Per il Veeam Cloud Data Management Report 2019 la maggior parte delle aziende non è in grado di garantire agli utenti un accesso ininterrotto a dati e applicazioni; la soluzione arriverà con il Cloud Data Management
A margine del VeeamOnTour di Milano, che ha raccolto i principali partner tecnologici e commerciali, e alcuni clienti di Veeam, azienda che opera nel mercato della fornitura di soluzioni backup che abilitano il Cloud Data Management, è stata presentato il Veeam Cloud Data Management Report 2019, una ricerca realizzata dalla britannica Vanson Bourne. Obiettivo dello studio di quest’anno dare la fotografia del mercato del data management andando a capire quali siano le priorità e le sensazioni dei decision maker nei confronti della digital transformation, quali i rischi che vedono e le opportunità di business.
Negli ultimi 10 anni i dati raccolti dalle aziende sono letteralmente esplosi e si stima raggiungeranno entro il 2025 oltre 175 Zettabyte (10 elevato alla 21 byte, un numero enorme); questi dati sono già, ma saranno sempre più, dislocati in fonti varie ed eterogenee (cloud, mobilità, AI e machine learning, edge e IoT), saranno destrutturati ma dovranno essere raccolti da questa pletora di fonti eterogene e messi a disposizione del business.
La ricerca, che ha intervistato 1.575 decision maker di aziende con più di 1.000 impiegati in 13 regioni (in Italia le aziende sentite sono state 125), mostra che, in Italia, il 45% di loro non è in grado di far fronte alla necessità di disponibilità garantita dei dati e il 42% riconosce di avere un gap nella velocità con cui recuperare questi dati (a livello mondiale l’indagine rivela numeri ben più preoccupanti – 73% e 69%). La fiducia nella propria infrastruttura è tutto sommato bassa, soprattutto perché solo il 33% delle aziende italiane intervistate ritiene che le proprie macchine virtuali siano protette a sufficienza (contro il 37% mondiale).
Insomma c’è la consapevolezza di quanto l’infrastruttura IT sia fondamentale per la crescita del business aziendale, con aspettative molto alte – per il 42% dei manager il tempo di downtime non dovrebbe essere superiore ai 15 minuti e per il 50% non può essere tollerato un disservizio superiore a 1 ora – tuttavia la maggior parte di loro è conscio che la sua azienda non è in grado di recuperare i dati abbastanza in fretta, non protegge i dati sufficientemente e vede i suoi progetti IT bloccati a causa di uno status quo – politico, legislativo, aziendale, finanziario.
Come pensano di affrontare, quindi, le sfide della data availability?
Sembra un controsenso ma soltanto l’11% dei leader italiani dice che installare sistemi di gestione dei dati intelligenti sia critico (contro il 44% mondiale) e tutti credono che un approccio sofisticato alla gestione dei dati abbia impatti sul business perché trasforma positivamente i servizi aziendali (per il 44% di loro contro il 52% mondiale) o aumenta la reattività dei clienti (30% contro il 47% WW). D’altra parte un 11% degli intervistati ritiene fondamentale lo sviluppo di queste tecnologie per il successo nei prossimi 2 anni perché l’innovazione potrà portare 124 milioni di dollari addizionali al business aziendale, anche con significativi miglioramenti di produttività (ben il 91%).
Ma allora – la domanda sorge spontanea – perché gli executive sentono che la loro azienda è inadeguata o non è in grado di effettuare la digital transformation?
Per vari motivi ma soprattutto perché – per il 71% di loro – i problemi derivano dalle tecnologie legacy (contro 64% WW), per la mancanza di tempo che impedisce di interrompere i servizi vecchi per innovare l’infrastruttura – il 38% contro il 52% WW – per la mancanza di budget (il 33% italiano contro un 34% mondiale). Il passo successivo, quindi, per gli executive intervistati sarà l’adozione di strutture in cloud, l’aumento delle competenze interne, come pure la cultura verso le nuove tecnologie per far aumentare la fiducia nelle possibilità degli strumenti digitali.
Insomma, per Albert Zammar, VP Semea di Veeam Software, “il CIO dei nostri giorni dovrà essere un broker di soluzioni di cloud e di data management, senza vincolarsi a soluzioni poco flessibili ma puntando sull’apertura e la flessibilità, per mantenere all’interno dell’organizzazione il controllo sui dati, per non rimanere ostaggi della soluzione del vendor”.