Il “viaggio” verso l’impresa data driven è guidato da due variabili ortogonali: velocità di esecuzione e credibilità del dato. «Solo l’equilibrio tra queste porterà a un risultato efficace e sostenibile» – afferma Antongiulio Donà, VP sales Italy di Talend. «La trasformazione dell’IT si basa sul cambio strategico di impostazione dell’azienda nel rendere collaborativi i ruoli di Business. La figura dei CIO diventa punto di intersezione tra competenze diverse: demand, service, project, planning e business. La metafora dell’auto da rally è coerente con le aspettative di costruzione di un vero team del cambiamento, che resta il cuore della trasformazione e che funziona solo se è – insieme – tecnologica e culturale». Esasperando il concetto, Donà va oltre, ipotizzando l’idea di una Parigi-Dakar sul modello della 24 ore di Le Mans, in cui – «navigatore e pilota si scambiano i ruoli e nessuno di loro si sente cliente-fornitore dell’altro ma ciascuno sapendo interpretare al meglio il ruolo del momento». Talend pone l’accento sul concetto di – «wingman» – sia internamente (cultura aziendale e open source) sia esternamente (self-service).
«Siamo tutti i “bracci destri” del comparto vicino, vicendevolmente. La nuova frontiera del data-knowledge management sono i data lake. Ma – secondo Donà – un solo elemento contribuirà a renderli gestibili e centrali: «La governance, la conoscenza dei dati a livello astratto». La definizione della “proprietà” del dato, così come inserita dalla GDPR – «sarà centrale e fondamentale per far crescere la cultura del governo dei dati che non è solo la gestione e la stabilità ma la raggiungibilità, la credibilità, la disponibilità. Conoscere la genesi dei dati ne garantisce la nemesi». La figura del chief data officer è cruciale per qualsiasi azienda che voglia intraprendere un percorso di trasformazione digitale, con finalità di migrare le attività in modalità data driven.
Il divario tra IT e Business
Oggi – «i CDO sono chiamati a colmare il divario fra l’IT e il mondo del business, non solo attraverso l’inserimento di qualche prodotto innovativo o di qualche risorsa professionale specializzata ma con la possibilità di condividere scelte, esperienze e necessità». Non esistono formule uguali per tutti. E anche l’idea imposta di un “Esperanto dei dati” non può essere una risposta valida, come del resto dimostrano i fatti. Per Donà, la ricerca di linguaggio comune è un viaggio: «Più un punto d’arrivo che uno di partenza. Dai risultati progressivi nasce l’esigenza e la richiesta di un pensiero per un’azione comune, ma non per imposizione». Il passaggio al cloud e il focus sull’analisi dei dati impongono una nuova modalità di gestione dei processi. I CIO devono essere in prima linea ad abbracciare il futuro, altrimenti – commenta Donà – «significa che qualcosa non funziona». Anche lo sviluppo Agile non ha avuto piena realizzazione perché spesso i principi cozzavano contro gli interessi.
«L’avvento ormai definitivo dell’intelligenza artificiale dovrebbe spingerci verso una revisione in termini di utilizzo dei dati e non solo della programmazione. Perché pago un servizio reso da un bot parlante che spesso non capisce quello che voglio e che mi fa perdere tempo e denaro? È solo un esempio banale ma ci scontriamo contro la tecnica del profitto a tutti i costi. La responsabilità non è solo di chi produce software ma della comunità mondiale e delle regole che impone. Tutto è economia ma non tutta l’economia è solo profitto». A quasi vent’anni dal Manifesto Agile -forse – è arrivato il momento di un Manifesto dei fondamentali dell’IT. Principio fondante – secondo Donà – «la libertà di abbandonare gli strumenti. Un’azienda non può blindare un cliente». E il cloud potrebbe venire in aiuto: «Il futuro è fondato sull’acquisto di servizi senza più preoccuparsi di come sono stati sviluppati, da chi e come». Ma come eviteremo che i cloud provider diventino i nuovi padroni delle nostre aziende? «Mantenendo il controllo e il governo dei dati, unico vero patrimonio aziendale» – risponde Donà.
La responsabilità dell’IT
Sul fronte degli investimenti, mentre andiamo incontro a una maggiore complessità della gestione del bilanci e delle analisi dei rischi – «forse dovremmo andare anche verso l’assimilazione delle differenze tra CapEx e OpEx, con una regolamentazione fiscale più moderna e semplificata. La sfida di velocità e credibilità è centrale e la ritrosia dell’IT è giustificatissima perché alla fine – «la responsabilità è solo dell’IT mentre la proprietà dovrebbe essere del business e questa dicotomia è devastante in termini di affidabilità e disponibilità» – afferma Donà. «La richiesta di dati cresce ed è strategica ma gli investimenti soffrono questo circolo vizioso. TCO, governance, cloud non-cloud, versatilità, abilitazione al cambiamento, dovranno essere supportati da un top management visionario, che – però – stenta ancora a dimostrarsi tale. Come sempre, basta guardare oltre oceano per osservare che senza le tradizionali pastoie della “standardizzazione a tutti i costi” si possono raggiungere risultati straordinari».
In molti casi – continua Donà – una strategia troppo “finanziarizzata” e unicamente orientata al taglio dei costi spinge l’azienda a ridurre tutte le risorse a una specie di “bottone” da accendere o spegnere, a seconda delle necessità. «Ma le persone sono le radici di un’impresa e non si possono tagliare senza conseguenze. Anche il Finance dipende dalla stabilità dei dati, decisamente più degli altri, e dovrà incentivare l’azienda verso modelli diversi. Una gestione delle risorse vecchio stile – aumentato di potere ma non di conoscenza e della necessaria competenza di campo – non è la soluzione ma la sua stessa negazione».In questo contesto, più che mai guidata dalla sistematica riduzione degli investimenti e non dalla loro analisi in termini di efficacia ed efficienza – avverte Donà – la Pubblica Amministrazione è la più esposta a non centrare gli obiettivi di essere data driven. «Guardare al total cost of ownership potrebbe aiutare a mirare gli investimenti. Perché la trasformazione delle strutture IT passa – prima di tutto – attraverso il rinnovamento interno, supportato dall’etica dei fornitori».
«IT e Business devono essere a vicenda il “braccio destro” dell’altro. I CIO devono essere in prima linea ad abbracciare la trasformazione digitale»