Santità,
Come si fa a essere sentinelle della verità se ci viene chiesto continuamente di essere soldati? Ho la fortuna di fare il mestiere più bello del mondo, insieme a un gruppo di persone straordinarie che credono in quello che fanno. Gli ostacoli non mancano. Ci confrontiamo con la realtà delle imprese che innovano, che si trasformano, che cambiano pelle per restare competitive. Con i CIO, gli amministratori delegati, i direttori marketing e delle risorse umane che ogni giorno prendono decisioni difficili. Le imprese – però – non sono tutte uguali. E neppure i manager. Qualcuno dimentica che dietro i numeri ci sono le persone e che la tecnologia – come la politica – è uno strumento non il fine.
Perché parlare di spiritualità in azienda è quasi un tabù? Releghiamo questa dimensione solo ad alcuni momenti della vita. Eppure, la spiritualità non ha a che fare con la religiosità. Sperimentiamo la potenza delle parole che sanno ispirare, la forza dell’entusiasmo, della creatività, delle emozioni, delle idee, delle intuizioni. Lo spirito è volontà, è intelligenza, è pensiero per un’azione diretta al bene e alla ricerca del vero, non del falso. Ci impone di tenere gli occhi aperti sulla realtà, ma qualche volta finiamo per guardare altrove.
Perché davanti alle sfide più grandi scegliamo sempre la strada più facile? Invece di tagliare la spesa improduttiva, tagliamo il ramo su cui siamo seduti e che ci permette di guardare avanti: tagliamo gli investimenti sulla scuola, unico vero ascensore sociale, la tutela dell’ambiente, l’innovazione, il lavoro. La complessità del mondo richiede soluzioni complesse. C’è una asimmetria delle informazioni che fa il paio con l’asimmetria delle risorse e delle opportunità.
Perché scegliamo di seguire i pastori che agitano il bastone? Siamo gregge indistinto, ma chiamati a vivere da protagonisti. Siamo moltitudine, ma non frammenti. Abbiamo la capacità di unire elementi diversi, e guardare la realtà senza facili semplificazioni. Abbiamo il talento, abbiamo le risorse per andare oltre la superficie. Le imprese sono innamorate della parola trasformazione. Non tutte le transformations portano al successo. La chiave non è la capability, ma il soggetto che la esercita.
Ce la faremo a vivere insieme? Le barriere più difficili da superare sono quelle che ci portiamo dentro. Siamo tutti stranieri e diversi agli occhi degli altri. Viviamo in un mondo in cui le differenze diventano ragione di scontro. Il rancore fa spazio all’ostilità diffusa. Ma dalla nostra capacità di collaborare e accogliere gli altri – rimanendo noi stessi – dipende il futuro. Un futuro che non è destino, ma destinazione comune. E gli strumenti per tracciare la rotta sono nelle nostre mani. Non si possono alzare muri contro l’immigrazione, l’innovazione e la globalizzazione. Se vogliamo cambiare la vita delle persone, dobbiamo lavorare per ridurre le diseguaglianze. È questo il senso vero della leadership. Nessuno squilibrio può resistere per sempre. Nessuna legacy può fermare l’innovazione. Le tecnologie possono essere esponenziali, ma la capacità di comprendere il cambiamento è logaritmica.
Che cosa ci impedisce di andare nella giusta direzione? C’è lo splendore della verità. E c’è l’ombra proiettata dalla sua luce. L’innovazione ci indica la strada per costruire un mondo migliore. C’è l’innovazione che rilancia il saper fare delle imprese. C’è l’innovazione che non ti aspetti, che fa funzionare meglio i processi. C’è l’innovazione che distrugge senza costruire. C’è l’innovazione silenziosa e quella che batte la grancassa. La tecnologia ci libera dalla fatica, espande lo spazio, comprime il tempo, logora le gerarchie, accorcia le distanze. La logica della tecnica può essere spietata se basata solo sulla maggiore produttività al minimo costo. L’ICT non può essere soltanto la cassetta degli attrezzi. Deve diventare un modo per fare le scelte giuste.
Perché continuiamo a sbagliare? Forse, quello che ci rende speciali come esseri umani è proprio la capacità di sbagliare. Forse, siamo una macchina rotta, ma rotta nel modo giusto. Abbiamo bisogno di fare un salto in avanti, ma non di una rivoluzione che, come una capriola su noi stessi, ci riporti al punto di partenza. Abbiamo bisogno di una trasformazione che ci porti a un livello più alto. Credo nel potere delle parole. Credo nel potere della bontà, della volontà, della responsabilità, della cooperazione. E credere è sempre un atto di fede. A qualunque religione apparteniamo.