Che cosa significa veramente essere una data-driven company? Strategia, modelli di business, competenze e tecnologia abilitante. L’analisi dei dati è una priorità per le imprese italiane, che proseguono il percorso di trasformazione digitale. Ma non può esserci data economy senza data security
Le organizzazioni complesse da sempre prendono decisioni partendo dai dati. O quantomeno, cercano di farlo utilizzando gli strumenti disponibili. Non è una novità. Ma che cosa è veramente cambiato? E che differenza c’è tra un’azienda data informed e una data driven? IDC definisce Global DataSphere la quantità di nuovi dati creati ogni anno che si prevede crescerà con un tasso di crescita annuale composto del 25,8% nel periodo 2018-2023, arrivando a 102,6 ZB di nuovi dati nel 2023 rispetto ai 32,6 ZB del 2018, come ci spiega Diego Pandolfi, research & consulting manager di IDC Italia. «Il DataSphere Consumer cresce del 22,1% mentre il DataSphere Enterprise del 28,8%. Entro il 2023, le imprese saranno responsabili del 59,4% della creazione di tutti i dati, attraverso infrastrutture aziendali tradizionali come supercomputer, server, ATM, chioschi, oltre a tutti i dispositivi aziendali, come i PC aziendali, i telefoni e i tablet». Per questi motivi, la data governance ha assunto un ruolo centrale nell’economia digitale: «Sempre più spesso le decisioni aziendali vengono prese tramite sistemi automatizzati – analytics, algoritmi e intelligenza artificiale – che richiedono dati di alta qualità per ottenere buoni risultati. CIO e CDO stanno adottando un approccio pragmatico alla data governance rendendola prerequisito fondamentale per l’impresa data-driven».
CHE COS’È UN’AZIENDA DATA DRIVEN?
Secondo Enrico Cecchi, research & development area manager di Fabricalab, possiamo definire data driven – «un’azienda in cui l’informazione è accessibile a tutti, che utilizza i dati per qualunque decisione a tutti i livelli organizzativi, ma soprattutto, un’impresa che considera i dati come fattore chiave del successo del proprio business. Oggi, è consolidato e diffuso nelle aziende l’utilizzo di descriptive analytics basato essenzialmente sulla statistica descrittiva. «Quello che in più si richiede a una data driven company è l’utilizzo di analytics, a supporto delle decisioni, basati su strumenti di statistica inferenziale che siano – predictive – per la capacità di previsione – prescriptive – per il suggerimento decisionale – e automated – per l’automatizzazione delle decisioni». Gli analytics vengono usati sia su dati aziendali sia su dati provenienti da fonti esterne, come racconta Paola Pomi, AD di Sinfo One. «In campo economico, si sta dando sempre più valore ai dati in possesso delle singole aziende, in taluni casi sono parte della valutazione economica dell’azienda stessa, al pari delle analisi legate allo stato patrimoniale e al conto economico. Avere i giusti dati, con il corretto tempismo, è cruciale non tanto e non solo per l’oggi, ma per il futuro delle aziende. In alcuni casi, ci si trova addirittura di fronte ad aziende che hanno rinnovato il loro business e il modo in cui vengono prese le decisioni – sul prodotto finale, o il servizio al cliente – grazie proprio ai dati a disposizione». In molti casi, le imprese data driven non hanno solo dati provenienti dalle fonti tradizionali – ERP, CRM, etc. – ma si sono dotate di dati “nuovi” la cui genesi è a volte esterna al perimetro aziendale. «Sono questi i casi in cui le aziende hanno potuto attingere a big data, a dati IoT, o a fonti dati acquistate dal mercato quali fonti Nielsen o IRI. Ognuna di queste “nuove fonti” – continua Paola Pomi – integrate con i dati interni, può aprire nuove opportunità. Grazie per esempio alla possibilità di accesso ai dati Amazon sugli acquisti relativi ai propri prodotti – fatti online dai consumatori finali che hanno le nostre carte fedeltà – si possono studiare comportamenti e preferenze dei consumatori e, a fronte delle tendenze rilevate, decidere se investire sull’apertura di punti vendita aggiuntivi o focalizzare gli investimenti sulle promozioni online».
