modo chiaro e immediato, e, non meno importante, di poter fare tutto ciò in modo semplice e flessibile. Quest’ultimo aspetto prende in profonda considerazione la compatibilità e l’integrazione dei dispositivi di comunicazione all’interno del sistema, che si alimenta sull’interazione di apparecchiature e software di diversa provenienza”, conclude Luca Barbarossa.