Tutti fuzzy

Illustrazione: Sergio Staino

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La trasformazione digitale accelera. Siamo sul confine o in mezzo al guado, immersi nel cambiamento fino al collo. Settant’anni fa, sulle materie prime – carbone e acciaio – si costruivano le basi della Comunità Europea. Oggi, la nuova materia prima sono i dati. Dalla collaborazione delle industrie dell’innovazione dovremmo gettare i ponti per un progetto più coraggioso, quello di un mondo senza confini, basato sullo sviluppo sostenibile, dove la tecnologia è lo strumento per abbattere le differenze e gli squilibri.

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I bilanci non quadrano mai. La logica della tecnica può essere spietata se basata soltanto sulla maggiore produttività al minimo costo. La politica per decidere guarda all’economia e l’economia guarda alle risorse tecnologiche. La complessità e la sicurezza sono le sfide che ci attendono dietro l’angolo.

I dati sono una risorsa preziosa che utilizziamo male o per gli scopi sbagliati. Nella terra di mezzo della trasformazione dove tutto è “facile, veloce e prevedibile” – le “scorciatoie” possono portare su sentieri pericolosi. E nessuno è veramente al riparo. Dal monitoraggio delle merci nei porti e alle dogane, si potrebbero prevedere con sei mesi di anticipo le crisi industriali e bloccare i traffici illeciti dell’economia sommersa. La moneta elettronica potrebbe essere uno strumento di contrasto alle mafie.

Sono nato a trenta chilometri da Taranto, la città dell’acciaio che aspetta una rinascita. L’innovazione tecnologica può essere parte attiva di questo dibattito? Da Nord a Sud, la trasformazione digitale avanza a macchia di leopardo, per vie misteriose e qualche volta a passo di gambero. Per la PA, il cloud è ancora una nuvola a tutti gli effetti. Il Freedom of information act (FOIA), che sancisce la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni come diritto fondamentale, resta un traguardo ancora lontano.

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Quest’anno, il Gruppo FS Italiane celebra il primo decennale dell’alta velocità. In certe zone del Paese, un collegamento ad alta velocità abbatterebbe il digital divide più della banda larga. Infrastrutture e dati sono uno snodo critico per lo sviluppo. Poi serve una “cassaforte” per proteggere i dati e tutelare la memoria.

La notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, Giuseppe Pinelli detto “Pino”, poco più che quarantenne, precipitava dal quarto piano della questura di Milano. Una vicenda umana e giudiziaria che merita ancora di essere studiata, approfondita e raccontata come ha fatto il giornalista Paolo Brogi nel suo ultimo lavoro “Pinelli, l’innocente che cadde giù(Castelvecchi editore), portando alla luce un verbale dimenticato tra le carte dell’Archivio Centrale dello Stato, a Roma. Nei diciassette chilometri lineari di documenti conservati, ci sono anche i faldoni desecretati dalla direttiva Renzi del 2014. Il percorso di query da fare sui due computer a disposizione del pubblico al primo piano dell’archivio è molto complesso: un albero infinito di collocazioni e scarsa capacità di richiamare i documenti, digitalizzati solo per il 20%. Due volte su tre, il terminale si pianta e bisogna ricominciare daccapo.

L’informazione sta alla libertà come la memoria alla storia, come la giustizia alla verità. Senza dematerializzazione e conservazione sostitutiva, l’accesso ai dati non può essere veramente garantito e questo patrimonio di informazioni rischia di essere compromesso. Siamo un popolo di smemorati, inclini alla rimozione e a raccontare la storia guardando dal buco della serratura, sempre alla ricerca di un nemico a cui dare la colpa. L’unico pericolo è invece la paura della verità. Finché non faremo i conti con il passato, non potremo fare passi in avanti. A questo serve la digitalizzazione, a rendere più trasparente la “casa di vetro” dove vivono i dati che raccontano la nostra storia.

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