Grazie agli incentivi del Piano nazionale Industry 4.0 negli ultimi due anni, analytics e big data stanno entrando in molte aziende, rivoluzionando i processi produttivi. