Monitoraggio dell’inquinamento? Ci pensa la pianta-device di Wiseair

Monitoraggio dell’inquinamento? Ci pensa la pianta-device di Wiseair

Un gruppo di giovani ingegneri della School of Entrepreneurship and Innovation in Fondazione Agnelli ha escogitato un dispositivo IoT per il crowdsourcing del monitoraggio atmosferico. Con l’elettricità generata dai batteri del terreno che si nutrono degli zuccheri delle radici vegetali

Con i giovani startupper ormai si deve giocare d’anticipo. Bisogna coglierli nella fase creativa più precoce, prima che si trasformino in cervelli imprenditoriali in fuga, diventando imprendibili. Il giovanissimo team di inventori protagonisti di questa edizione di Vision non è neppure arrivato a costituire una startup. Il loro scopo è contribuire, con le informazioni, a mitigare i rischi da esposizione a livelli di inquinamento particolarmente elevati. Il loro problema riguarda il particolare tipo di dispositivo da utilizzare per raccogliere queste informazioni. La parte più visibile delle loro attività di studio e prototipizzazione è costituita al momento da una pagina Facebook che pubblica una serie di “airpills”, pillole sulla qualità dell’aria, con informazioni sull’inquinamento e la sua pericolosità e notizie sulle tecnologie che possono aiutarci a misurare e mitigare questo rischio. Nei loro paralleli percorsi scolastici, oltre a perseguire i loro obiettivi di innovatori/imprenditori, stanno portando a termine il biennio per il loro titolo magistrale. I ragazzi di “Wiseair” hanno già in tasca una laurea triennale in ingegneria energetica, chimica, dei nanomateriali, elettronica, informatica, gestionale. L’occasione di incontro è proprio un post nato sulla pagina Facebook in seguito agli incendi deflagrati nel quartiere milanese della Bovisasca, dopo che a metà ottobre il fuoco ha cominciato a consumare un deposito di rifiuti probabilmente illegali. La risposta alla richiesta di approfondimento mette presto in luce una storia che pullula di motivi di interesse.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Innanzitutto il percorso formativo, che mescola dominio delle tecnologie e attenzione ai fondamentali dell’impresa, incluso un business plan attendibile. Poi una tecnologia di nicchia, interpretata a sua volta in un’ottica alternativa. E infine, un’idea applicativa per nulla scontata, piena di risvolti nel social e nella partecipazione, inserita in uno dei contesti più vivaci della trasformazione digitale – Big Data – ma rivolta al miglioramento della qualità di vita e alla responsabilità sociale. Un paio di giorni dopo il primo scambio, nella sede del Politecnico alla Bovisa avviene l’incontro con Paolo Barbato e i suoi colleghi Andrea Bassi e Carlo Gaetaniello, tre rappresentanti di una squadra che conta altri quattro ingegneri. Siamo a breve distanza dal luogo dove pochi giorni prima, in un capannone di un quartiere contiguo alla Bovisa erano bruciati notevoli quantitativi di rifiuti tossici, rilasciando imprecisati livelli di particolato e altre sostanze. Una strana coincidenza visto che la corretta valutazione dell’inquinamento atmosferico è proprio il punto di partenza del progetto Wiseair. Non disponendo ancora di un ufficio proprio, i giovani scienziati parlano della esperienza all’aperto, tra gli edifici del campus, nell’inatteso tepore di questa ottobrata milanese.

