Il ruolo del CIO nel connubio tra IT di nuova generazione e data science sarà sempre più strategico. La convergenza tra IT e Business detta nuove architetture, modelli di delivery, servizi e funzioni.
L’IT diventa service provider, business partner e digital leader. Agilità, pianificazione e capacità di adattare servizi e infrastrutture ai mutamenti del mercato sono elementi centrali. «La sinergia tra IT e Business funziona se questo rapporto è stato costruito e implementato nel tempo» – afferma Andrea Brembilla, solutions architect manager Italy di Commvault. «Le differenze possono segnare una distanza ma possono essere anche un elemento di contaminazione delle rispettive competenze nel rispetto delle reciproche responsabilità. La gestione dei dati coinvolge diversi aspetti – dalla sicurezza alla condivisione, dalla qualità all’efficienza passando per la compliance – e funziona come le gomme perché dà stabilità, trasferisce agilità e aumenta le performance. Il rapporto tra Business e IT è fondamentale. La fiducia reciproca è il collante per supportare i processi decisionali».
I dati possono presentarsi sotto diverse forme – «ma nella loro immaterialità conservano una componente fisica importante, perché occupano spazio, devono risiedere da qualche parte, devono essere accessibili e devono essere trasferiti velocemente» – spiega Federico Protto, AD di Retelit. «Un ecosistema data-driven non può prescindere da infrastrutture di rete sempre più performanti e scalabili velocemente. Sarà il pilota a decidere come e quando scalare le marce. Indubbiamente, dalle reti di nuova generazione passa la competitività delle nostre imprese e del Sistema Paese nel suo complesso».
Amadori, il CIO come navigatore più fidato del CEO
In un momento storico di complessità senza precedenti, chi meglio di coloro che fanno parte della comunità IT può dare delle risposte alle esigenze trasformative delle imprese? «Negli ultimi anni però – risponde Gianluca Giovannetti, direttore centrale innovazione e servizi business di Amadori – l’IT non è stato al fianco del conducente, ma dietro. E da dietro, si fa fatica a dare un contributo di valore, che possa essere utile a indicare la direzione che l’azienda deve prendere. Il CIO deve essere il navigatore più fidato del CEO. Nel passaggio dai temi più transazionali a quelli digitali, non può che essere l’IT a interpretare questo ruolo. Abbiamo attraversato una crisi di ampia portata, si sono aperti squarci di opportunità in cui pochi si sono inseriti. Alla community dei CIO vorrei dire di smetterla di essere un gestore della “cantieristica” e di pensare il cambiamento in una logica enterprise. I CIO hanno nel loro DNA la capacità di saper fare, di indirizzare, di gestire, di controllare progetti e programmi. E da ultimo, siccome l’IT ha sempre vissuto di innovazione – o meglio avrebbe dovuto – anche la governance dell’innovazione stessa, che sta uscendo dai diversi silos, dovrebbe rientrare nel dominio dei CIO. È necessario tornare a riflettere su questi aspetti fondanti della missione dell’IT quando parliamo di crescita e di competitività. Amadori è una tipica azienda manifatturiera B2B2C. Stiamo lavorando in due direzioni. Una più “hard” in ambito operations con focus su smart manufacturing e smart farming. E una più tradizionale in ambito gestionale. Il tema della Robotic Process Automation è una leva importante per l’efficientamento della competitività e che impone anche delle riflessioni sul tema del futuro del lavoro».
CIO e CFO insieme per aumentare il potenziale di trasformazione
Il 2019 sarà un altro anno di trasformazione digitale. «Due elementi in particolare ne ostacolano il pieno sviluppo» – spiega Giancarlo Veltroni nel suo doppio ruolo di presidente di ANDAF Lombardia e CFO di Nexive. «Il primo è legato alle competenze necessarie a scaricare a terra il potenziale di trasformazione indotto dalle nuove tecnologie. Il secondo freno è legato a un Sistema Paese che troppo spesso tende a sottovalutare la relazione diretta fra investimenti in ricerca anche di base e PIL». L’innovazione digitale prende forma attraverso la trasformazione tecnologica dell’IT e delle strutture organizzative e di processo ma richiede anche una disruption culturale. «Alle organizzazioni è richiesto di sfidare continuamente il proprio status quo. La tendenza a prediligere la reazione al posto della capacità di prevedere mostra una certa carenza di programmazione tipica di una logica che oscilla tra il fatalistico e l’emergenziale. Un atteggiamento che, in un certo senso, ritroviamo anche quando si tratta di scegliere la modalità più adeguata di utilizzo delle risorse economiche in una corretta gestione operativa di un asset aziendale. Infatti, se la spesa di capitale o CaPex – intesa come il costo per sviluppare o fornire asset durevoli per il prodotto o il sistema – è generalmente presa in considerazione – quella operativa o OpEx – da intendersi come il costo necessario per gestire un prodotto, un business o un sistema – non sempre viene compresa appieno o utilizzata – specialmente alle nostre latitudini. I CIO devono metterci del loro ma anche i CFO devono fare un up-grade manageriale per misurare e monitorare le performance di business, anche con nuove metriche e una visione organica dell’azienda».
