La trasformazione digitale della pubblica amministrazione centrale e locale procede a macchia di leopardo. Il Paese sconta un problema di legacy, che non è solo tecnologico ma culturale. Senza innovare processi, organizzazione e servizi si influenza negativamente la crescita del Paese
Secondo gli ultimi dati della Scuola di Pubblica Amministrazione di Oxford (InCiSE Index), su 31 paesi, l’Italia è in coda alla classifica (27esimo posto) per efficienza e qualità dei servizi. Nella classifica DESI della Commissione europea sull’attuazione dell’Agenda digitale, siamo al 25esimo posto, quartultimi prima di Romania, Bulgaria e Grecia. L’inefficienza della PA ci costa quasi 30 miliardi di euro, circa 2 punti di PIL. Per le imprese, in particolare, la PA inefficiente rappresenta un costo molto rilevante, con impatti che si attestano tra il 2% e il 4% del fatturato e con pesi più elevati al decrescere della dimensione dell’azienda. Con tre milioni di dipendenti, la Pubblica Amministrazione è oggi la più grande azienda italiana: tutte le pubbliche amministrazioni centrali e locali di cui si compone sono pertanto chiamate ciascuna a comprendere che senza trasformazione digitale non si va da nessuna parte e si influenza negativamente la crescita del Paese. La conferma si evince anche dalle più recenti Raccomandazioni del Consiglio Europeo sul programma nazionale di riforma 2019 dell’Italia, che rincara la dose con veri e propri richiami ad “accrescere l’efficienza dell’amministrazione pubblica italiana e la sua capacità di rispondere alle esigenze delle imprese” in quanto questo avrebbe un impatto positivo sul contesto imprenditoriale e sugli investimenti, così come sulla capacità delle imprese di sfruttare le opportunità di innovazione.
Nel 2015, è stata adottata un’ampia legge delega di riforma della pubblica amministrazione che ha affrontato gran parte delle fonti di inefficienza, quali la lunghezza e la complessità delle procedure, la mancanza di trasparenza, la gestione inefficace del pubblico impiego, la gestione inefficiente delle imprese di proprietà pubblica e la scarsa digitalizzazione. Alla fine del 2017, l’applicazione della riforma è in corso d’opera con il sostegno della nuova legge “Concretezza”. Tuttavia, la pianificazione incoerente, le scarse risorse finanziarie e l’insufficiente coordinamento stanno ritardando l’attuazione dei servizi pubblici digitali in settori fondamentali che contribuirebbero a ridurre la complessità e ad aumentare la trasparenza, come quello dei sistemi di pagamento online. L’elevata età media dei dipendenti pubblici e il basso livello medio delle loro competenze digitali rallentano ulteriormente il processo. Eppure, quando obiettivi chiari si combinano a un’applicazione efficace, i risultati sono evidenti, come nel caso del rapido sviluppo del mercato elettronico della pubblica amministrazione e della fatturazione elettronica. I temi della PA in ottica di trasformazione digitale sono in un momento critico. Con questo dossier Data Manager ha voluto mettere insieme modelli positivi e best practice, partendo dal contributo degli analisti di IDC Italia e con particolare attenzione non solo all’evoluzione della PA (centrale e locale) al suo interno, ma anche alle interconnessioni tra PA efficiente, cittadini e sviluppo delle imprese sul territorio. Ne emerge un quadro di progressi incoraggiante dal quale dedurre i prossimi passi per abbracciare con convinzione il futuro.
INVESTIMENTI E TRASFORMAZIONE
Stando ai dati del rapporto del World Economic Forum, il 60% del PIL mondiale sarà “digitalizzato” entro il 2022 e la sua crescita dipenderà da servizi e prodotti digitalizzati. In buona sostanza, la digitalizzazione è uno dei motori del progresso economico e sociale del futuro. Come ci spiegano Massimiliano Claps, research director di IDC Government Insights e Fabio Rizzotto, associate vice president e head of research & consulting di IDC Italia – le pubbliche amministrazioni si trovano al centro di questa trasformazione. I servizi pubblici digitali devono essere sempre più orientati a cittadino e imprese. L’uso responsabile dei dati e della conoscenza che ne deriva, permettono di personalizzare i servizi e ottimizzare l’allocazione delle risorse verso i programmi a maggiore impatto. L’applicazione di una logica di lavoro collaborativa, fra diversi enti, permette una maggiore efficienza e orientamento al cittadino. Per accelerare la trasformazione, l’adozione di tecnologie digitali gioca un ruolo chiave. Ma l’investimento in tecnologie digitali avanzate, come big data e analytics, cloud, intelligenza artificiale, IoT e blockchain, da sola non basta. Serve un approccio strategico alla riconfigurazione dei processi operativi e decisionali delle pubbliche amministrazioni; il disegno di servizi digitali incentrati sulla persona, sia essa il cittadino, l’impresa o il dipendente pubblico; la costruzione di competenze digitali a tutti i livelli del settore pubblico; la re-ingegnerizzazione delle architetture applicative e infrastrutturali in una logica di piattaforme di micro-services che siano cloud-native, per permettere di innovare in modo agile e scalare rapidamente servizi intelligenti; l’attenzione alla sicurezza, dalla protezione del dato sensibile a quella delle reti di sensori che supportano il paradigma delle città intelligenti.