ENERGIA RECUPERATA

«Tutto inizia da una selezione effettuata dall’Alta Scuola Politecnica collegata ai Politecnici di Milano e Torino» – racconta Barbato. La Scuola ha offerto a 90 studenti di Milano e 60 di Torino la possibilità di prendere parte a una iniziativa della Fondazione Agnelli, la School of Entrepreneurship and Innovation (SEI – sei.it). «Sono diversi programmi formativi di carattere e durata diversi» – spiega Barbato. «SEI Inventor è un programma intensivo di prototipizzazione, realizzato insieme al Fablab di Torino. SEI Changer, rivolto a dottorandi e studenti di MBA impegna per quattro mesi sui fondamenti di un business model. Wiseair invece è inserito in SEI Pioneer, una sorta di ibrido tra i due perché si focalizza sia sugli aspetti dello sviluppo di un prodotto sia sul modello imprenditoriale». SEI Pioneer, partito lo scorso giugno, è anche il programma più lungo e sfidante: due semestri ad alta tensione creativa, vissuti tra fase di prototipizzazione e avviamento di una vera e propria startup. In mezzo, le lezioni e gli esami che servono a conseguire la laurea magistrale». Come fate a reggere il passo? «Abbiamo capito che cinque ore di sonno a notte sono più che sufficienti» – ammette Bassi. SEI Pioneer è costituito da diversi gruppi focalizzati per esempio sull’intelligenza artificiale, sulla robotica, o sul futuro della mobilità. Il campo d’azione del progetto Wiseair è il cosiddetto energy harvesting, la raccolta di energia elettrica diffusa naturalmente nell’ambiente. Ci sono diversi “gusti” di energia da raccogliere e diverse tecniche di trasduzione per farlo. Il fotovoltaico è forse la forma di harvesting più conosciuta, ma c’è chi – per esempio – raccoglie gocce di energia spremendole dai campi elettromagnetici che ci circondano.

Leggi anche:  CHG-MERIDIAN, la locazione operativa per lo smart retail

In questo caso, l’energia è legata alle piante, ma non direttamente al ciclo della clorofilla. L’elettricità che interessa Wiseair è quella generata da una particolare classe di batteri del terreno, detti exo-elettrogeni, che metabolizzano gli scarti di zucchero presenti nelle radici delle piante, producendo cariche elettriche. «Si tratta di convincere questi batteri a colonizzare un nido fatto di materiale carbonico poroso» – interviene Carlo Gaetaniello. Quando la colonia è stanziale tra anodo e catodo di questa pila a combustibile batterico (“plant microbial fuel cell”), si produce una tensione bassa ma pur sempre sfruttabile. Questa elettricità – però – è solo uno degli ingredienti dell’idea di Wiseair che mira a rendere disponibile una rete abbastanza fitta di punti di misurazione della qualità dell’aria. «Quando leggiamo dei livelli di inquinamento in una città come Milano, dobbiamo pensare che quelle informazioni si basano su un modello di interpolazione delle misure effettuate da due stazioni ARPA. Disporre di tante misure su scala più piccola ci consentirebbe di elaborare – per esempio – percorsi urbani di attraversamento in zone meno inquinate per i ciclisti» – osserva Barbato. L’ideale sarebbe affidare queste misurazioni a una rete di volontari da coinvolgere in una iniziativa social.

VERSO L’IOT DELLE PERSONE

Con questo obiettivo in mente, il team si è messo a studiare le varie offerte sul mercato della sensoristica, ma nessun dispositivo si prestava facilmente alle necessità a causa delle dimensioni ingombranti, dell’alimentazione via cavo o dell’uso di batterie a breve durata. Tutto il contrario da ciò che ci si aspetterebbe da una soluzione che deve ridurre l’impatto dell’inquinamento. La soluzione sta nell’energy harvesting. Tutta l’elettronica della stazione di rilevamento immaginata da Wiseair si trova all’interno di un bel vaso di plastica, dove una pianta nutre i batteri exo-elettrogeni del terriccio. L’elettricità generata alimenta una piccola batteria tampone, sufficiente per effettuare alcune misurazioni al giorno per un lungo periodo. I dati vengono trasmessi attraverso una connessione Sigfox, l’operatore radio machine-to-machine. I giovani inventori puntano sull’effetto partecipativo della loro idea. La stazione Wiseair ha esattamente l’aspetto di una pianta decorativa, da lasciare sul balcone o nell’appartamento. Niente più batterie da sostituire o procedure complesse. «La piantina deve ricevere un po’ d’acqua, tutto il resto viene alimentato da una fuel cell nascosta nel terreno». L’inedito sensore vegetale può essere commercializzato ai consumatori sensibili al problema della qualità dell’aria o fornito in comodato gratuito da un’azienda interessata ai dati raccolti, lo deciderà il business plan. «Stiamo ben attenti al cibo di cui ci alimentiamo – commenta Barbato – non alla qualità dell’aria che respiriamo in città. E come se non bastasse, il problema viene affrontato in modo astratto, lontano dai cittadini. Noi vogliamo coinvolgere tutti attraverso una IoT delle persone».

Leggi anche:  Cloud navigator, la bussola per la nuvola