VALORE CONDIVISO E AGGREGATO
I dati hanno più valore se aggregati e non separati tra le diverse business unit aziendali. È quanto descrive Vincenzo Costantino, director EMEA South Technical Services di Commvault. «Nel corso degli ultimi anni, si è assistito a una progressiva presa d’atto della importanza dei dati, passando da una gestione segmentata per business unit a una sempre più condivisa e aggregata, che ha portato alla nascita dei cosiddetti data lake. I benefici sono stati numerosi, da un punto di vista puramente infrastrutturale, riducendo i costi e permettendo alle varie funzioni aziendali di condividere la medesima infrastruttura – e quindi gli investimenti – facendo economia di scala». Questo approccio però è ben lontano dalla gestione ottimale di un’azienda “data driven”, mette in evidenza Costantino. «Il passo successivo permette di estrarre valore dai dati in forma aggregata e di utilizzarli costantemente a supporto dell’attività e come stimolo per nuovi processi di business e opportunità di innovazione». Un’ulteriore considerazione relativa ai data lake consiste nel dover definire processi aziendali molto precisi per la raccolta e la conservazione dei dati. Infatti – «accumulare inutilmente informazioni» – in molti casi copia di dati già presenti in azienda – «appesantisce la gestione dell’infrastruttura e rende ulteriormente complicata la ricerca in modo aggregato e l’e-discovery, rischiando di perdere il controllo della situazione. L’azienda data driven è sostanzialmente ben strutturata con processi precisi per la ricezione, memorizzazione, gestione e retention dei dati». In tale ambito – «diventano fondamentali soluzioni che garantiscano data protection e backup adeguati, e che permettano di indicizzare il contenuto di tutte le varie fonti e di classificarle e gestirne la conservazione in modo automatico». Infine – «le tecnologie legate al machine learning permettono di stabilire un comportamento specifico per la propria attività in grado di adattarsi a quelli considerati normali per l’azienda, notificando situazioni considerate “strane” o potenzialmente pericolose, magari legate a cyber attacchi».
L’ARCHITETTURA IDEALE
Per gestire un’azienda data driven bisogna dotarsi dei giusti supporti informatici. Secondo Cecchi di Fabricalab, l’architettura ideale di supporto a una azienda data driven deve prevedere strumenti di data integration – «per l’acquisizione di dati da fonti strutturate e destrutturate, capaci di interfacciarsi con data stream provenienti dal mondo IoT e dal mondo Big Data» – data lake scalabili – «per lo storage del dato, corredato con uno strato computazionale altresì fortemente scalabile in termini di potenza di calcolo» – data warehouse – «per la centralizzazione e pubblicazione dell’informazione» – e smart application layer – «dove rendere disponibili le funzionalità di advanced analytics». Le aziende devono gestire reti sempre più complesse per supportare i diversi device in uso. La crescita esplosiva dei dati – spiega Andrea Ruscica, thought leader e presidente di Altea Federation – è accompagnata da un proliferare di tecnologie a sostegno della produttività individuale e aziendale. «Reparti produttivi sono attraversati da correnti tecnologiche di grande impatto, come sistemi di Industrial Internet of Things che raccolgono e producono dati sugli output e sulle fasi di lavorazione, per ottimizzare e digitalizzare i processi lungo tutta la supply chain. Device mobili perennemente connessi rendono la rete una struttura soggetta a forte elasticità, tra picchi di utilizzo estremo e zone di comfort che richiedono però parità di prestazione. Diversi tipi di dati e diversi tipi di repository, a volte in cloud o meglio in multi-cloud, altre volte in data center, danno forma alla struttura architettonica dell’intero environment. Queste sono le architetture ibride, le così dette Hybrid IT, per cui un’organizzazione fornisce e gestisce alcune risorse IT in-house, ma usa servizi cloud-based per altre. Ciò che rimane centralizzata è però la governance dell’IT».