PROGRESSI INCORAGGIANTI
Il Piano Triennale per l’Informatica della Pubblica Amministrazione 2019-2020, costruito sulle fondamenta del piano 2017-2019, accelera la trasformazione digitale delle amministrazioni centrali, regionali e locali. Una trasformazione non fine a se stessa, ma come motore di innovazione del Sistema Paese, quindi orientata in primo luogo a cittadini e imprese, in linea con le iniziative dell’Agenda Digitale Europea. Il piano disegna un modello strategico di trasformazione che comprende tutti gli elementi essenziali: dalla costruzione e condivisione di servizi di piattaforma alle infrastrutture che supportino in modo sicuro il paradigma del cloud computing; dal riconoscimento che le varie missioni della pubblica amministrazione si possono portare a compimento solo in una logica di ecosistema collaborativo all’interoperabilità; dalla gestione del dato come asset strategico all’accesso intuitivo e personalizzato ai servizi per cittadini e imprese.
«Il cammino intrapreso da agenzie e attori istituzionali, non solo in termini di definizione di linee guida e framework di riferimento, ma anche di spinta alla capacità esecutiva, sta facendo passi avanti per risolvere la complessità e la frammentazione storicamente attribuite alla PA in Italia» – spiega Fabio Rizzotto di IDC Italia. «Basti citare a titolo di esempio, i fronti di lavoro in cui sono impegnate realtà come l’Agenzia per l’Italia digitale (AgID) in tema di cloud, programmi di mappatura e razionalizzazione infrastrutture e servizi di piattaforma». La rilevazione sulla spesa ICT 2018 delle pubbliche amministrazioni centrali (PAC), regionali e locali (PAL) fornisce indicazioni interessanti. I dati mostrano una crescita della spesa OpEx, soprattutto nella PAC, in linea con la logica cloud. Una spesa significativa, in particolare per PAC e PAL, in ambito di piattaforma, con la messa a fattor comune di servizi quali SPID, SIOPE+, PagoPA e ANPR. Oppure, la crescita della spesa tramite CONSIP e centrali di committenza regionali, che favorisce una razionalizzazione della spesa per i prodotti e servizi maggiormente standardizzati. Secondo Rizzotto, diverse amministrazioni pubbliche stanno assumendo un ruolo importante anche in chiave 5G, impegnate insieme a molti altri stakeholder dell’ecosistema dell’innovazione a costruire gli assetti e le prime sperimentazioni che si prevede aumenteranno velocemente nei prossimi anni. Per la PA – come per le imprese in generale – una grande occasione per un salto di discontinuità significativo. Sarebbe riduttivo infatti limitare le riflessioni sul 5G a un tema di maggiore potenza e performance delle infrastrutture di rete. «In gioco – sottolinea Rizzotto – c’è la costruzione dei modelli architetturali che faranno funzionare i processi innovativi pubblici e privati, i servizi, la società del futuro».
