Fashion 4.0, l’innovazione è di moda

Fashion 4.0, l’innovazione è di moda

I nuovi percorsi della trasformazione digitale a supporto del mercato del fashion. Il mondo della moda sta cambiando. I progressi tecnologici spingono oltre il limite le modalità di ideazione, disegno, produzione e vendita. Pensare fuori dagli schemi è la parola d’ordine

Da tempo la trasformazione digitale ha fatto il suo ingresso nel settore del fashion. Tutti i principali flussi che interessano l’industria sono stati profondamente rinnovati grazie alla tecnologia. Non parliamo solo della realizzazione in sé di un capo ma anche delle capacità che oggi ha il marketing di raggiungere i consumatori più idonei e, al contempo, i processi per migliorare la proposition e la customer experience. Le soluzioni IT a supporto della moda guidano una parte significativa dell’economia globale e in particolare di quella italiana. Siamo all’interno di uno dei campi più impegnativi per l’information technology e per questo maggiormente sfidanti. In risposta alla pressione che guarda senza sosta a crescita e ottimizzazione dei costi, molti brand famosi hanno avviato una serie di iniziative con cui velocizzare la produzione, adottando idee di sostenibilità nei percorsi di progettazione, finalizzazione e supply chain. Tutto ciò ha ovviamente un obiettivo: accontentare gli utenti, il cui ruolo si è spostato da un’osservanza passiva a una dominanza attiva. Non vogliono più solo acquistare prodotti di moda ma vivere esperienze, interagire, appartenere a una comunità, influenzare i brand che essi stessi comprano. Informati, selettivi e responsabili, si preoccupano di come appaiono in pubblico e sui social media e di come vengono percepiti i capi posseduti. Questo presuppone la necessità di diventare un marchio digitalmente esperto, fondamentale per consolidare la relazione tra consumatore e azienda. Niente più segmenti tradizionali, nessuna area geografica e soluzioni uguali per tutti.

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Una sintesi illuminata sull’evoluzione del settore arriva da Ornella Urso, research analyst di IDC Retail Insights Europe: «Immaginiamo di avere un invito a un evento ma di essere in aeroporto dall’altra parte dell’oceano, con “niente da indossare”. Beh, se avessimo tempo, potremmo cercare il vestito che avevamo in ​​mente ma non sappiamo dove andare e il volo decolla tra 30 minuti. Ora, ipotizziamo di poterlo fare. Siamo seduti, teniamo lo smartphone tra le mani e controlliamo Pinterest o Instagram, per cercare spunti su un capo che ci piace. Apriamo l’app, lo cerchiamo e otteniamo uno sconto del 15% perché lo stiamo comprando online. Ma non è tutto: selezioniamo il colore e la taglia e controlliamo la disponibilità presso lo store che abbiamo visto agli arrivi in aeroporto – et voilà – prima di tornare a casa ritiriamo il prodotto». Questo è adattare il proprio business alle esigenze dei consumatori moderni. Un modus operandi praticamente obbligato se si considera che, con il passaggio dalla vendita al dettaglio alla vastità di Internet, l’impatto della tecnologia sul settore fashion è stato difficile da ignorare. Come in tante realtà industriali, l’IT è artefice di una evoluzione epocale dettata dalla grande mole di dati a disposizione delle imprese, dall’utilizzo di sistemi di monitoraggio del sentiment, dell’intelligenza artificiale come surrogato funzionale del customer care e post-vendita, del virtuale e dell’augmented reality per le prove dei prodotti e così via. Alla luce di tali strumenti, il bisogno di adattarsi al nuovo paesaggio e abbracciare la svolta del digitale è evidente. Quali tecnologie stanno avendo il maggiore impatto nel mondo del fashion?

