La Cina contro le VPN, dalla teoria alla pratica

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Dopo qualche mese “di prova”, Pechino ha cominciato a eseguire in maniera più estesa la repressione per chi usa reti private illegittime

Eludere il “Grande Firewall della Cina”, tramite una VPN, è sempre possibile ma anche molto rischioso. Se nei mesi scorsi il governo di Pechino aveva eseguito multe e arresti per i casi più grandi, ad esempio rivenditori abusivi di soluzioni di reti virtuali private, ora la questione si fa seria e la polizia si prepara a monitorare in maniera più estesa le attività considerate illegali, in cui rientra proprio l’uso delle VPN.

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Il divieto, aggiornamento di una norma introdotta nel 1997, specifica meglio i soggetti interessati: non solo gli utenti privati ma anche le aziende, che possono utilizzare solo VPN concesse in licenza e approvate dal governo. Uno dei primi a essere bloccato e multato per la violazione della legge contro l’internet straniero era stato Zhu Yunfeng, reo di aver sfruttato la popolare Lantern VPN per accedere a siti web censurati da Pechino. La sanzione, pari a 1.000 yuan, rappresenta circa un quinto del salario mensile medio nella città natale di Zhu, Shaoguan, nella provincia di Guangdong.

Cosa succede

La legge sulla sicurezza pubblica cinese del 1997 è stata rafforzata nel 2017 con nuovi regolamenti volti a bloccare le VPN non approvate dal governo. Le multinazionali operanti in Cina, incluse le società con una proprietà intellettuale da proteggere, hanno persino dovuto fronteggiare una indisponibilità temporanea della rete privata usata sino a quel momento proprio per l’assenza di un software legittimo.

Eppure i cinesi hanno bisogno delle VPN: secondo i dati di Freedom House, un numero compreso tra i 20 e i 30 milioni in cittadini, su una popolazione di oltre 1,4 miliardi, ha aggirato il Grande Firewall nel 2018, in periodi critici per la democrazia digitale, ad esempio le elezioni a Taiwan.

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