Servono strumenti adeguati anche per analizzare i dati. «Un’impresa è prodotto, mercato ma soprattutto organizzazione» – come racconta Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia. «Per crescere ha bisogno di informazioni accessibili e strutturate per mettere ogni dipendente nelle migliori condizioni di ottenere il sostegno generato da dati e informazioni». Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia ha ampliato il concetto di gestione aziendale verso ogni suo aspetto operativo, contabile e non. «La gestione dei contatti, clienti, potenziali tali o fornitori – continua Angeleri – è un’attività tra le più importanti per la vita e lo sviluppo di un’impresa. Abbiamo dunque sviluppato il concetto di digitalizzazione delle informazioni provenienti dalle attività di contatto e relazione, sistematizzandole e rendendole fruibili in ambito ERP. Il nostro solido ed efficace gestionale Arca EVOLUTION viene completato e arricchito da Arca Gestione Processi, una soluzione particolarmente dedicata alle PMI industriali e commerciali, che organizza i processi interni extra contabili dell’azienda. La soluzione consente una gestione delle attività che ruotano attorno al cliente – commerciali, amministrative, reclami, di assistenza – centralizzata e condivisa con tutta l’azienda».
THINK BIG, START SMALL
La digital transformation è un processo complesso, perché coinvolge aspetti organizzativi e tecnologici. Quali sono i passi fondamentali per portare a termine un progetto di successo? Secondo Massimo Ruffolo, fondatore di Altilia e ricercatore ICAR-CNR, la digital transformation è di successo se l’innovazione contamina l’azienda in tutte le sue dimensioni. «Lavorando accanto ai clienti rileviamo che si arriva più facilmente a buon fine se gli sforzi investono in egual misura gli aspetti tecnologici e quelli organizzativi». Per le aziende più grandi è utile un approccio “think big, start small”. «Individuato un processo target di alto valore strategico – spiega Ruffolo – si costruisce l’infrastruttura tecnologica e si definiscono i comportamenti organizzativi da adottare affinché quel processo diventi realmente data-driven. Dal pilota validato, si scala verso processi sempre più ampi e complessi, dando forma a una nuova cultura aziendale. Ci sono elementi capaci di fare la differenza sulla qualità del risultato. Primo la competenza e il ricorso a esperti, meglio se aziende tipo startup, predisposte per mentalità all’open innovation che conferisce efficacia e agilità». Inoltre, i progetti vanno strutturati in modo da combattere la resistenza al cambiamento. «Una sponsorship chiara che fluisce dai livelli manageriali più alti – continua Ruffolo – permette di rompere i silos organizzativi e garantisce libertà cross-function al gruppo di trasformazione digitale che può, così, affiancare gli utenti finali e calarsi nello specifico processo di business. Il tutto supportato da architetture e tecnologie data-centric, per una completa disponibilità dei dati dove e quando servono».
Anche per Francesco Stolfo, vice president business development di ToolsGroup bisogna partire dai processi. Il modello data driven deve partire da un disegno dei processi da ottimizzare: «La vera innovazione è il supporto di tipo decisionale dalle macchine (AI, machine learning, deep learning…). I processi sono quelli che richiedono decisioni operative e non solo strategiche. In passato, i dati erano di supporto alle decisioni strategiche di monitoraggio e analisi. Oggi, l’uso è rivolto all’automatizzazione dei processi decisionali quotidiani. I passi fondamentali sono definire i processi, individuare i dati disponibili, all’interno e all’esterno dell’azienda (non solo quelli “strutturati”), nominare un “data manager” responsabile del corretto flusso. Un nostro caso recente è quello di un distributore di prodotti farmaceutici, che è riuscito a gestire in automatico il 100% delle microdecisioni legate al processo giornaliero di riordino di tutti i punti vendita. Più di 45mila decisioni al giorno sono delegate alle macchine, mentre gli utenti si limitano a definire gli obiettivi e monitorare l’andamento. È un risultato eccezionale: la letteratura riporta che il livello di automazione raggiunge al massimo il 90%».