L’INTERNET DELLE COSE

Una delle maggiori opportunità fornite dalla trasformazione digitale dei flussi della moda è data dall’Internet delle Cose. Secondo il rapporto di fine 2018 del Retail Vision Study, il 70% dei decision maker al dettaglio a livello globale è pronto ad adottare l’IoT per migliorare le esperienze dei clienti. Gli articoli di abbigliamento avranno capacità digitali che aprono la comunicazione tra rivenditore e consumatore, come Nadi X, un paio di pantaloni per lo yoga con sensori integrati che si muovono e vibrano a seconda delle posizioni assunte durante la disciplina. Questo esempio recente dimostra come l’IoT possa rappresentare un ambito di adozione peculiare e sicuramente sfruttabile per la creazione di capi adatti a particolari utilizzi, con i vantaggi di una interlocuzione che affina la comprensione del prodotto e delle modalità con cui renderlo migliore e personalizzato.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Big data è il termine di cui si sente parlare più spesso ai piani alti delle imprese multinazionali. L’industria della moda non è esente dal trend. In effetti, i rivenditori hanno iniziato a saltare sul carrozzone della digitalizzazione e stanno usando l’AI per portare benefici fattuali al business. La maggior parte dei clienti non si rende conto di fornire ai marchi una miniera di dati che può essere utilizzata per prevedere le tendenze e ridurre significativamente il divario tra ciò che viene prodotto e il venduto. Anziché raccogliere manualmente le informazioni, i produttori hanno messo in piedi piattaforme di AI che sanno raccogliere, organizzare, analizzare e ordinare i dati in categorie pertinenti, da controllare per comprendere e prevedere ciò che i clienti cercano, così da incontrare i loro desideri. Una dimostrazione è Screenshop, un’applicazione creata da Kim Kardashian che utilizza il riconoscimento di immagini basato su AI per semplificare la ricerca di capi di moda. Gli utenti possono semplicemente scattarsi una foto per trovare quanto di meglio si adatta al loro corpo, potendo anche scegliere tra interi pacchetti che comprendono un outfit coerente, a prezzi accessibili.

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IL MOBILE COMMERCE

Con la caduta di quei concetti che legavano il mondo degli acquisti allo spazio fisico e al tempo, anche il segmento fashion ha subìto quella trasformazione causata dall’estrema mobilità dei giorni nostri. Con la diffusione di social media, portafogli digitali e app di comunicazione sempre disponibili, è chiaro che il mobile non ha avuto un impatto solo sulla nostra vita quotidiana ma si è fatto strada anche nel mondo dell’abbigliamento. Armati di smartphone, non solo possiamo acquistare online ma anche districarci senza troppe difficoltà tra forme di pagamento come Apple e Android Pay, un’ulteriore spinta al mobile commerce. Secondo le ultime statistiche di BigCommerce, due millennial su tre preferiscono fare acquisti online invece di andare in un negozio fisico. Questo trend è una manna per le compagnie che si sono mostrate pronte al cambiamento, ma anche una spada di Damocle pronta a tagliare fuori dal mercato chi resta ancorato a concetti oramai superati. Le aziende possono utilizzare canali mai considerati prima, come Instagram, per dare ai clienti un modo semplice e veloce con cui scoprire prodotti e fare acquisti.

Al giorno d’oggi, i rivenditori consentono alle persone di vivere esperienze contestuali in tempo reale, sia online che offline, ovunque essi siano. Secondo il Retail Innovation Survey 2018 di IDC, i produttori stanno spostando il loro approccio verso chiare strategie di innovazione. Per quanto riguarda il livello di adozione di soluzioni IT – le imprese della moda e del lusso sono in linea con altri settori industriali e in certi casi risultano anche più avanzate. «In Europa, per il 56% delle imprese della moda, la principale sfida da affrontare è dare la priorità alle missioni di innovazione» – spiega Ornella Urso di IDC Retail Insights Europe. «L’aumento degli investimenti in attività legate all’innovazione e l’implementazione di AI e analytics sono le chiavi a supporto di una nuova customer experience e, allo stesso tempo, è ciò che incoraggia i brand a ripensare a sostenibilità e trasparenza. Ricordiamo la campagna “Shaping a Sustainable Digital Future” del gruppo Prada, che si concentra sull’impatto e sulle implicazioni della digitalizzazione sulla sostenibilità aziendale e sociale».

