La nuova direttiva europea sull’equilibrio vita-lavoro ha un duplice scopo: tutelare i diritti sociali e favorire il ricorso a forme di lavoro flessibili per accrescere la produttività delle aziende
L’entrata in vigore della direttiva n. 2019/1158 è stata accompagnata da vivaci dibattiti e in tanti si sono chiesti se, nei prossimi mesi, crescerà in Europa il numero degli uomini che deciderà di indossare i “panni materni”, abbandonando per un po’ la scrivania dell’ufficio o la divisa del lavoro. Il primo scopo della direttiva è quello di realizzare la parità di genere, promuovendo da un lato la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e dall’altro una diversa ripartizione delle responsabilità socio-assistenziali fra uomini e donne.
Sarebbe – però – sbagliato pensare che le istituzioni europee si siano mosse solo per tutelare i diritti sociali dei cittadini, perché oggi tutti gli stati europei si trovano ad affrontare le sfide economiche legate ai cambiamenti demografici. Infatti, la crescita dell’aspettativa di vita ha provocato un incremento della spesa previdenziale per cui si è deciso di favorire forme assistenziali endo-familiari, a “costo zero” per le casse statali, sostenendo le soluzioni che potrebbero aiutare il prolungamento della vita lavorativa delle lavoratrici e, conseguentemente, la loro contribuzione previdenziale.
Per raggiungere i suoi obiettivi, la direttiva è intervenuta, innanzitutto, sui congedi, riconoscendo ai padri lavoratori il diritto a un congedo di paternità di dieci giorni lavorativi retribuiti da fruire in occasione della nascita del figlio. In secondo luogo, viene riconosciuto ai lavoratori il diritto a quattro mesi di congedo parentale, pure questi retribuiti, da utilizzare, anche con modalità flessibili, prima che il bambino raggiunga una determinata età (non superiore agli otto anni). Con una precisazione: i datori di lavoro, previa consultazione, sono autorizzati a rinviare la concessione del congedo se chiesto in un momento in cui potrebbe compromettere il buon funzionamento dell’organizzazione aziendale. In terzo luogo, è concesso, ai lavoratori che prestano assistenza a un familiare bisognoso di sostegno per le gravi condizioni di salute, il diritto a fruire di un congedo di cinque giorni lavorativi l’anno.
La direttiva si è poi occupata anche del lavoro flessibile, vale a dire la possibilità per i lavoratori di adattare l’organizzazione della vita professionale, chiedendo ai datori di ricorrere al lavoro a distanza oppure a calendari di lavoro flessibili o, ancora, a una riduzione dell’orario di lavoro. In questi casi – però – si permette alle aziende di rifiutare la richiesta dei lavoratori, motivando il diniego. Ultimo, ma non per importanza, la direttiva vieta ogni forma di discriminazione o trattamento meno favorevole verso coloro che fruiscono dei congedi, imponendo agli stati membri di adottare un corredo sanzionatorio effettivo, proporzionato e dissuasivo. L’Italia dovrà ora adeguarsi alla nuove regole entro il 2 agosto 2022, anche se, negli ultimi anni, il legislatore nazionale aveva già messo mano ad alcuni istituti per favorire una diversa ripartizione delle responsabilità familiari e far crescere l’occupazione femminile oltre che per favorire il lavoro agile.
In attesa di vedere come i diversi stati decideranno di recepire la direttiva e di conoscere quali effetti avrà sull’occupazione femminile, quel che pare già da oggi sicuro è che l’attenzione per il cosiddetto work-life balance sia fondamentale: il cattivo equilibrio tra sfera personale e professionale genera insoddisfazione e rende il dipendente poco produttivo. Il contrario di quello che serve per la crescita delle imprese.
Avv.ti Andrea Savoia partner e Marilena Cartabia senior associate – UNIOLEX Stucchi & Partners www.uniolex.com