Il cambiamento è profondo e complesso. Tra pochi mesi, saremo nel terzo decennio del terzo millennio. Sempre alla ricerca di ricette per integrare tecnologie e competenze umane
La trasformazione delle imprese continua, così come la nascita di nuovi ecosistemi. Abbiamo imboccato la direzione dell’innovazione in tutti i processi socioeconomici globali. Le previsioni di IDC vedono entro il 2022 quasi la metà del PIL europeo derivante dall’economia digitale, con crescite in tutti i settori guidate da offerte, processi e relazioni digitali. Abbiamo compreso che sopravvivere e competere in questo mondo va oltre le tecnologie, va oltre i processi, va oltre la singola organizzazione. Il cambiamento è profondo e complesso; si possono mettere velocemente radici nell’epoca digitale, scalare, ma non c’è nulla di duraturo. La mutazione arriva ai princìpi del lavoro. La concezione di ambienti, modelli e cultura del lavoro cambia velocemente. Si può iniziare semplicemente vedendo il nostro modo di operare in un contesto diverso. Abituati in passato a collocarlo principalmente in un ambito dipartimentale, al massimo interfunzionale, oggi i modelli organizzativi risentono di perimetri più estesi. Di questo le imprese italiane sembrano essere consapevoli. Nella recente Future of Work Survey Europea di IDC, il 56% dei rispondenti del nostro Paese colloca al primo posto della Workplace Transformation le iniziative che facilitano una migliore collaborazione tra risorse interne ed ecosistema di terze parti.
Anche il dibattito attorno agli impatti dell’automazione e dell’intelligenza artificiale sembra addentrarsi su binari più maturi, dove alla complessità si affianca la ricerca di formule per la creazione di valore. Da un lato, le imprese italiane ci confermano che questi processi porteranno alla sostituzione di molte attività manuali. Dall’altro – tuttavia – le implicazioni in termini di risorse solo in minima parte vedono riduzioni della forza lavoro, mentre prevale l’orientamento non solo verso processi di riqualificazione di ruoli e mansioni, ma anche di logiche di “collaborazione uomo-macchina” per aumentare efficienza e produttività dei collaboratori. Nel complesso, le imprese italiane che nei prossimi tre anni prevedono impatti positivi sul lavoro derivanti da AI e Robotica sono il doppio di quelle che ritengono avranno un impatto negativo. Dovremo attrezzarci anche nel ribilanciare i parametri con cui misuriamo le performance del lavoro? Se al momento produttività, collaborazione, flessibilità e problem solving sono i fattori primari utilizzati nei processi di valutazione interna, probabilmente in futuro troverà maggiore spazio anche la capacità di contribuire a vari livelli con idee, creatività, co-innovation. L’importanza di questi fattori al momento è citata da un’azienda su tre in Italia.
NUOVI EQUILIBRI
L’economia digitale che stiamo contribuendo a sviluppare presenta una miriade di potenziali use cases, nei processi e settori di business più disparati. Le combinazioni tra paradigmi tecnologici saranno sempre più ampie e sofisticate. Alcune di queste – come per esempio l’abbinata big data analytics (BDA) e cloud oppure BDA e IoT – sono tra le più esplorate in Europa, mentre solo il 4% ha costruito ambienti “data-driven” molto avanzati grazie a sinergie tra piattaforme BDA e strumenti quali AI, cognitive e blockchain. Il potenziale di sviluppo è incredibile. Comprendere, sperimentare e implementare richiede la capacità di mettere insieme attitudini e competenze diversificate. Tradurre queste trasformazioni in progettualità di successo richiede sforzi ancora maggiori per l’ecosistema di aziende internazionali e nazionali, che lavorano in partnership con vendor IT per portare sul mercato proposizioni innovative.
Partnership e alleanze nel settore IT e digitale sono in fase di espansione. Ma sono anche esposte. La trasformazione continua e rapida rischia di disorientare e rendere tutto instabile. Tra le poche certezze c’è ancora il grande bisogno di mediazione. Proprio quello che anni fa appariva minacciato dal cloud. I modelli economici si strutturano sempre più su logiche multicloud, ambienti ibridi. Molti attori sono necessari per regolare i nuovi equilibri. La temuta disintermediazione del cloud non si avverata, se non in forme diverse da quelle immaginate. Ruoli e competenze cambiano, ma non spariscono gli intermediari. Secondo IDC, entro il 2021 almeno il 70% delle revenue da modelli cloud sarà mediato dai partner. I player si riposizionano, scegliendo tra specializzazione tecnologica, di industry, o un mix di entrambe. Sparisce il partner generalista, si configurano competenze distintive di ciascuno in un quadro di maggiore collaborazione. Le indagini IDC confermano che il 35% degli attori IT globali sta già collaborando con altri partner per creare soluzioni estese, e il 42% prevede di farlo a breve.
DIREZIONI STRATEGICHE
La convergenza non si limita all’integrazione tecnologica, ma coinvolge competenze e modelli di go-to-market. Una dinamica che serve anche per misurarsi con le aspettative di nuovi decision maker. Secondo IDC, oltre il 70% dei protagonisti ICT sta investendo o prevede di investire in “LOB skills” per abilitare capacità di dialogo e sviluppo di opportunità con figure esterne ai classici dipartimenti IT. Ma se osserviamo il settore IT – secondo una logica di “distribution chain” – non possiamo trascurare alcuni elementi di attenzione che stanno emergendo a seguito della disruption digitale. Molte aziende nazionali ed europee che operano in partnership con i player globali dell’industria ICT non ritengono che lo stato costante di “riorganizzazione” che contraddistingue i grandi attori in quest’epoca abbia implicazioni su assetto, valenza e stabilità temporale dei programmi di partnership, fondamentali – a entrambe le parti – per servire segmenti di clientela o territori non presidiati direttamente, integrare offerte con altre componenti tecnologiche etc.
Non è inconsueto che, a fronte di strategie che hanno impatti a valle, l’impegno richiesto ad altri attori per mettere in atto azioni misurabili dai programmi di incentivazione rischi di essere vanificato da nuovi cambiamenti nelle dinamiche globali che intervengono a breve distanza (che in taluni casi possono stravolgere le precedenti direzioni). Può sembrare un paradosso, ma queste dinamiche apparentemente opposte sono entrambe necessarie, ciascuna con ragioni fondanti: la prima come essenza dell’essere competitivi nell’economia digitale e globale; la seconda come inevitabile processo attuativo che coinvolge altre organizzazioni del proprio ecosistema a livello regionale o locale, a loro volta impegnate in una propria trasformazione per cogliere nuove opportunità.
L’apertura di fronti sempre più ampi di relazione e collaborazione digitale sta creando spazi per disegnare “sistemi di sistemi”, nuovi modelli a volte laterali, a volte dai contorni più ampi che inglobano (ma non soppiantano) i precedenti. Se il concetto di “fare sistema” di cui abbiamo sentito parlare in passato era già complesso, figuriamoci in quest’epoca in cui siamo chiamati a “fare sistema” mentre realizziamo di essere anche impegnati in schemi più grandi. Le direzioni strategiche possibili sono infinite. Nella linea che ciascuna impresa seguirà – probabilmente – farà la differenza la capacità di operare non soltanto come “parte di un sistema”, ma come un insieme di risorse che si sentano già, esse stesse, “ecosistema”.
Barbara Cambieri managing director and Group vice president di IDC Italia