LE REALTÀ ALTERNATIVE

Se il boom della telefonia mobile e delle app ha portato alla prima ondata di trasformazioni per l’industria della moda, è già tempo di guardare avanti, alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia, in particolare la realtà virtuale. Non è una novità poter sfogliare le varie tipologie di merci dal telefonino, come se si avesse davanti un vero catalogo. Più dirompente è invece la proiezione di una nave sul tavolo che abbiamo di fronte o la visita di uno showroom con indosso un paio di visori VR. Le piattaforme di realtà alternative sono quelle che guideranno il futuro del fashion cucito su misura. Conosciamo oramai i “DressingRoom” 2.0, che utilizzano l’AR per consentire agli acquirenti di provare gli abiti su un avatar, personalizzati per le misure corrette, prima di acquistare un prodotto. Questi progetti cambiano l’esperienza di acquisto verso il meglio e aiutano a fidelizzare i consumatori. Nel tempo, queste attività forniscono valore aggiunto al brand sia in ingresso che in uscita, perché accrescono la loro qualità di innovatori del settore ma riportano indietro anche informazioni aggiuntive che mai avrebbero ottenuto con modalità di proposition classiche.

Nel 2018, Gucci, che fa parte del gruppo Kering, ha presentato Gucci Artlab, un centro di artigianato industriale e sperimentale per pelletteria e calzature. La multinazionale ha introdotto una nuova campagna digitale interattiva nella primavera del 2018 che include una tecnologia di scansione, la realtà virtuale e la realtà aumentata. Se i clienti non riescono a raggiungere il negozio per vivere una scelta in prima persona, hanno l’opportunità di utilizzare l’app ufficiale per smartphone con cui scansionare riviste e giornali che riprendono pubblicità del marchio per proiettare i contenuti intorno a loro. Moncler, produttore di abbigliamento e marchio lifestyle, sfrutta il robot Sophia per promuovere la nuova collezione sotto la linea Genius. Ma non solo: Boggi Milano, con oltre 140 punti vendita in 31 paesi, ha adottato iniziative omnichannel come i servizi “click-and-collect”, per prenotare e ordinare i capi in negozio e riceverli poi anche a casa. Non sorprende che siano stati i marchi di bellezza i primi a provare gli effetti della realtà aumentata. L’Oréal è tra le aziende che offrono app orientate all’AR, per facilitare la scelta dei prodotti e la loro prova, anticipando la visita in negozio. È una mossa che funziona: oltre 20 milioni di utenti hanno scaricato Genius Makeup di L’Oréal, che permette di combinare prodotti sui propri telefoni. Al pari, la piattaforma Meitu ha contribuito a guidare le vendite di Charlotte Tilbury: il 13% degli utenti che hanno provato il rossetto attraverso l’app hanno cliccato sul pulsante “Acquista”.

L’APPORTO DELLA CATENA DI VALORE

Per non parlare poi della tecnologia blockchain che, nell’ambito del fashion, permette di certificare materiali e prodotti in tutte le fasi della catena di approvvigionamento. A questo proposito, interessante è il caso di Martine Jarlgaard, che ha recentemente lanciato un’iniziativa pilota per aumentare la trasparenza nella supply chain, seguendo il percorso delle materie prime. Allo stesso modo, utilizzando l’app “Su Misura” di Alessandro Gherardi, avvicinando lo smartphone all’etichetta della camicia, i clienti possono accedere ai dettagli di produzione, controllare le misure, selezionare i tessuti e personalizzare colletti, polsini e ricami. Stando ancora ai dati di IDC, il 63% dei retailer fashion & luxury in Europa vede l’e-commerce come la principale area di attività che contribuisce alla generazione delle entrate, seguita dal mobile commerce (47%). Questo, a sua volta, causa una trasformazione del negozio, che rimane centrale per il 46% dei rivenditori ma necessita di mettere in piedi attività di integrazione con il digitale.

