Innovation Lab e Big Data Project trasformano paradigmi dirompenti in applicativi concreti, per rispondere a vecchie e nuove esigenze di business
Quando si parla di intelligenza artificiale, machine learning, big data, blockchain, si pensa spesso a contesti difficili, che necessitano di una preparazione specifica anche solo per comprendere i benefici che con questi si possono raggiungere. Eppure, il più ampio panorama dell’Internet delle Cose ha dimostrato che – se lo sviluppo di tecnologie sicuramente complesse richiede un maggiore know-how in fase di ideazione e progettazione – la resa finale può dare concreti vantaggi a un pubblico vasto ed eterogeneo.
Ed è questo uno dei mantra che guida Zucchetti e due delle sue più attive realtà interne al Gruppo: l’Innovation Lab e Big Data Project. Proprio per capire in che modo i due soggetti si inseriscono nell’universo della compagnia lodigiana, abbiamo incontrato Paolo Stella, responsabile Innovation Lab e Alberto Pavesi, responsabile soluzioni IoT di Zucchetti. Potremmo considerare l’Innovation Lab e Big Data Project come due facce della stessa medaglia: il primo, che ha portato nel gruppo nuove competenze su temi quali data science, reti neurali e linguaggio naturale, pensa a soluzioni dirompenti da applicare non solo a mercati verticali; il secondo ha il compito di tradurre tutto ciò in prodotti vendibili, risolvendo problemi che non di rado fanno perdere soldi e tempo alle aziende.
INNOVATION LAB
«Abbiamo dato il via all’Innovation Lab nel 2017» – ci spiega Paolo Stella. «La volontà è sempre stata quella di porsi come team incentrato sulla realizzazione di progetti che sfruttano tecnologie nuove, almeno a livello di offerta applicativa. Non è semplice, perché in molti casi il campo a cui facciamo riferimento – che è quello dell’open source – poggia su linguaggi diversi dai nostri – per esempio Python invece di Java – dunque dietro c’è un grosso lavoro di adattamento e integrazione. La sfida è operativa ma anche concettuale; come il far convivere cloud e on-premise, versatilità ed efficienza, in un Paese – il nostro – dove il grosso degli interventi può riguardare le PMI, non sempre consce delle opportunità ottenibili oggi con piattaforme di nuova generazione».
Nello specifico, l’Innovation Lab si è concentrato su object detection, recommendation system, forecast model, text analysis, chatbot, data lake. Si parla quindi di qualificazione dei dati, informazioni strutturate e non, che cambiano il modo di affrontare certi bisogni, con paradigmi disruptive ma che portano sempre a risultati desiderati, che si tratti di ottimizzazione dei costi, accelerazione della produzione, fidelizzazione dei collaboratori. «Diamo grande importanza ai modelli di raccomandazione che, da informazioni storiche, riescono a mettere in piedi un sistema di apprendimento capace di individuare fenomeni e da questi fornire risposte predittive, guidando i suggerimenti. Ma anche l’evoluzione della tradizionale semantica in motori di cognizione del contesto, che canalizzano le email o producono una risposta automatica» – continua Stella. «E così i chatbot, il cui utilizzo è in aumento anche nel largo consumo sebbene sia sempre utile distinguere quelli deterministici, che seguono linee conversazionali ben precise, e quelli realmente intelligenti, in grado di auto apprendere mediante l’esperienza di utilizzo».
BIG DATA PROJECT
Una delle dimostrazioni del lavoro di concerto che Lab e IoT portano avanti è il Big Data Project, di cui ci parla Alberto Pavesi. «Il mondo Zucchetti fonda buona parte della sua storia sulla verticalità dell’offerta. L’idea di Big Data Project è permettere a un’organizzazione di usare i dati che già possiede, integrandoli con altri ottenuti dalle più varie fonti, donando una qualità superiore attraverso un algoritmo che consente di reinterpretarli per ricavare informazioni di business diverse dai motivi per i quali sono stati generati. Il servizio può essere acquistato in SaaS oppure on premise, qualora il cliente preferisca mantenere i dati in house. Così si usano informazioni notoriamente passive che prendono vita e comunicano tra di loro. Se aggiungiamo la convenienza della scalabilità del cloud e il supporto dell’open-source, Big Data Project si pone come abilitatore unico di tecnologia, che apre a una comprensione allargata del business, non solo come monitoraggio delle operazioni ma miglioramento dei flussi produttivi, nel pieno rispetto delle policy continentali».
Foto di Gabriele Sandrini