Le infrastrutture (ibride) per il Finance 4.0

Le infrastrutture (ibride) per il Finance 4.0

Il punto sulla trasformazione digitale nel finance. Banche, assicurazioni e società finanziarie davanti alla sfida della transformation, l’adeguamento alle nuove architetture applicative e alla crescita dei dati che diventano sempre più Big e lo sforzo per metabolizzare il legacy, in piena sicurezza

La tematica dell’innovazione nel settore finanziario non può che essere un argomento ricorrente alle tavole rotonde di Data Manager. Multicanalità, user experience, diversificazione di prodotto e di mercato, concorrenza cross-sector, ecosistemi di pagamento sempre più aperti, compliance, liberalizzazione, normative, coopetition con i mondi fintech e insurtech, nuove competenze e nuovi modelli nelle organizzazioni, nel lavoro di squadra, nella gestione dei talenti, sicurezza, nuove architetture infrastrutturali e applicative. Ciascuno di questi numerosi sottotemi porta con sé una sfida da affrontare per gli istituti bancari e assicurativi, innovatori per natura e tradizione che oggi hanno una motivazione in più: venire incontro a una clientela che ama Internet, i suoi servizi e il livello di diversificazione e disintermediazione che questi servizi rappresentano.

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A fare quasi da contrappeso alle spinte verso il cambiamento, c’è – e non si può non tenerne conto – il complicarsi del quadro congiunturale nazionale e internazionale, che va a erodere l’ottimismo e la stabilità che potrebbero favorire la trasformazione. È come se 20 anni dopo la fatidica svolta dell’anno 2000, il settore finanziario stesse affrontando, per fortuna in un diverso clima di consapevolezza, un nuovo Millennium bug. L’ennesimo punto di svolta da affrontare con una buona dose di certezze in più – pensiamo per esempio all’ormai consolidata esperienza in materia di Internet o di paradigmi del cloud computing. Ma anche con la consapevolezza delle incognite che dovremo risolvere se davvero l’obiettivo è riuscire a metabolizzare in modo efficace una informatica radicalmente cambiata rispetto alle prime fasi sperimentate con la virtualizzazione e le Web application. Come reagirà l’industria finanziaria alla piena maturazione dell’offerta di infrastrutture iperconvergenti, dei modelli di sviluppo connessi, della necessità di mettere in sicurezza un business sempre meno caratterizzato da limiti di spazio e tempo?

FLESSIBILITÀ E SCALABILITÀ

Continuano a valere per il resto le annotazioni che Data Manager proponeva in occasione di una analoga tavola rotonda nove mesi fa. Il settore finance deve poter contare su infrastrutture informatiche e “factory” software sempre più flessibili e scalabili, capaci di accorciare il ciclo di ideazione e messa in produzione dei nuovi servizi. Contemporaneamente, una analoga flessibilità deve caratterizzare l’aspetto organizzativo, l’interdisciplinarietà (e la rapidità) delle decisioni, le modalità del lavoro e delle relazioni, all’interno come verso l’esterno, la formazione e l’acquisizione delle competenze interne, il marketing dei nuovi servizi, il costante fenomeno del consolidamento di piccoli e grandi gruppi. E infine, tutto il colossale aspetto della regolamentazione e della compliance. Un contesto certamente creato per costruire una cintura di sicurezza intorno all’operatività e alla buona salute degli istituti, dei loro investimenti e del credito, ma che certo non toglie complessità al governo della trasformazione. Come di consueto, la discussione aperta e interattiva si è spontaneamente sviluppata intorno a una serie di spunti di riflessione proposti agli interlocutori. Chiamati questa volta a prendere in esame la sfida del software defined everything nella orchestrazione e nell’operatività delle infrastrutture. Agli interlocutori seduti al tavolo, era stato suggerito di affrontare il tema con una duplice attenzione – sia rispetto agli effetti che la piena flessibilità nell’allocazione delle risorse (iperconvergenza) può avere sugli aspetti dello sviluppo di applicazioni e servizi, il testing e la messa in produzione (DevOps) attraverso l’uso di modelli sempre più innovativi (container, serverless, microservizi) – sia sul piano dell’organizzazione dei processi decisionali e del lavoro. Anche la governance di Big data, IoT, analytics rappresenta un potente fattore di accelerazione e trasformazione delle tipologie di servizio e del marketing nei confronti della clientela. I partecipanti alla tavola si sono espressi anche a questo proposito, cercando in particolare di dare le prime risposte in ordine al ruolo che stanno assumendo tecnologie come l’intelligenza artificiale e il machine learning nel “domare” la tigre del dato e il suo immenso potenziale di valore.