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L’IT CHE RISOLVE I PROBLEMI

Nel marzo del 2018, il New York Times ha riportato che ad H&M erano rimasti sul groppone 4,3 miliardi di dollari in inventario invenduto. Quattro mesi dopo, Business Insider ha rivelato che Under Armour contava oltre 1,3 miliardi di dollari in capi stoccati in magazzino, che sarebbero rimasti tali. Cosa c’entra l’IT in casi del genere? Beh, quando l’inventario proviene da più supply chain con diversi fornitori, si possono creare problemi evidenti in un settore non standardizzato. Compagnie come H&M e Gap utilizzano fornitori in vari paesi e ordinano volumi da vendor differenti, spesso senza seguire regole e policy coerenti (o in alcuni casi eticamente accettabili), nel tentativo di tagliare i costi e aumentare i profitti. La già citata blockchain ha il potenziale per migliorare sia il lato del backend dei prodotti che il frontend della produzione, aumentando la responsabilità e ottimizzando le rimanenze di magazzino.

Inoltre, l’attuale industria della moda è ancora immersa in pratiche burocratiche e transazioni (contratti, ordini di acquisto, fatture, manuali dei fornitori, codici di condotta, certificazioni di audit, catena logistica, documentazioni di consegna, dichiarazioni di importazione ed esportazione) che costano enormi quantità di tempo e di denaro, durante più fasi del processo di produzione e distribuzione. Ancora qui, la blockchain con i suoi smart contract potrà sostituire procedure odierne, incrementando sia la dematerializzazione che l’organizzazione interna. Un contratto intelligente, quale protocollo informatico destinato a facilitare, verificare e applicare in maniera più semplice l’esecuzione di un processo, renderà le transazioni credibili senza l’intervento di terze parti.

La logica a blocchi si fonda su complessi modelli matematici allo stesso modo di quanto fa Robochain, una soluzione adottata da Vibram, leader nella produzione e commercializzazione di suole in gomma destinate ai mercati per l’outdoor, il lavoro, il tempo libero, la moda, la riparazione e l’ortopedia. Con Robochain, Vibram utilizza modelli matematici di ottimizzazione che abilitano la simulazione di differenti piani di produzione in tempo reale. In questo modo, si attua la pianificazione “ottimale” che aumenta la produttività delle linee, rispondendo alle necessità del mercato. Strumenti di analisi predittiva su piattaforma cloud consentono un’ingegnerizzazione dei processi per dare risposte certe alle varie fasi del ciclo di vita del prodotto, con una riduzione del time to market. Il risultato è una produzione ordinata, con una data di vendita fissata, ovvero con tempi di consegna per lo più garantiti. «Abbiamo ottenuto benefici immediati in termini di incremento del volume di produzione, diminuzione delle metriche di set up e dei costi, una migliore allocazione delle risorse nella fase di stampaggio, con un aumento del grado di soddisfazione dei clienti finali» – ci spiega Virginio Basilico, global IT manager di Vibram.

BENVENUTA FASHION AI

I consumatori vogliono una moda di qualità a prezzi accessibili e ciò significa che le aziende devono diventare più intelligenti nell’apprendere le preferenze, gli stili e le tendenze. Per esempio, Stitch Fix offre la possibilità di attivare un canone mensile a fronte del quale si ottengono vestiti a prezzo vantaggioso, con una spesa minima mensile oppure Zulily che promette di mettere in vendita, sempre, articoli posizionati tra i 19,99 e i 24,99 dollari. Come ci riescono? Con una politica molto simile ai produttori di auto di lusso: una vendita su misura, quasi sartoriale, ma con una particolarità. Un sistema di intelligenza artificiale studia le metriche e rifornisce i magazzini dell’abbigliamento che il software indica essere più ricercato al momento, così da tenere una scorta dei “best buy” ma evitando il problema delle giacenze. Utilizzando i dati di acquisto, insieme all’AI e all’apprendimento automatico, le compagnie partner sono in grado di prevedere meglio le tendenze e di sfruttare le scorte proponendole a un costo favorevole.

