Cyberwarfare, la nuova artiglieria pesante

Cyberwarfare, la nuova artiglieria pesante

Dalla polvere da sparo all’intelligenza artificiale. Nuovi rischi e vulnerabilità collegate all’uso della tecnologia a scopi militari. Quando anche le nostre abitudini potrebbero essere utilizzate contro di noi

Come accennavo in un precedente articolo, Trump e la Cina combattono da mesi una guerra, quella dei dazi, ma in verità le ragioni dello scontro sembrano più vicine a un conflitto sulla tecnologia. Già allora, si potevano vedere gli effetti dei conflitti tecnologici nel mondo commerciale, per esempio con l’arresto della dirigente di Huawei e un divieto di vendite negli Stati Uniti che è ora temporaneamente sospeso. Proprio nelle ultime settimane, invece, si è palesato l’impegno degli USA a investire sull’intelligenza artificiale anche a livello militare, con l’apertura di un Artificial Intelligence Center al Pentagono. Non è una novità invece, l’impiego di decine di migliaia di hacker da parte della Cina e di molti altri paesi proprio a scopo militare. In Europa, l’Estonia ha da anni adottato una politica digitale molto all’avanguardia. Ancora oggi, si ammira la comodità di poter fare quasi tutto online: pagare le tasse, votare nelle elezioni, acquisire una residenza virtuale, e molto altro. Se da un lato il sistema appare comodo e trasparente, dall’altro si aprono nuove vulnerabilità. Nel 2007, le società e i politici estoni si sono trovati coinvolti in attacchi cibernetici da parte della Russia per via di un ricollocamento di un monumento ai caduti della Seconda guerra mondiale. Mentre sulle strade, 156 persone sono rimaste ferite per le rivolte, molti siti diventavano inaccessibili. Era improvvisamente diventato impossibile accedere al proprio conto online, leggere le notizie dei media locali, o usufruire dei servizi pubblici online. Ancora oggi, questo caso – uno dei primi nel suo genere – viene studiato da vari paesi, quando si lavora a strategie tecnologiche militari.

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IL VALORE DELL’INNOVAZIONE

Se dal 2007, il numero di utenti di internet si è più che triplicato, l’importanza della tecnologia nella vita di tutti i giorni è anche essa aumentata. Oramai, colleghiamo alla rete anche le lampadine di casa, le automobili, il frigorifero. Ci sentiremmo smarriti senza il GPS nei nostri smartphone. Buona parte di queste tecnologie vengono governate da società private che si ritrovano a gestire i nostri dati e le infrastrutture su cui dipendono le nostre telecomunicazioni. Tutto questo, sebbene guidato da società private, ha un’importanza pubblica non indifferente, anche in scenari di guerra. Nel corso della Guerra in Iraq, la dipendenza degli USA su satelliti commerciali per scopi militari è aumentata del 560% in 8 anni. Attualmente, questo è un punto debole nella guerra tecnologica, perché la FCC regola l’infrastruttura dei satelliti senza però richiedere misure di sicurezza da attacchi cibernetici.

La vulnerabilità di questi sistemi potrebbe compromettere la nostra difesa privata come quella pubblica. Da anni, la Cina investe miliardi di dollari in centri di ricerca su computer quantistici, ricercatori AI, e su nuove tecnologie crittografiche. Anche gli USA hanno iniziato di recente a dare maggior peso all’aspetto tecnologico nella sfera militare. Se appare chiaro che il futuro dell’arte bellica sarà caratterizzato da grandi cambiamenti dovuti a nuove tecnologie e cospicui investimenti per rimanere al passo con i tempi – è tutt’altro che chiara la direzione di questa evoluzione. Ci sono vari fattori da tenere in considerazione. Per esempio, i conflitti tradizionali e violenti richiedono spesso tecnologie diverse da quelle che sarebbero necessarie invece in scenari meno intensi e convenzionali – come per esempio il caso estone citato. La vastità di sfumature possibili nell’utilizzo di nuove tecnologie nella difesa è tale che diversi paesi potrebbero dover investire in direzioni diverse in base al loro contesto geopolitico specifico.