SICUREZZA COME SUBSTRATO

Interlacciato con la problematica del dato, c’è infine un terzo capitolo di discussione dedicato alla sicurezza come substrato che le normative vogliono sempre più “by design” e conforme ai regolamenti. La protezione dell’integrità e della riservatezza del dato viene sempre più vissuta sia in chiave di sicurezza integrata sul piano delle barriere logiche e fisiche, sia in chiave predittiva. Il che induce a chiedersi come cambia la sicurezza in banca di fronte a una capacità di attacco sempre più mirata sul valore dell’informazione e sulle vulnerabilità di sistemi e persone; e quale contributo possiamo aspettarci anche in tale contesto dall’intelligenza artificiale. Nel suo breve discorso di inquadramento, Diego Pandolfi, research & consulting manager di IDC Italia afferma che la digitalizzazione basata sulle tecnologie della cosiddetta Terza piattaforma sta entrando a pieno regime nelle funzioni e nei processi, non solo dell’IT ma in aree specifiche come le HR e l’organizzazione del lavoro, attingendo alle aree applicative che IDC raggruppa nella definizione degli innovation accelerators (dalla robotica, all’intelligenza artificiale, passando per la realtà aumentata o la stampa 3D). «Le parole chiave del cambiamento sui mercati finanziari retail raccontano di fenomeni determinati anche dal nuovo assetto normativo» – spiega Pandolfi. Open banking, open API, instant payments, instant lending, offerta personalizzata, digital onboarding, automated credit scoring e così via. «Il dato è sempre più centrale in queste strategie di innovazione, in parte anche per la possibilità di dar luogo a veri e propri ecosistemi, anche in partecipazione con attori di provenienza extra-settore per ricavare valore non solo dalla tradizionale conoscenza interna del cliente». Una centralità – aggiunge Pandolfi – confermata dalle ricerche IDC su scala europea. Alla domanda su quali iniziative faranno da collettore dei maggiori investimenti, le aziende finanziare mettono al primo posto big data e analytics e le cloud applications, in misura superiore alle medie degli altri settori. E in Italia? «Se la voce riduzione e controllo dei costi rimane sempre al primo posto, spicca la priorità data al terzetto costituito dall’innovazione delle infrastrutture e dei data center, dal miglioramento della sicurezza dei sistemi, e dall’automazione/ottimizzazione dei processi». A conferma del primato che le infrastrutture e la loro protezione tornano ad avere nell’epoca del software defined everything.

LA QUESTIONE INFRASTRUTTURALE

Il software defined everything entra in banca. «La partita dei dati richiede nuove capacità infrastrutturali e modelli applicativi» – afferma Pandolfi, preconizzando un’ondata di fervore in ambiti come l’aggiornamento dei sistemi di storage, la data integration, data analytics, gli aspetti di data collection/capture (e ripercussioni nel campo dell’IoT fissa e mobile, della sensoristica, del mobile web) e la data automation. Per entità economica – conclude l’analista IDC – le cinque “top priorities” dell’IT bancario in Italia vanno in ordine decrescente di investimento alla sicurezza, alle applicazioni core, alle applicazioni per i dispositivi mobili, alle soluzioni per la virtualizzazione SDx e allo storage, con grande interesse nei confronti di tecnologie all flash, hybrid flash array e così via. Sulla questione infrastrutturale rompe il ghiaccio Credem Banca, con l’intervento del CIO Mauro Torelli. L’istituto emiliano sta dedicando molta attenzione alla sperimentazione delle tecnologie citate da Pandolfi, con nuovi ruoli preposti in modo specifico all’innovazione, attraverso un sistema che “premia” le proposte giudicate più interessanti, anche dal punto di vista della fattibilità, dando inoltre ampia visibilità ai progetti attraverso i canali social interni. «Il nostro primo obiettivo – sottolinea Torelli – è stato quello di rendicontare gli asset infrastrutturali posseduti per verificare il loro grado di prontezza nell’abbracciare i nuovi paradigmi». In tutte le banche per così dire “classiche” è necessario fare i conti con lunghi anni di legacy architetturale e procedurale. Legacy che ha sempre garantito continuità e crescita. «A fronte della scarsa prevedibilità dei modelli che si imporranno alla fine – aggiunge il CIO di Credem – riteniamo più opportuno lavorare sulle architetture esistenti. Negli ultimi tre anni, lo sforzo si è concentrato sul disaccoppiamento delle architetture legacy soprattutto rispetto al canale di vendita. Cambiare il legacy di una banca è come sostituire il motore di una moto in curva, non lo si può fare in modo immediato».

