La conferenza sul clima dell’ONU di fine settembre ha riportato al centro del dibattito il problema del cambiamento climatico nelle agende dei governi. L’urgenza delle azioni – che dovranno essere portate avanti per ridurre le emissioni dovute alle attività umane e gestire le devastanti conseguenze del riscaldamento globale – interroga tutti.
L’obiettivo delineato dalla IPCC – il braccio scientifico dell’Onu sul cambiamento climatico – è restare sotto una soglia di surriscaldamento inferiore agli 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali della temperatura media. Soglia che verrà raggiunta tra il 2030 e il 2052, se il volume di emissioni di CO2 proseguirà ai ritmi raggiunti oggi. Centrare l’obiettivo si può, ma la roadmap da rispettare è draconiana: nel 2030, si deve praticamente dimezzare il volume di emissioni misurato nel 2010. Nel 2050, il mondo dovrà sostanzialmente essere “carbon neutral”, in altre parole – tra misure di contenimento delle emissioni e tecniche di cattura e segregazione di CO2 – dovrà raggiungere il livello zero di emissioni.
Si può fare? Una nazione come la Finlandia – che da un punto di vista energetico ha fatto scelte altrove non così popolari – ha annunciato, proprio negli stessi giorni del Summit, l’intenzione di raggiungere il livello zero di emissioni già nel 2035. Inutile nascondere – però – che il percorso da affrontare comporterà enormi sforzi, considerando che – in questa fase di poderosa transizione energetica – bisognerà tener conto della voglia di sviluppo industriale di nazioni finora rimaste sostanzialmente al palo della crescita industriale, economica e con livelli di qualità della vita molto – troppo – selettivi.
In questo compito – arriva da parte dell’intero settore dell’ICT – la promessa di un affiancamento che potrebbe rivelarsi determinante. La tecnologia è di per sé sicuramente una delle armi più importanti nella lotta contro le inefficienze energetiche (e quindi contro le emissioni eccessive), contro l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, degli alimenti. Ma l’ICT può agire anche a livello di processo, contribuendo a rinnovare e “ripulire” il modo in cui costruiamo le case e gli oggetti che ci servono; o coltiviamo, alleviamo, trattiamo il nostro cibo; movimentiamo le persone e le merci; interagiamo e cresciamo sul piano della socialità e dell’istruzione. E può aiutarci moltissimo – grazie a soluzioni IoT e analytics – a misurare con più precisione il “peso” energetico di tutte le nostre attività, consentendoci così di studiare nuove soluzioni di efficientamento.
Le stime della European Framework Initiative for Energy & Environmental Efficiency in the ICT Sector parlano della possibilità di raggiungere – grazie a una maggiore efficienza nell’uso dell’energia – una riduzione del 15% delle emissioni globali addirittura entro il 2020. Questo in un contesto dove l’ICT da sola ha un “footprint” di CO2 non trascurabile ma rimasto sostanzialmente piatto negli ultimi anni, nonostante l’incredibile aumento dei volumi di dati generati (in Europa, il settore consuma circa il 10% dell’energia elettrica generata sul continente, per un 4% delle emissioni globali).
Tanto per restare nel Nord Europa, l’Exponential Climate Action Roadmap sottoscritta da Ericsson afferma di poter raggiungere il 50% di riduzione delle emissioni globali – fissato dall’IPCC – solo agendo con la tecnologia e la trasformazione sui settori più critici come la fornitura energetica, l’industria manifatturiera, l’edilizia, i trasporti, l’industria alimentare e l’agricoltura.