Le aziende sono a caccia di competenze digitali, ma la domanda non incontra un’offerta adeguata: la sfida è crearle e consolidarle a partire dalla generazione che si sta affacciando al mondo del lavoro. La priorità è inserirle nel contesto più ampio di un piano nazionale di educazione digitale
La digital transformation sta pervadendo le aziende spingendole a sviluppare, in quasi ogni area, nuove capacità e professionalità basate su competenze tecnologiche e soft skill: conoscenza del web, comunicazione digitale, cura e protezione dei dati, robotica, pensiero computazionale, innovazione digitale, ma anche creatività, autonomia, capacità comunicativa, problem solving, lavoro in team, capacità di pianificare e organizzare, conseguimento di obiettivi e resistenza allo stress. L’esigenza di abilità digitali continua a crescere ed è ormai una componente imprescindibile non solo nei ruoli informatici, ma anche nei processi di business, di management in generale e in tutte le aree aziendali, marketing e vendite in testa.
Il fenomeno è evidente nell’Industria 4.0, rivoluzione che porterà alla produzione automatizzata e interconnessa, basata su robotica avanzata, realtà aumentata, simulazione virtuale, cloud computing, big data analytics, IoT e cyber security. La sfida che ne deriva è soddisfare la domanda che la trasformazione digitale sta generando: secondo l’Unione europea, entro il 2020 si registrerà un deficit di 825mila risorse con competenze digitali, avremo 500mila posti ICT vacanti e ben 9 lavori su 10 richiederanno competenze digitali. Eppure, solo un lavoratore su tre dispone di preparazione adeguata e due aziende su tre denunciano scarsa competenza interna. Non è più solo un problema di reperire specialisti ICT (44% delle aziende), bensì di rispondere alla più vasta domanda di abilità digitali, oltre che per sviluppare software o gestire sistemi, per servirsene con efficacia e sicurezza per comunicare, vendere, produrre e amministrare.
Il problema più grave è che la nuova generazione di futuri cittadini e lavoratori non dispone delle competenze digitali richieste. Secondo il rapporto della ECDL Foundation, solo il 15% della popolazione studentesca è esperta di tecnologie, mentre il 45% ha conoscenze piuttosto rudimentali. Secondo uno studio, solo il 7% dei giovani tra i 15 e i 29 anni dimostra capacità digitali di livello adeguato, mentre per una ricerca ICILS, il 25% degli studenti europei ha un basso livello di competenza digitale. Sette studenti su dieci non conoscono il concetto di Industria 4.0, mentre solo uno su dieci dimostra una conoscenza approfondita e si sta preparando. Se la situazione generale è pressoché drammatica, nelle classifiche dell’UE in materia di competenza digitale l’Italia è ancora in coda. Un’indagine, da me stesso svolta negli istituti scolastici su un campione di oltre duemila soggetti di età compresa tra i 9 e 18 anni, conferma la scarsa competenza digitale della nuova generazione: meno di un rispondente su dieci è in grado di descrivere cos’è Internet e i restanti confondono concetti di base che dovrebbero essere ormai assodati. Neanche gli istituti scolastici a indirizzo informatico né le università riescono a colmare la distanza.
La nuova Generazione Z (1995 in poi) sta entrando nel mondo del lavoro e porta con sé, oltre al gap digitale, un bagaglio di dipendenza tecnologica, forme depressive, scarsa qualità del sonno e deficit di attenzione, oltre alla digital reputation creata negli anni sui social e che i recruiter useranno per fare selezione. Secondo l’Osservatorio delle Competenze Digitali, il digital gap va colmato, investendo in competenze specialistiche, adeguando i percorsi formativi e sostenendo l’aggiornamento digitale di milioni di lavoratori. È urgente farlo attraverso l’introduzione nel sistema educativo nazionale dell’Educazione Digitale, nuova materia che includa la conoscenza approfondita delle tecnologie digitali e la consapevolezza sia delle incredibili opportunità offerte sia dei diversi rischi e i relativi impatti per il business e l’incolumità psicofisica personale che comportano – se non adeguatamente conosciute e dominate.
Ettore Guarnaccia
cybersecurity manager del settore bancario e docente Clusit