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SCARICARE A TERRA L’INNOVAZIONE

Fabio Picena, responsabile Innovation Factory direzione sistemi di Agos osserva al proposito che il punto più debole della catena della trasformazione digitale si è rivelato il raccordo tra le due anime, business e IT dell’azienda. I colli di bottiglia sono comparsi – spiega Picena – in occasione del lavoro di sperimentazione svolto proprio in ambito intelligenza artificiale e cognitive computing. «Una volta assegnato un determinato compito, la gestione del modello stage-gate finiva per rallentare tutto». Da qui la decisione di costituire un team affidato allo stesso Picena, che è incaricato di operare in sinergia con il team di innovatori in quella che il manager chiama “fase di messa a terra” delle novità proposte. «In pratica un team è dedicato ai concept del cambiamento, sui prototipi interveniamo noi. Il generico supporto IT che veniva fornito in passato – riconosce Picena – non era sufficiente a rendere concreti i progetti di innovazione e i loro benefici». Un mindset molto simile si ritrova in Ergo Insurance – come racconta Alexandrina Scorbureanu, group head of projects and overarching activities. Il nuovo CEO, nominato qualche anno fa, ha voluto creare una sorta di competitor interno dell’IT tradizionale, una “digital venture” che ha portato avanti progetti sempre più importanti. A capo di questa vera e propria startup interna è stato chiamato un esperto del mondo delle telecomunicazioni che già all’inizio ha potuto contare su una squadra di una trentina di persone. L’entità è completamente autonoma – spiega Alexandrina Scorbureanu – e il suo CEO riporta direttamente, come del resto il CIO, al CEO di gruppo. «La newco poggia su quattro pillar funzionali» – afferma subito la responsabile dei progetti Ergo. «Oltre ad acquisire nuove startup all’esterno, il gruppo si occupa direttamente della trasformazione digitale, con programmatori impegnati soprattutto nello sviluppo di soluzioni bot e di machine learning. Una sua articolazione è anche sul mercato, attraverso la compagnia all-digital Nexible, focalizzata sul prodotto RC auto. Gestita da una ventina di persone, Nexible ha generato 30mila clienti a un anno dal lancio e utilizza metodologie Agile. Infine, c’è il quarto pilastro costituito dalle soluzioni per la mobilità, dove vengono esplorati modelli di business davvero alternativi in collaborazione con case automobilistiche».