ARPA Lombardia, approccio progressivo, coraggio e resilienza
Con tre milioni di dipendenti, la Pubblica Amministrazione è la più grande azienda italiana. Tutte le PA centrali e locali devono comprendere che senza trasformazione digitale si influenza negativamente la crescita del Paese. «ARPA significa una rete di quasi cinquemila sensori distribuiti in diverse centinaia di centraline che raccolgono dati meteorologici, geologici e di qualità dell’aria e vengono messi a disposizione in tempo reale alla Protezione Civile per l’allertamento alla popolazione» – spiega Graziella Dilli, responsabile ICT & Sistemi Informativi e CIO di ARPA Lombardia. In ARPA dal 2011, per restare nella metafora motoristica, Graziella Dilli ha girato la chiave della digitalizzazione nel 2013. «Digitalizzare significa spesso cambiare profondamente i processi, con l’obiettivo della semplificazione, ma non sempre si raggiunge l’obiettivo. Lo sforzo per superare barriere culturali e resistenze può vanificare i vantaggi. È quindi indispensabile un approccio progressivo, ma continuo e tenace, sorretto da coraggio e resilienza. Quello che paga è far comprendere il valore del cambiamento anche con il coraggio di fare scelte impopolari». Per quanto riguarda l’annosa questione delle donne nell’ICT, Graziella Dilli non si sente un “panda”: «Nella PA ci sono molte donne ai vertici, molte colleghe ricoprono un ruolo di vertice coniugando ruoli diversi dentro e fuori. Il ruolo dipende anche dalla voglia di mettersi in gioco e delle imprese pubbliche e private di accettare questa sfida. Poche donne nell’ICT? È un dato di fatto ma bisogna iniziare da lontano dalla scuola e dall’educazione. Quello del gender gap è un tema importante su cui mantenere alta l’attenzione. Ma come non si può parlare dei CIO come una unica categoria omogena lo stesso vale anche per le donne».
Brembo, la potenza della fabbrica connessa
Dalla dinamica tra navigatore e pilota emerge un fatto chiaro: «Il navigatore non si sognerebbe mai di sostituirsi al pilota» – afferma Pierpaolo Crovetti, CIO di Brembo. «Migliaia di persone hanno ricordato Ayrton Senna nel 25esimo anniversario della scomparsa. All’epoca, le auto di F1 avevano in dotazione solo un motore endotermico. Oggi, le auto di F1 hanno il KERS, il motogeneratore che recupera l’energia in frenata, ma anche l’ERS, l’energy recovery system. I centri di innovazione all’interno delle organizzazioni devono essere una federazione di centri di sviluppo che devono interagire in modo corretto per dare la potenza massima all’auto. E questa potenza deve essere scaricata a terra, preservando le gomme, andando veloce e assicurando la tenuta di strada. Allora, non è importante discutere su di chi sia il dato, è importante che questi centri di sviluppo lavorino insieme». Dall’altra parte, l’infrastruttura è quella che trasmette la potenza a terra – continua Crovetti. «Ma se le innovazioni applicative funzionano solo nel giro di prova, ma non funzionano durante la gara, allora non servono a nulla. L’infrastruttura è molto più importante perché deve gestire sollecitazioni notevoli e al tempo stesso assicurare continuità, ma dipende dai processi di business di un’azienda. In Brembo, la priorità è la fabbrica. L’infrastruttura è come se fosse un centro di lavoro, assoggettata alle regole della fabbrica. Deve essere sicura, resiliente e garantire la produzione 24 ore al giorno, sette giorni su sette». Allo stesso tempo, deve essere “fluida”: «Il fluido richiama la capillarità, la pervasività ovvero l’infrastruttura si sta estendendo in aree che fino a poco tempo fa non erano oggetto dell’IT, come l’OT, SCADA e così via. L’infrastruttura si estende perché dentro ci sono le competenze e il vero valore aggiunto si ottiene quando l’utilizzatore fa proprie le nuove tecnologie».
D’Amico Shipping, l’IT da parte potenziante a fattore costituente
«La metafora dell’auto da rally è bella e romantica, ma se quella stessa auto viaggiasse a 800 km all’ora, la comunicazione tra pilota e navigatore non basterebbe» – afferma Pietro Amorusi, CIO d’Amico Shipping. «Il pilota sa esattamente dove vuole andare, solo che non si ricorda la strada. Il navigatore è l’elemento potenziante. Ed è il ruolo che i CIO hanno avuto nelle aziende. Adesso non è più così. Dobbiamo capire come aiutare il Business ad arrivare prima. Quindi oltre a parlare la stessa lingua, dobbiamo imparare a pensare insieme. Attualmente, il business è caratterizzato da processi che non sarebbero possibili senza il substrato tecnologico dell’IT, che permea tutte le attività. Continuare a concepire questi due mondi come distinti ci porta fuori strada. L’IT è centrale perché è fattore abilitante e costituente, non più solo amplificatore del business. La terziarizzazione delle parti più tecnologiche dell’IT (IaaS, cloud…) accelera questo processo, lasciando nelle aziende le competenze di più alto livello e più vicine alle logiche di business. E forse, bisogna chiedersi se abbia ancora senso parlare di “Dipartimento IT” e non considerare l’IT come patrimonio interno alle divisioni di business, portando alle estreme conseguenze il concetto di fluidificazione. Ormai l’IT è come la pompa dell’olio del vecchio Citroen DS: senza l’IT non si parte nemmeno. La grande sfida è nell’evoluzione delle professionalità».