Premesso che un progetto è di successo non quando sono disponibili gli strumenti infrastrutturali e applicativi, ma quando il business aziendale trova vantaggio competitivo nel loro utilizzo, per Cecchi di Fabricalab i fattori chiave sono la cultura aziendale, una sponsorship forte e – «una consapevolezza diffusa che quello che stiamo approcciando è un percorso e che di conseguenza il cambiamento impatterà non solo il livello infrastrutturale, ma anche e soprattutto il livello organizzativo e di processo». Altro fattore determinante è un approccio iterativo Agile – «con una chiara definizione del contesto e degli obbiettivi misurabili e con una verifica continua dei risultati ottenuti».
LA CREAZIONE DI ECOSISTEMI
Occorre il supporto di partner competenti e affidabili, come racconta Francesco Rainini, Acceleration Team di SAS che preferisce parlare di «data driven company» in grado di orchestrare la piena trasformazione di modelli di business, skill e tecnologia abilitante. «Nel processo di trasformazione è fondamentale la creazione e lo sfruttamento di ecosistemi, poiché essa coinvolge cambiamenti nei processi di business, strumenti e soluzioni tecnologiche hardware e software – dalla sensoristica al controllo remoto dall’AI e alle piattaforme di governo – e cambiamento culturale e professionale delle persone. Le aziende devono sempre di più cercare partner affidabili in ogni specifica area, creando così un network accelerante per la propria trasformazione. Il nostro AI Acceleration Program – continua Rainini – si muove esattamente in questa direzione, fornendo cioè non solo una tecnologia altamente abilitante per l’utilizzazione dei dati presenti nell’azienda digitale, ma anche formazione, network e partnership per fare in modo che le nuove tecnologie siano adottate velocemente e creino valore». Tutte le tecnologie disponibili devono essere sfruttate al meglio.
Secondo Stefano Maio, country sales leader big data analytics di Oracle Italia i progetti di trasformazione basati su modalità data driven – «portano le aziende a operare in ambiti complessi che richiedono risorse tecnologiche ora disponibili e accesso a dati rilevanti da sfruttare, a prescindere dalla loro quantità». Fissato l’obiettivo, il suggerimento è di approfondire da una parte – «le capacità delle soluzioni AI adottabili di semplificare e centralizzare la gestione dei progetti e ottimizzare la possibilità dei sistemi di apprendere e creare valore crescente» – e dall’altra parte – «capire se si può contare su dati che abbiano veramente la potenzialità di generare nuovi insight in modo da indirizzare l’azienda verso scenari anche inaspettati, ma sorprendenti nella loro utilità, e suggeriti proprio dall’accoppiata dati-AI». Tra le imprese data driven, Stefano Maio segnala Bitron Elettronica che ha compreso come cloud, AI e machine learning possano ridurre i difetti di produzione e aumentare la sicurezza dei lavoratori. «L’azienda ha inaugurato l’era della “Zero Defect Line” per ridurre il tasso di difettosità dei componenti elettronici, implementando un progetto di “realtime prediction” basato su Oracle Analytics Cloud per raccogliere i dati lungo tutta la linea di produzione. In questo modo, un mix di funzionalità analitiche, algoritmi e professionalità esperte permettono – dapprima – di identificare i livelli di difetto e – in un secondo passaggio più avanzato – di prevedere in anticipo un possibile problema (predictive analytics), per farvi fronte con operazioni correttive di prescriptive analytics».
IL CONNUBIO HUMAN-TECH
Così come è importante sfruttare le tecnologie e gli strumenti a disposizione, fondamentale è il connubio human-tech. Secondo Ruscica, presidente di Altea Federation, una strategia efficace per la trasformazione intelligente dell’IT deve sostenere l’alleanza tra fattore umano e fattore tecnologico e dare forma a una architettura che sia «timeless» – senza limiti di tempo e che duri nel tempo – «predictive, utile alle persone» – fornendo stimoli e suscitando azioni di valore – e «cloud-ready» – per accogliere in cloud lo spazio infinito di opportunità. «Trasformare un’azienda in logica data driven significa disegnare un’enterprise architecture che coinvolge processi di business, elementi tecnologici (IT) e informazioni chiave in continuo divenire». Questo schema non è statico, ma rappresenta un piano dinamico che si concretizza in obiettivi e azioni di breve, medio e lungo termine con investimenti che crescono al passo del business aziendale. «Far leva sulle competenze tecniche ma anche sulle capacità uniche dell’uomo, come creatività, ingegno e intuito, ponderando le nostre scelte sulla base oggettiva delle predizioni elaborate dalle macchine, sarà il vero fattore differenziante per competere» – spiega Ruscica. «Questo è il valore racchiuso nel connubio human-tech».