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Restando in ambito AI, le iniziative volte a formare nuovi modelli di interazione non mancano. Se il business tradizionale prevedeva la vendita di prodotti e servizi a un costo fisso, quelli più recenti ripensano l’uso della tecnologia nella creazione e nell’acquisizione di fonti di valore. Un flusso del genere aumenta sempre di più, poiché il digitale svolge un ruolo fondamentale in ogni fase del ciclo di vita di un prodotto. Questo nuovo focus basato sulle relazioni è rivoluzionario. Non a caso, si parla di Retail as a service come di un motore che ha il potenziale per portare nell’economia del fashion molto valore in termini di risposta alla domanda, sinergia di canale, modelli di business e processi. È sufficiente considerare come l’IT ha trasformato l’operatività di Zilingo, una compagnia di e-commerce che ha avuto l’opportunità di digitalizzare la filiera della moda soprattutto nel mercato asiatico. Oggi, Zilingo gestisce ancora il suo negozio online di vendita al dettaglio ma la sua mossa principale è stata quella di far evolvere la catena di approvvigionamento del fashion, costruendo una rete di fornitori che si coordinano tutti tramite la stessa piattaforma, mettendo in comune la catena di produzione, la logistica, i pagamenti, per abbattere i costi ma mantenere sempre la peculiarità dei singoli marchi. Quindi, in teoria, chiunque volesse entrare nelle private label o nel mercato della moda, potrebbe utilizzare Zilingo come soluzione end-to-end per fornire i propri prodotti.

OFFLINE È FUORI MODA

Nello specifico dei percorsi digitali che stanno cambiando il fashion, come non menzionare lo “skin electronics”, un nuovo tipo di tessuto, pienamente calato nella produzione hi-tech, che recepisce le informazioni basilari di chi lo indossa e le invia al cloud per questioni di monitoraggio della salute; oppure, la startup che ha sviluppato un’alternativa alle tinture tessili e ai coloranti convenzionali; o il progetto Solar Power Fashion, il capo di lusso che, sin dalla progettazione in laboratorio, sfoggia un mantello a energia solare come elemento di design ma anche per alimentare il cellulare e altri dispositivi mobili. La designer cinese-canadese Ying Gao ha poi disegnato abiti interattivi che ci guardano, comunicano con noi o ci fanno riflettere. É la moda che si rende indipendente e si interroga su come la trattiamo.

SVILUPPI FUTURI

L’IT nel fashion è più di un trend; un fiume in piena che rappresenta un ecosistema in rapida crescita, supportato da idee innovative, persino all’interno dei più prestigiosi incubatori e acceleratori di startup. Con la tecnologia, i processi di creazione, fornitura, produzione e commercializzazione possono di certo assumere contorni più energici, trasparenti e sostenibili, risolvendo i problemi di comunicazione, disallineamento e deviazione. Razionalizzare i processi, sviluppare sistemi più efficienti e modernizzare le operazioni nel settore della moda e del commercio al dettaglio sono componenti indispensabili. La supply chain diviene più efficiente ma solo se incrociata con i Big Data, machine learning, AI, social media e realtà immersive. Quali gli sviluppi futuri? Partiamo dalla biometria, già sfruttata per portare a termine un acquisto tramite smartphone ma sempre più calata negli step precedenti, anche per monitorare la soddisfazione di un cliente in negozio. Il riconoscimento ha un vantaggio: quello di poter fornire informazioni sul processo decisionale dei consumatori, identificando le persone e sviluppando esperienze personalizzate per ognuno di loro. Secondo il Fung Global Retail & Technology, il mercato globale delle applicazioni di riconoscimento facciale ha generato entrate per 178 milioni di dollari a partire dal 2016, diventando la seconda tecnologia biometrica più adottata dopo la scansione delle impronte digitali. E secondo i dati di Technavio, il settore crescerà del 23% entro il 2021. Un punto successivo, già evidente nell’utilizzo quotidiano, è quello delle interfacce vocali, ulteriore step verso un miglior dialogo tra uomo e computer. Le varie Alexa, Google, Siri, puntano a ricoprire il ruolo di una nuova forma di commercio colloquiale, semplicemente più efficiente, senza l’attrito della digitazione. I marchi di moda e i grandi magazzini dovranno creare spazi che offrano autentiche connessioni emotive e coinvolgenti per il corpo e la mente. Si tratta di consolidare i gruppi e le comunità, assolvendo allo stesso tempo al ruolo di innovatori e formatori, verso paradigmi dirompenti e viscerali con cui “vivere” la moda.