IL MODELLO DELLA DIGITAL COMPANY

L’impatto sul rapporto di Ergo con le tecnologie è già notevole. Secondo Alexandrina Scorbureanu, la digital company ha moltiplicato il numero di clienti interni. Tanto che il potenziale cliente interno e lo stesso CFO di gruppo – oggi per prima cosa – devono decidere se rivolgersi all’IT tradizionale o alla nuova fabbrica digitale. Il racconto dell’esperienza del grande gruppo assicurativo tedesco rende la discussione ancora più vivace, con Picena di Agos, che ribadisce l’interesse nei confronti del modello newco anche da parte della sua società finanziaria, concentrata finora sulla parte di ammodernamento del core tecnologico. Picena – tuttavia – pone anche un interrogativo non banale: «Solo ora cominciamo a porci in una logica parallela di newco digitale, ma se la digital venture diventa troppo veloce e avanzata, che cosa fa tutto il resto»? In modo non dissimile da Ergo, interviene a questo punto Simona Squaglia, responsabile CRM analitico, direzione marketing e pianificazione commerciale di UnipolSai Assicurazioni, l’azienda italiana ha lanciato una società di servizio che copre aree tipicamente basate sulla comunicazione e l’integrazione dei dati. Per esempio – spiega Simona Squaglia – nello studio di nuove app inserite nel contesto degli strumenti di pagamento. «Nata da circa un anno e mezzo, questa nuova realtà è ancora in fase di startup e svolge attività di co-marketing per individuare nuovi canali di vendita alternativi alla tradizionale rete di agenzie» – che evidentemente conserva un peso ancora determinante nell’azione commerciale di UnipolSai. «Al momento tutti i nostri canali sono fisici, nessuno dei nuovi touchpoint digitali è ancora stato ufficialmente abilitato, anche se gli investimenti proseguiranno con i nuovi partner già individuati». Simona Squaglia cita in particolare un nuovo prodotto basato su device che tuttavia richiede una capacità di integrazione difficile da ottenere su sistemi legacy tra l’altro stratificati nel corso del tempo e delle successive acquisizioni. «Il workaround utilizzato poggia su gateway-robotizzati che forniranno il necessario grado di integrazione verso i sistemi legacy» – spiega Simona Squaglia, interessata al progetto in veste di responsabile dell’innovazione analitica in UnipolSai.

Il tema sollevato, tutt’altro che banale, mostra che la trasformazione delle infrastrutture IT è un indispensabile presupposto di cambiamento e adeguamento non solo rispetto ai nuovi paradigmi applicativi, alla diverse architetture del software, ma soprattutto in relazione a un nuovo modo di estrarre valore dalle informazioni. Tra l’altro, non è neppure detto che la trasformazione di un singolo player sia sufficiente. Quasi in solidarietà con la collega di UnipolSai, Alexandrina Scorbureanu di Ergo interviene a questo proposito per condividere l’esperienza negativa registrata da un nuovo prodotto mirato alla copertura assicurativa della casa. Anch’esso era centrato intorno a un dispositivo di domotica, che la digital venture di Ergo ha sviluppato in collaborazione con Deutsche Telekom per la vendita combinata di soluzioni da parte delle rispettive reti commerciali. «Il dispositivo – abbinato a una polizza per i danni alle tubature idrauliche, una tipologia molto diffusa in Germania – prevedeva anche l’installazione nell’abitazione dell’assicurato, ma a più di un anno dal lancio non abbiamo risultati di rilievo. Innanzitutto, perché il segmento di posizionamento non era azzeccato. Ma c’erano anche difficoltà di dialogo a livello delle rispettive piattaforme IT tra le agenzie Ergo, i negozi di Deutsche Telekom e i sistemi delle autorità fiscali. Oggi, l’idea è robotizzare questa integrazione» – conclude Alexandrina Scorbureanu, lasciandoci una vivida testimonianza sull’importanza del fattore “ecosistema” e sulla necessità di assicurare una sufficiente modernizzazione, estesa a tutti gli stakeholder, di prodotti e soluzioni che nascono – e sono sempre più numerosi – nel contesto di complesse partnership.