Nelle attività di analisi sono indispensabili strumenti informatici adeguati, come spiega Angeleri di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia: «Il successo si misura in performance e noi di Wolters Kluwer Italia abbiamo ingegnerizzato Arca Gestione Processi all’interno del nostro ERP Arca EVOLUTION proprio per sostenere le performance commerciali e l’incremento delle vendite. Arca GP è in grado di fornire statistiche e dati sulle relazioni con clienti e fornitori e che, una volta elaborati, premetteranno di affinare le strategie di relazione, commerciali, di vendita e anche di acquisto. L’analisi dei dati è oggi fondamentale per rendere un rapporto profittevole e ad alto valore reddituale. Arca GP, grazie all’output di dati, favorisce la gestione ottimale di molte fondamentali funzioni aziendali, quali il service, la pianificazione, l’assistenza».
OPPORTUNITÀ E RISCHI
L’impatto della governance dei dati su un’azienda, in particolare quando si evolve fino a diventare un’impresa digitale, è potenzialmente enorme, in quanto i dati non supportano solo decisioni e processi interni ma aiutano anche a migliorare l’esperienza del cliente e a creare nuovi prodotti e modelli di business. D’altra parte, la mancanza di data governance può comportare rischi finanziari e di reputazione significativi per le imprese nell’era digitale. Secondo gli analisti di IDC, esistono molte ragioni per cui la data governance può fallire o risultare inferiore alle attese. Tra le più importanti, sicuramente la mancanza di sponsorizzazione degli executive, la presenza di silos di dati, e quindi di diversi team e dipartimenti con propri dati in sistemi legacy e propri set di politiche e tassonomie, l’enfasi sulla tecnologia a discapito della definizione di modelli e processi, e non ultima la poca chiarezza su proprietà dei dati e responsabilità.
Altri rischi sono legati a sicurezza e affidabilità dei sistemi. Per Andrea Sappia, solutions architect Italy di Infinidat, un’azienda data driven deve porre in primo piano tre elementi fondamentali: «Affidabilità, protezione dei dati e flessibilità nella crescita». Si tratta di caratteristiche imprescindibili – «per poter affidare con serenità i dati del proprio business a un’infrastruttura complessa. È necessario poter accedere a sistemi che siano in grado di abbinare un altissimo livello di disponibilità e una scalabilità fino a molti petabyte di capacità effettiva in un unico rack, senza registrare nessun calo nelle performance». Le aziende che mettono i dati al centro del processo decisionale devono innanzitutto proteggerli da qualsiasi tipo di violazione. «Per questo – continua Sappia – Infinidat ha introdotto SnapSecure, una funzionalità che consente di prevenire l’impatto degli attacchi ransomware attraverso la gestione intelligente delle snapshot definendo un tempo di conservazione e opzioni di cancellazione o modifica dei dati sulla snapshot (Write Once Read Many). Inoltre, le soluzioni di Capacity on Demand di Infinidat consentono di ottenere l’agilità del cloud per crescere in modo flessibile, sulla base delle reali esigenze di business, pur mantenendo i dati nelle proprie strutture. Con un’architettura software-defined il cliente acquista il servizio, implementa il sistema e paga per la capacità man mano utilizzata. Quando vorrà crescere potrà farlo, sapendo esattamente quanto spenderà, senza la necessità di negoziare ogni terabyte aggiuntivo».
