Secondo uno studio del MIT, le aziende che basano i processi decisionali sui dati, sono un 5% più produttive e ottengono, in media, un 6% in più di benefici rispetto alla concorrenza
I dati possono influire nella produttività di un’azienda e nella sua redditività? È sempre più dimostrato che sì; e anche di molto.
Secondo lo studio del MIT “How does data-driven decision-making affect firm performance?“, le aziende che basano i propri processi decisionali sui dati, così dette Data-Driven Decision Making, (DDD) sono più produttive e ottengono in media, maggiori benefici rispetto alla concorrenza. Ciò conferma il grande impatto che la Business Intelligence, e i dati in senso ampio, possono avere dentro le aziende al giorno d’oggi.
“Abbiamo esaminato se, le aziende che mettono al centro dei processi decisionali e aziendali i propri dati, fanno registrare migliori prestazioni in termini di performance e benefici. Analizzando al dettaglio i risultati del sondaggio realizzato su un campione di 179 società quotate in borsa in merito alle migliori pratiche commerciali e agli investimenti in Information Technology, abbiamo scoperto che l’adozione di un approccio decisionale Data-Driven fa registrare una produttività superiore del 5% e ha una ricaduta positiva anche nelle performance degli asset aziendali, del rendimento del capitale e del valore di mercato (6%).
Utilizzando metodi variabili strumentali, abbiamo infatti le prove che gli effetti espansivi del DDD sulla produttività, non è dovuta alla causalità inversa: i risultati forniscono i primi dati su larga scala, sulla correlazione diretta tra l’utilizzo dei dati nel processo decisionale e le prestazioni dell’azienda.”
Va sottolineato che anche se l’adozione della Business Intelligence sia in crescita, la maggior parte delle aziende (secondo Gartner un 87%) ha un’implementazione limitata o immatura in termini di BI. Ciò è dovuto in parte al fatto che, nei processi di modernizzazione, si prendono decisioni inadeguate o si ignorano fattori fondamentali relativi ai costi e alla produttività aziendale.
Data questa situazione, dobbiamo chiederci: quali sono gli errori più comuni nell’uso della Business Intelligence? L’azienda leader nella virtualizzazione dei dati Denodo, li ha riassunti in cinque punti:
- Mancanza di una visione strategica e di collaborazione interna: le aziende devono definire chiaramente il valore che i propri dati apportano all’organizzazione, intesa però in senso amplio e non solo a livello di poche LoB. Si deve stabilire roadmap chiaro, con traguardi chiari, e un sistema di KPI per misurarne i progressi. Risulta essere fondamentale anche l’implementazione di soluzioni tecnologiche adeguate, la ricerca di risorse con competenze e skills necessarie in questo ambito e una riflessione sui benefici di uno sviluppo interno rispetto ad un’esternalizzazione. IT e business devono essere allineati.
- Infrastruttura di BI inadeguata e architettura dati con supporti limitati: spesso molte aziende cercano di modernizzare la propria infrastruttura di BI anche se, effettivamente, la configurazione attuale dovrebbe essere dismessa. In molti casi queste architetture dati hanno un supporto molto limitato: non garantiscono la connettività a dati di diverso formato o provenienti da sorgenti eterogenee, non dispongono di un layer semantico comune e non consentono un’analisi in tempo reale delle informazioni. Per questo motivo, si dovrebbe optare su di una soluzione che faciliti l’accesso a tutte le informazioni e che fornisca una visione olistica in tempo reale di tutti i dati aziendali, come quello di un layer semantico virtuale di accesso ai dati.
- Scarse o limitate performance: le prestazioni dei tool di BI, sono strettamente legate alla disponibilità dell’informazione, in qualsiasi momento e sotto qualsiasi formato. Ma non tutte le modernizzazioni possono garantirlo. Oltre all’architettura, la virtualizzazione dei dati consente di migliorare le prestazioni grazie alla riduzione del movimento dei dati e consente di integrare agilmente dati da sorgenti eterogenee con formati differenti.
- Mancanza di agilità nella Data Governance: ciò rende più difficile la collaborazione tra le diverse aree dell’azienda. Una soluzione di virtualizzazione dei dati, nella sua architettura di base, offre funzionalità integrate per centralizzare la governance e la sicurezza dei dati in un unico punto dell’architettura dati, non replicando o archiviando le informazioni dalle sorgenti d’origine.
- Non dimostrare il ROI: il successo di un’iniziativa di aggiornamento dello “stack” di BI dipende dal valore che è capace di generale e dall’impatto che questa modernizzazione ha sul business dell’azienda; quindi le metriche per poter calcolare il ritorno sull’investimento (ROI) sono fondamentali. Per calcolare il ROI di una soluzione di BI, è necessario esaminare il TCO, includendo non solo i costi di sviluppo, implementazione e ridimensionamento, ma anche quelli di modifica dei dati e di formazione dei dipendenti.
Per quanto riguarda la modernizzazione della Business Intelligence, Gabriele Obino, VP South EMEA & Middle East di Denodo, spiega: “Negli ultimi decenni, la Business Intelligence (BI) si è evoluta passando da grandi implementazioni controllate dall’IT a soluzioni più agili che includono funzionalità di Data Discovery e Data Governance. Queste nuove funzionalità, incentivano una democratizzazione dell’accesso ai dati da parte degli utenti aziendali, e in un futuro non troppo lontano, incorporeranno anche i vantaggi dell’intelligenza artificiale. Pertanto, se le organizzazioni si stanno impegnando nello sforzo di modernizzare la propria BI, dovrebbero si guardare le aziende che l’hanno fatto con successo ma, soprattutto, imparare da quelle che hanno fallito e perché”.