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Ci sono aree – tra cui l’intelligenza artificiale – che possono avere più applicazioni differenti partendo dalla stessa tecnologia. In passato, è accaduto – non di rado – che a trarre vantaggio dalle nuove tecnologie non fossero gli inventori ma altri. Infatti, non è importante la realizzazione di tecnologie nuove, quanto l’utilizzo che se ne fa. Spesso si applicano le novità a vecchi approcci, limitandone l’efficacia. A volte, la vera innovazione sta nel modo in cui si utilizza la tecnologia piuttosto che nella tecnologia stessa. Basti vedere quanto è stata importante la polvere da sparo, che rivoluzionò l’arte bellica, di fatto ponendo fine – nell’Europa del quindicesimo secolo – alle guerre di cavalleria. Chi più ne trasse benefici furono gli Europei, ma gli inventori furono i cinesi. I cinesi avevano utilizzato questa novità a fini ricreativi, e solo in seguito provarono a utilizzarla in ambito bellico. La tecnologia fu in fretta copiata dai mongoli, e raggiunse presto anche l’Europa tramite gli Arabi che facevano da ponte tra i due mondi. Furono gli Europei a sviluppare la tecnologia per trarne maggior beneficio, sebbene non fossero stati loro a scoprirla. Allo stesso modo, la dinamite, che sostituì l’uso della polvere da sparo, fu inventata da Alfred Nobel per l’utilizzo principalmente nelle miniere. Il suo successivo utilizzo in ambito militare, lo ispirò a finanziare premi per la ricerca – i famosi premi Nobel – per poter distaccare il suo nome dall’immagine di morte suscitata dall’uso delle sue invenzioni.

IL POTERE DELLA TECNOLOGIA

Oggi, come nella guerra in Iraq dove si usarono satelliti commerciali, è di nuovo possibile rendere tecnologie di ogni genere utili anche per le applicazioni militari. È quindi possibile trarre benefici da tecnologie in divenire così come anche da molte già diffuse per altri scopi. Il rischio collegato però è che nuove capacità creano nuove dipendenze, e nuove dipendenze creano nuove vulnerabilità. Come in Estonia, la possibilità di sfruttare le infrastrutture tecnologiche ci rende vulnerabili agli attacchi a tali sistemi. Paradossalmente, il futuro della guerra potrebbe dipendere proprio dalle nostre capacità quando non possiamo più dipendere dalla tecnologia, piuttosto che dalle nuove possibilità da esse offerte. Nella vita di tutti i giorni, tendiamo a pensare che la tecnologia ci rende più potenti. In verità, la tecnologia è distruttiva, e con ogni probabilità non si adatterà alle tradizioni militari di oggi. Anzi, cercare di adattare le nuove tecnologie alle vecchie abitudini può essere controproducente. Cosa fare quindi? In che direzione muoversi? Cosa possiamo aspettarci nella difesa del futuro?

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In fin dei conti, molte di queste domande rimangono ancora senza risposta. Sappiamo solo che già oggi si stanno raggiungendo nuove frontiere tecnologiche in questo ambito. L’analisi dei dati collegati a Internet è già nella realtà di tutti i giorni, così come l’utilizzo di droni o dei visori a realtà aumentata. Così come in passato, le grandi innovazioni sono inaspettate. Ma è fondamentale rimanere al passo con i tempi per trarne beneficio. O quantomeno, per evitare di subirne gli effetti collaterali. Anche noi privati dovremmo riflettere sulle potenziali implicazioni delle nostre azioni online: le informazioni che lasciamo, i software che utilizziamo e così via. Nella guerra del futuro, anche le nostre abitudini potrebbero influenzare i metodi di combattimento.