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NUOVI SERVIZI E MERCATI

In altre situazioni – osserva a sua volta Simona Squaglia – il mancato successo è causato dalle modalità di ingresso sul mercato. «Anche UnipolSai ha una propria società rivolta a prodotti e servizi telematici. Se nel ramo auto abbiamo discreti livelli di penetrazione è perché la nostra offerta include il servizio di installazione. Notiamo che al contrario per analoghi prodotti rivolti alla protezione della casa o degli animali domestici, la vendita non prevede questo tipo di assistenza e questo tipo di soluzione ha forti tassi di abbandono». Restano, sugli aspetti infrastrutturali, le esperienze di Banca Mediolanum e UBI Banca. La prima, rappresentata al tavolo da Andrea Baiguini, head of enterprise architecture e data management, può contare su una propria divisione di innovazione, dedicata in particolare al lancio di prodotti e all’apertura verso mondi esterni come il fintech. «Anche l’IT deve cambiare, ma il problema è farlo tutti insieme. Abbiamo affrontato tematiche come il DevOps, le architetture software defined, i container. Ma poi si tratta di trasferire tutto alle cosiddette daily operations, alla quotidianità, alla messa in produzione». L’innovazione per Baiguini deve essere soprattutto un modello evolutivo culturale. «C’è un tema di skill trasversali, e uno che riguarda i modelli organizzativi. Oggi, si parla di paradigmi di sviluppo “agili”, ma il resto dell’azienda è ancora focalizzata su un modello di rilascio tradizionale». Le divisioni di business, commenta ancora Baiguini, assicurano una buona spinta quando si parla di marketing. «In altri ambiti, noi dell’IT cerchiamo di adottare modelli innovativi e renderli sempre più pervasivi».

Un comportamento che trova ancora una volta Alexandrina Scorbureanu di Ergo, particolarmente solidale. A proposito di interfaccia, di terreno comune tra IT e Business, come responsabile di processi che sono alla base di nuovi prodotti, anche lei afferma di avere la necessità di adottare modalità più al passo coi tempi come lo sviluppo agile. E per risolvere il problema di trasferimento culturale individuato da Baiguini, ha chiesto ai colleghi dell’IT di fornire un training su “come pensare” agile e – «oggi, c’è una cross-fertilization, un mix di competenze che ruota intorno alla cultura agile e ha il compito di spiegare al Business, che non era abituato a pensare in quest’ottica, che cosa vuol dire essere agili».

L’ELEFANTE NELLA STANZA

Come per tutti i cambiamenti che sono in primo luogo culturali – «di testa» – è però complicato stabilire metodi e soprattutto tempi definiti. Nella esperienza di Credem riportata da Mauro Torelli, è sempre faticoso cercare di esportare i modelli Agile dal puro ambito IT verso l’intera catena di processo del Business. «C’è una resistenza anche in termini di fiducia, per cui si cerca di introdurre il cambiamento nei processi mirati, agendo per esempio su specifici canali di vendita» – sottolinea il CIO. E il suo collega Baiguini di Banca Mediolanum aggiunge, tra i fattori di freno – «quel senso di inerzia» – che spinge a “fare le cose” come in passato semplicemente perché è ancora possibile, in certi casi, facendo a meno di modelli architetturali più moderni. «In Mediolanum, per esempio non ci sono modifiche, anche organizzative, radicali. Si procede sempre per piccoli passi. A volte, mi chiedo se l’elefante nella stanza che ci ostiniamo a non vedere è proprio quella voce prioritaria di cui parlava IDC, l’eterno obiettivo della riduzione dei costi. Partiamo da un problema di innovazione, quando in realtà potrebbe essere una questione di riduzione dei costi. Dopo tutto, virtualizzare le infrastrutture ci permette di abbattere i tempi di provisioning».

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Dalla discussione, emerge la descrizione di un mondo che ha compiuto e sta compiendo molti passi avanti, ma a causa delle sue pesanti eredità si trova ancora in una fase di passaggio. Picena di Agos, usa al proposito una metafora molto efficace: «Sono almeno diciotto mesi che lavoriamo sulla ridefinizione della nostra architettura con un obiettivo di “microservicing”. Tutto è pronto sul piano teorico, ora si tratta di rendere fruibile la cosa. Come fa questa nuova pianta rampicante a ricoprire definitivamente quello che c’era prima? Il pensiero di base è di non cambiare il proprio modello organizzativo se prima non si hanno spalle infrastrutturali abbastanza larghe per sostenerlo». La lezione che arriva da Fabio Gianotti, chief security officer di UBI Sistemi e Servizi apre però molte nuove prospettive, persino in un ambito, quello finanziario-contabile, che sembrava essersi fermato alla dualità CapEx/OpEx ridefinita dall’avvento dell’IT “as a service”. Gianotti dice di sentirsi come un – «man in the middle» – l’intermediario rispetto a IT e linee prodotti. Il capo dell’IT governance in UBI, contando su una lunga esperienza nel settore delle telecomunicazioni, afferma di aver portato nell’ambiente finanziario una ventata di “biodiversità”. Il semplice passaggio a Office 365 e lo spostamento dello storage sul cloud dimostrano che la trasformazione è possibile. «Attraverso il modello di servizio CASB (cloud access security broker) per la protezione degli accessi ai servizi cloud, abbiamo fatto leva sulla sicurezza per trasformare l’IT in ottica business driven, perfettamente utilizzabile. Abbiamo creato un sistema di federazione verso i servizi esterni, ci preoccupiamo in primis di avere servizi IaaS, PaaS e SaaS tutti federati nella nostra infrastruttura. Le applicazioni seguono i profili che definiamo noi: basta già questo a mettere in discussione una IT tradizionale».

