Le aziende che non si adeguano avranno a che fare con dipendenti e collaboratori sempre più connessi, che porteranno la famiglia in ufficio e non più solo l’ufficio a casa
Non sono passati quarantacinque anni dall’introduzione sul mercato del personal computer, che la digitalizzazione ha trasformato completamente il modo di vivere e di lavorare. Dopo la diffusione del World Wide Web, l’apertura del mondo ai dati ha consentito un ulteriore cambiamento: una comunicazione veloce, efficace, e poco costosa, tanto da trasformare le abitudini delle aziende. Ma è stato l’avvento di tablet e smartphone a cambiare completamente il gioco – combinando cloud computing e comunicazione – e rivoluzionare la capacità di lavorare da remoto e in movimento. A undici anni dal primo iPhone venduto, il 32% della popolazione usa uno smartphone.
E si rende sempre più evidente la necessità di bilanciare l’esperienza online e quella offline, nella vita personale e nel lavoro. Oggi, è normale ricevere comunicazioni di lavoro durante le ore serali, nel tempo “storicamente” dedicato al riposo, o nel fine settimana. Ed è altrettanto normale avere interazioni con amici o familiari durante la settimana, nel tempo che prima era dedicato unicamente alla professione. Ad aumentare l’effetto di pervasività dato dai mobile device, si sono aggiunti i social network, una piazza virtuale attiva 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza alcuna interruzione. Un continuo brusio di sottofondo, che rende difficile trovare un vero equilibrio: le patologie da “intossicazione da smartphone” o da “dipendenza da social” sono sempre più diffuse. Mentre l’utilizzo di desktop o laptop è rimasto per lo più costante, intorno alle due ore e mezza al giorno, l’utilizzo medio di dispositivi mobili (che comprende sia smartphone che tablet) è passato da 0,3 ore (dati 2008) a 3,3 ore al giorno nel 2017. L’avvento di soluzioni di streaming video come Netflix e Prime Video non farà che aumentare questi numeri considerevolmente nei prossimi anni.
Staccare gli occhi dallo schermo sarà sempre più difficile: come faranno le imprese a gestire questo drastico cambio nelle abitudini del proprio personale? Due sono le reazioni che possono nascere nelle diverse direzioni aziendali: ignorare il problema, come se fosse qualcosa che devono affrontare i dipendenti al di là di quanto è determinato nel contratto di lavoro; oppure, fornire gli strumenti per bilanciare nel modo migliore per ciascuno gli obblighi familiari con le esigenze aziendali. Serve un grosso impegno nella revisione di orari e modalità di lavoro. Serve integrare i valori aziendali a partire dall’empatia e dalla flessibilità, dalla condivisione, dall’organizzazione a moduli variabili.
Lo smart working è una delle modalità con cui il mondo imprenditoriale si affaccia al terzo millennio: ma è evidente dalle nostre strade intasate e dalla congestione negli orari di punta che persistono ancora modelli di lavoro tradizionali per molti. I datori di lavoro che mettono al centro il requisito della presenza in ufficio, come cardine dell’organizzazione del lavoro, saranno lasciati indietro da datori di lavoro più smart che sono impegnati a prepararsi per il futuro.
Nel futuro – infatti – saranno le persone a cambiare. Il nostro modo di lavorare continuerà a evolversi e diventerà sempre più smart. Essere connessi consente di prendere decisioni condivise, pur non essendo nello stesso ufficio, nella stessa sala riunioni. E allo stesso modo, rende possibile mettere allo “stesso tavolo”, nello stesso momento, persone in differenti fusi orari, senza che queste abbiano dovuto prendere un aereo per incontrarsi fisicamente. Dall’altra parte, per evitare che i propri dipendenti spengano le comunicazioni (letteralmente, schiacciando sul tasto “spegni” dello smartphone aziendale) nel tempo normalmente dedicato alla famiglia, le aziende dovranno lavorare di più sull’engagement e il commitment dei collaboratori. Il vero cambiamento sta nel significato profondo del rapporto di lavoro.
Emanuela Donetti @urbanocreativo