AVANTI CON IL CAMBIAMENTO
Secondo l’eGovernment Benchmark 2018 pubblicato dalla Commissione europea, l’Italia si posiziona in seconda fascia, dopo Malta, Austria, Svezia, Finlandia, Olanda, Estonia, Lituania, Lettonia, Portogallo, Danimarca e Norvegia, ma allineata con altri grandi paesi, come Regno Unito, Francia, Germania e Spagna, che hanno punteggi di digitalizzazione dei servizi fra il 50% e il 75%. In particolare, il rapporto identifica l’Italia (al pari della Germania) come paese nella media riguardo al livello di digitalizzazione, ma sottoperformante in termini di adozione dei servizi digitali, rispetto al potenziale. Questo quadro è confermato dai progressi del Piano Triennale, dove – per esempio – gli enti aderenti a PagoPA sono oltre 17mila, ma quelli attivi effettivi – ovvero per i quali almeno un pagamento è andato a buon fine – sono poco meno di quattromila (fonte IDC); e i comuni subentrati all’anagrafe nazionale sono circa 3200, rispetto a un target, a fine 2018, di quasi ottomila (fonte IDC). La PA italiana deve abbracciare in modo più convinto le opportunità della digital transformation. Infatti, rispetto ad altri paesi dell’Europa Occidentale, c’è una maggior percentuale di enti che resistono alla trasformazione, o vi si affacciano in modo timido, con progetti pilota frammentati e difficili da scalare, mentre c’è bisogno – avvertono gli esperti di IDC – di una strategia complessiva di trasformazione in grado di superare i confini del singolo ente.
LA PARTITA DELL’INNOVAZIONE
Riccardo Grassi, sociologo e direttore di ricerca SWG ha condiviso con Data Manager un commento sulla più recente indagine svolta per conto di AgID e presentata al Capri Digital Summit 2019. Dalla survey emergono alcuni dati interessanti che aiutano a comprendere la percezione che gli italiani hanno della capacità di innovazione della PA. «In un contesto in cui l’innovazione è percepita come un fenomeno che chiede alle organizzazioni una continua capacità di adattamento e una forte centratura sul rapporto con i propri interlocutori – clienti, utenti, stakeholder – le istituzioni pubbliche sono i soggetti considerati meno in grado di portare avanti un processo di innovazione, ma anche di agire una politica di sostenibilità economica, ambientale e sociale». Il grado di innovazione percepito nelle organizzazioni che emerge dai dati SWG sembra essere sostanzialmente legata alla capacità di pensare e agire in maniera globale in contrapposizione al pensiero autoreferenziale. Quanto più si agisce sul piano internazionale, tanto più la capacità di innovare appare un fattore chiave non solo di successo, ma anche di sopravvivenza; quanto più, invece, la prospettiva di azione è limitata a un piano locale e senza concorrenza, tanto più il rischio è quello di precipitare in una autoreferenzialità che fa pensare di potersi permette di non dovere fare i conti con l’innovazione. «Si tratta di una illusione profondamente perdente – avverte Riccardo Grassi di SWG – in quanto porta ineludibilmente ad aumentare la distanza dai propri clienti/utenti che, negli altri contesti in cui si muovono, hanno a che fare con soggetti più dinamici e innovativi e che quindi si sentiranno sempre più lontani e frustrati nell’interagire con un soggetto incapace di sintonizzarsi con il mondo che si muove interno a lui. La partita dell’innovazione – dunque – non può non essere giocata dalle pubbliche amministrazioni, in quanto questo vorrebbe dire allentare ancora di più il legame con i cittadini e il rapporto di fiducia con lo stato. Sul piatto non c’è solo una questione di efficienza, efficacia e velocità delle prestazioni, ma qualcosa di ancora più importante che ha a che fare con la fiducia verso le istituzioni, con la possibilità dei cittadini di riconoscersi e di entrare in relazione con lo Stato inteso non tanto come la componente politica, quanto con quella funzionale, la cui efficienza incide profondamente sulla qualità della vita di ciascun cittadino».
LA BLOCKCHAIN PER LA PA
Filippo Zatti, professore associato di diritto dell’economia e coordinatore scientifico dell’Unità di ricerca BABEL – Blockchains and Artificial intelligence for Business, Economics and Law – istituita presso il dipartimento di Scienze per l’economia e l’impresa dell’Università degli Studi di Firenze, ha partecipato come relatore all’Internet Festival 2019 di Pisa. Nel suo intervento dal titolo “La catena del valore: la blockchain alla ricerca di regole tra diritto, diritti e informazione”, Zatti ha spiegato a Data Manager perché quello della tecnologia blockchain – e più in generale della distributed ledger technology – sia un tema ancora delicato. «Non tanto per gli aspetti tecnologici che sono già in una fase evolutiva avanzata, quanto per gli aspetti normativi. Infatti, si tratterebbe di rivedere in chiave sistematica e di completezza giuridica il quadro minimalista costituito dalle norme inserite nel Decreto “Semplificazioni”. La certezza giuridica del timestamping è uno degli aspetti applicativi rilevanti per la PA. E quelle norme, anche qualora l’AgID provvedesse a darne attuazione, non risolverebbero a mio avviso il quadro delle problematiche relative connesse. Altro aspetto, non secondario – continua Zatti – riguarda i fruitori dei servizi della PA ovvero noi cittadini. La formazione digitale è un fatto elitario nel nostro Paese. Le ragioni sono molteplici. Geografiche, politiche, economiche e sociali. Il timore, per quanto mi riguarda, è che il Paese non sappia cogliere che il cambiamento epocale in itinere non può essere stavolta evitato con alcun escamotage. Stavolta non abbiamo alibi».