LA CONTABILITÀ DEL CLOUD

UBI Banca sta lavorando anche sul fronte dell’adeguamento delle infrastrutture legacy. «Si trovano routine che permettono di incapsulare in Java il vecchio codice COBOL» – precisa ancora Gianotti. Tre anni fa, parlare di container era impossibile, oggi posso dire di avere implementato un primo pezzo in questa direzione». E rispondendo a una domanda relativa alla contabilizzazione dei costi dei sistemi in cloud – che calcolati come pura spesa in conto operativo rischiano di costare più degli equivalenti fisici – Gianotti fa riferimento a principi legali che il CFO di UBI Banca applica per contabilizzare in conto capitale parte degli investimenti in cloud. Far leva sulla sicurezza come fattore abilitante lungo l’intera filiera della trasformazione è un argomento che affascina Luca Nilo Livrieri, sales engineering manager di Forcepoint Italy & Iberia, società di sicurezza del gruppo americano Raytheon. «Mi trovo assolutamente in questi paradigmi di migrazione dal semplice SaaS alle infrastrutture as a service. La soluzione CASB di Forcepoint permette di accedere alle risorse residenti su Internet in modalità proxy e nel caso di una banca britannica serve già per mettere in sicurezza le attività di mobile banking di un milione di clienti. Con un duplice focus su chi accede dall’esterno ai suoi conti e dall’interno della banca alle applicazioni business». Tutta la tematica della security cloud based è molto sentita in questo momento – conclude Livrieri – sottolineandone i vantaggi per il cliente anche in termini di livelli di servizio più elevati.

Gabriele Obino, Italy country manager di Denodo, azienda che offre una innovativa piattaforma di virtualizzazione dei dati, pone una analogia tra centralità della sicurezza e centralità del dato. «Mi piace il paradigma di una sicurezza capace di essere trasformativa. Vale lo stesso per lo strato di disaccoppiamento che Denodo inserisce tra chi utilizza le informazioni per il business e chi invece deve governarle dal punto di vista informatico, assicurando grande semplificazione e riduzione di tempi e costi». La discussione si avvia alla conclusione con i racconti di UnipolSai e Ergo sul versante big data e analytics. Entrambe stanno sperimentando il concetto di data lake, che affianca con gradualità il tradizionale approccio del data warehouse alla business intelligence. Per Unipol, tra i primi esperimenti c’è un sistema che supporterà il contatto con potenziali clienti fornendo informazioni in real-time e un altro test di profilazione della base clienti attraverso algoritmi di machine learning. Secondo Alexandrina Scorbureanu di Ergo, il lavoro dei data scientist deve essere preceduto da un solido lavoro sull’infrastruttura di supporto ai data lake, attività su cui il Gruppo si sta concentrando. Gabriele Obino cita la collaborazione con un gruppo bancario che utilizza Denodo per facilitare la convivenza tra un data warehouse convenzionale e la sperimentazione nel campo dei data lake. «Il punto è individuare la tecnologia che permetta di accelerare e liberare risorse tecniche da tradurre in innovazione e cambiamento. Altrimenti, si rischia di perdere le quote di mercato erose dalla concorrenza con le fintech, più veloci e capaci di cogliere il momento opportuno».


Le videointerviste ai protagonisti

Gabriele Obino (Denodo): i vantaggi della virtualizzazione

Luca Livrieri (Forcepoint): la sicurezza abilitatore del business