Diversity management, la strategia dell’inclusione

Un post pubblico su Facebook può costare il posto di lavoro

Diversità e inclusione sono estranee all’organizzazione produttiva e del lavoro? Non è così. Valorizzare le differenze significa aumentare la competitività e rafforzare l’employer branding

In un mondo sempre più connesso e digitale, è forte la spinta al cambiamento e all’innovazione, che può derivare anche dall’emersione delle differenze. Oggi, l’inclusione è un valore sociale ed economico: difficile che nascano nuove idee dove vi è solo omogeneità di pensiero, di esperienze e di competenze. Per questo, anche in Italia, è di recente cresciuta l’attenzione per il diversity management, inteso come pluralità di strategie che le aziende promuovono per cambiare le caratteristiche del proprio ambiente di lavoro attraverso il reclutamento, l’inclusione e la promozione dei lavoratori e la valorizzazione delle diversità. Si tratta di un fenomeno complesso, ma favorito dalle normative più recenti su temi quali la lotta alla discriminazione, le pari opportunità e la sostenibilità.

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I motivi che spingono le aziende a percorrere la strada del diversity management sono di carattere economico, produttivo e di immagine. Economici, perché la valorizzazione dell’eterogeneità si è rivelata fonte di innovazione, così come la differenziazione della forza lavoro rappresenta uno strumento che rafforza la competitività e la capacità di individuare servizi e prodotti che rispondano ai bisogni di consumatori/utenti diversi. Produttivi, perché le azioni di diversity management possono agire sia sul senso di appartenenza e identificazione della forza lavoro – riducendo il tasso di turn-over e di assenteismo – sia concorrere alla creazione di un miglior ambiente di lavoro – riducendo i tassi di conflittualità interna. Miglior ambiente di lavoro, perché si abbassa il contenzioso legato all’impugnazione di licenziamenti o di altri atti ritenuti discriminatori, temi entrambi valutati con grande attenzione dai Tribunali.

D’immagine, perché le società possono valorizzare la propria capacità di composizione e gestione della forza lavoro, con effetti sul piano reputazionale e sulla capacità di attirare talenti. Nella pratica, le iniziative riconducibili al diversity management sono svariate: dalle strategie di reclutamento, volte a modificare la composizione della forza lavoro in un’ottica di maggior eterogeneità (per esempio, prevedendo obiettivi di reclutamento che favoriscano il gender-mix), ai programmi di formazione per aumentare le competenze necessarie a creare un ambiente di lavoro inclusivo, passando attraverso l’elaborazione di processi di valutazione e di incentivazione che tengano in considerazione le diversità presenti in azienda (per esempio, costruendo sistemi di remunerazione variabile che non penalizzino le lavoratrici assenti per maternità) e, infine, le iniziative per favorire la conciliazione vita-lavoro o i sistemi di welfare. In tutto ciò, un ruolo decisivo spetta alle nuove tecnologie e all’intelligenza artificiale: esistono già casi di multinazionali che hanno introdotto la pratica della cosiddetta “esperienza immersiva” per sensibilizzare il proprio management a riconoscere le scelte che, seppur implicitamente, possono generare pregiudizi. Con la combinazione realtà virtuale-realtà aumentata, il manager/user si trova a interagire per alcuni minuti con un avatar su scenari di genere e, al termine dell’interazione, “scopre” se le sue decisioni hanno innescato pregiudizi. In una battuta: innovazione al servizio del benessere aziendale.

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Avvocati Andrea Savoia partner e Marilena Cartabia senior associate – UNIOLEX Stucchi & Partners – www.uniolex.com