Secondo Anna Vaselli, marketing & communication manager di Holonix, grazie a un attento e consapevole utilizzo dei big data, le aziende hanno la possibilità di raggiungere un importante vantaggio competitivo che gli consente di soddisfare al meglio le esigenze della propria clientela, aumentando il business. «Abbiamo la fortuna di vivere in un’era di grande trasformazione, ma questo ci impone due obblighi: da una parte quello di conoscere le skills del cambiamento, dall’altra quello di avere una visione imprenditoriale di lungo periodo, per capire dove tutto ciò può portare. L’utilizzo dei big data comporta opportunità e vantaggi significativi, come per esempio l’acquisizione di nuove conoscenze e la scoperta di nuove relazioni, la personalizzazione delle offerte e delle informazioni, la formulazione di pronostici migliori nei diversi settori, una maggiore flessibilità delle imprese e delle organizzazioni, l’ottimizzazione di processi e la possibilità di prendere decisioni basandosi maggiormente sui fatti reali». Tuttavia – avverte Anna Vaselli – un utilizzo efficace ed efficiente dei Big Data nelle imprese presuppone adeguamenti di natura organizzativa e un’evoluzione culturale. «L’utilizzo di un’enorme quantità di dati consente di potenziare il business, ma allo stesso tempo espone le imprese a nuovi rischi. Per esempio, non può esserci data economy senza data security. Per questo è importante che il cambiamento economico e di business sia preceduto da un cambiamento culturale».
Le opportunità vanno colte e i rischi previsti e gestiti. «Le opportunità – spiega Stolfo di ToolsGroup – sono quelle di prendere decisioni più accurate, essere molto più reattivi, più efficienti ed efficaci». I rischi sono legati alla tempestività e alla qualità dei dati disponibili. «È necessario predisporre un ambiente di diagnostica e controllo che aiuti a valutare le performance, monitorare eventuali deviazioni, e prendere tempestivamente le decisioni eccezionali». Il pericolo più grande che le imprese non possono permettersi di correre è quello di non agire – afferma Rainini di SAS. «Tra i principali benefici e opportunità derivanti dalla trasformazione digitale ci sono sicuramente efficienza, velocità, riduzione dei costi, migliore relazione con il cliente, creazione di nuovi servizi e prodotti personalizzati per i clienti. Il rischio maggiore è perdere la competizione globale. Essere digitali non è più un’opzione, o si è digitali oppure nel giro di cinque anni si sarà fuori completamente dalla competizione».
PASSEPARTOUT: DATI SEMPRE PIÙ FLUIDI
COME MISURARSI CON LA NUOVA COMPLESSITÀ
Smart working, intelligent transformation e nuovi spazi lavorativi sempre più interconnessi. Con il crescere della potenza e della fruibilità degli strumenti software per ottenere un’efficace analisi dati – «è cresciuta ancora più velocemente la complessità dei dati da analizzare e soprattutto la necessità di governare proattivamente il flusso dei dati disponibili e non di subirlo passivamente» – spiega Simone Casadei Valentini direttore progettazione, assistenza e formazione – area imprese e commercialisti di Passepartout. «Il vecchio adagio “la business intelligence trasforma i dati in informazioni”, deve ora misurarsi con una nuova complessità caratterizzata da dati sempre più fluidi. Oltre a quelli della soluzione gestionale principale e quelli provenienti dal CRM – continua Casadei – occorre indagare sui dati che derivano dalle grandi piattaforme social difficilmente integrabili con il resto del patrimonio informativo aziendale. Il successo di un video pubblicato su YouTube con migliaia di visualizzazioni, rischia di restare fine a se stesso se gli “spettatori unici” non si riescono a categorizzare, suddividendoli per esempio tra clienti e lead. In un tale quadro, l’azienda ha certamente bisogno di strumenti di business intelligence affidabili e flessibili, come AD per Mexal-Passcom e PAN disponibile anche nella variante per i prodotti HORECA RETAIL, utilizzabili rapidamente dal manager il cui fiuto resta fondamentale anche in questa nuova complessità, senza lunghe e dispendiose intermediazioni tecniche da parte del nerd di turno».