La contaminazione incrociata tra i saperi ha attraversato in modo trasversale il dibattito sulla trasformazione digitale emerso durante il WeChangeIT Forum 2019. Contaminazione, centrale anche nella concezione dell’homo faber di Leonardo da Vinci di cui ricorrono i 500 anni dalla morte e che ha ispirato il progetto “Genio e Impresa”, realizzato da Assolombarda e Regione Lombardia.
Il legame tra talento e imprenditorialità non ha mai smesso di nutrire la vocazione di Milano e della Lombardia per l’innovazione. Un modello che – come ha dichiarato il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi – continua ad alimentare il dialogo tra ricercatori, ingegneri, data scientist, creativi, designer, donne e uomini d’impresa – e che contraddistingue la Lombardia a livello internazionale per numero di brevetti, occupati nei settori più avanzati, università, ricerca e startup. Contaminazione che – fuori e dentro le aziende – non riguarda solo i saperi ma anche i generi.
La diversity – in tutte le sue declinazioni – è un patrimonio che le imprese non possono permettersi di sprecare. Secondo l’ultimo Global Gender Gap Report, le differenze non sono ancora percepite come un asset strategico. L’Italia è l’ottava economia del mondo. Il 51% della popolazione italiana è costituita da donne. Eppure, nella classifica stilata dal World Economic Forum – siamo fanalino di coda, sorpassati al 50esimo posto, da Burundi, Serbia e Mozambico.
Nel mondo dell’impresa, della politica, della ricerca scientifica – le donne eccellono ma stentano a trovare una loro voce. Anzi, viviamo in un mondo in cui le differenze diventano ragione di scontro. La questione è delicata. C’è chi ne fa una bandiera ideologica, chi una questione quantitativa e chi si sforza di farne una pratica quotidiana, guardando ai risultati e alla qualità della leadership. In molti casi, le imprese sopravanzano la politica e in altri le corrono dietro, trasformando il diversity management da materia di organizzazione aziendale sotto la direzione HR a materia di convegni sotto la direzione marketing e comunicazione. Il filo si dipana dai board fin dentro i social, rimbalzando dai blog al “botta e risposta” via email e via sms, infiammando gli animi. Le donne non sono tutte uguali, tutte votate a una sola causa e a una sola volontà. E non basta mettere una donna al vertice per dare un segnale di cambiamento. Certamente, i simboli contano. Ma ci vuole di più. Le donne meritano di più.
E nell’anno che celebra anche lo sbarco sulla Luna e i 50 anni di Internet, due donne alla presidenza della Commissione europea e della BCE segnano l’inizio di un nuovo percorso. In attesa di ascoltare la loro voce e comprendere la capacità di fare la differenza ai vertici delle istituzioni europee – esprimendo una leadership alternativa per una vera Europa della crescita, delle imprese e del lavoro – basterebbe che somigliassero un po’ a quelle donne straordinarie che ho incontrato in questi anni di lavoro e da cui ho imparato molto.
Non posso nominarle tutte, ma vorrei riuscire a scorgere nei loro volti la determinazione di Lucrezia Reichlin; la passione di Roberta Cocco; la capacità di maneggiare questioni complesse rendendole semplici di Fabiola Gianotti; la visione “bio-ispirata” di Barbara Mazzolai; l’ossessione per la soddisfazione del cliente di Mariangela Marseglia; la volontà di rendere intelligente anche le “cose” che stanno sotto la superficie di Francesca Vergara; l’entusiasmo di lavorare sulle qualità che ci rendono migliori di Paola Pomi; la tenacia di diffondere la cultura della conoscenza, aiutando i giovani talenti a emergere di Mirella Cerutti; la consapevolezza che l’innovazione può essere motore di progresso e di equità di Luisa Arienti; il coraggio e la fiducia nella creatività di Silvia Candiani. La grande scommessa si chiama sviluppo sostenibile. Nessuno squilibrio dura per sempre. La tecnologia ci offre gli strumenti per eliminare le differenze che creano squilibrio e valorizzare le differenze che creano valore. Tutto il resto dipende da noi.