UNA VISIONE A LUNGO TERMINE
Diritto a innovare, supporto alle startup, continuità, efficientamento, cittadinanza digitale ma soprattutto una visione ampia dello sviluppo. Sono proprio queste le chiavi che servono a definire una nuova governance italiana per la PA digitale. E David Casalini, CEO e cofounder di StartupItalia, ha avuto modo di riceverne conferma direttamente da Paola Pisano, ministro per l’Innovazione Tecnologica e Digitalizzazione nel corso di un’intervista che dà appuntamento alla community degli innovatori il 16 dicembre prossimo per l’Open Summit di StartupItalia, in collaborazione con Università Bocconi a Milano. Un futuro migliore è possibile. Anche per la PA. Le premesse ci sono tutte. Primo perché un dicastero dell’innovazione in Italia non si vedeva da oltre quindici anni e poi perché Paola Pisano ha manifestato una forte determinazione a far recuperare posizioni alla PA digitale del nostro Paese, partendo proprio dalla mitigazione delle cause di una arretratezza ingiustificabile e superabile soltanto partendo da una nuova inclusività catalizzatrice del diritto fondamentale all’innovazione per ogni cittadino digitale. Al ministro Paola Pisano è ben chiaro che non abbiamo più alibi. Ci sono però segnali positivi già in atto. Il Ministero dell’Innovazione potrà fare da “collante” fra tutte le strategie di innovazione lanciate attraverso i vari ministeri. L’Italia sconta ancora un grosso problema di penetrazione di utilizzo della Rete con circa 10 milioni di cittadini che oggi non hanno accesso a Internet e un tasso di penetrazione dei servizi digitali pari al 24% – «per cui anche se da domani digitalizzassimo tutti i servizi della Pubblica Amministrazione – ammette il ministro Paola Pisano – paradossalmente, creeremmo un problema ancora più grosso ai cittadini perché avrebbero difficoltà a utilizzare i servizi».
LA REPUBBLICA DIGITALE
Ed è proprio questo lo spirito della Repubblica Digitale: una, accessibile e consapevole l’iniziativa del Team per la Trasformazione Digitale nata come una vera e propria chiamata alle armi per attivisti contro l’analfabetismo digitale. Il Team Digitale sta lavorando da tempo su molte iniziative che nascono dall’ambizione di guidare la trasformazione digitale di questo Paese, migliorando grazie all’innovazione il rapporto tra PA e cittadini. Ma se i cittadini non sono in grado di recepire queste opportunità, e se in parte sono addirittura al di fuori di ogni competenza minima del Web, allora ogni investimento in innovazione diventa un buco nero nel quale gettare tempo e denaro senza alcun ritorno. Sin dalla sua nascita, il Team ha lavorato per rendere i servizi pubblici per i cittadini e aziende accessibili nel modo più semplice possibile, innanzitutto tramite un approccio “mobile first”, utilizzando architetture sicure, scalabili, altamente affidabili e basate su interfacce applicative (API) chiaramente definite, nonché per supportare le pubbliche amministrazioni centrali e locali nel prendere decisioni migliori e il più possibile basate sui dati, grazie all’adozione delle più moderne metodologie di analisi e sintesi dei dati su larga scala. In questo contesto il Team sta promuovendo, coordinando, disegnando e realizzando una serie di progetti che, nel loro complesso, mirano, attraverso il digitale, a garantire un approccio antropocentrico alla relazione tra cittadini, imprese e amministrazione. E le prime adesioni “pesanti” non hanno tardato ad arrivare: prima fra tutte quella di Luigi Gubitosi, amministratore delegato di TIM, in prima linea in un ambizioso progetto di educazione digitale che mira a coinvolgere un milione di persone alle quali insegnare a usare strumenti come PEC e SPID.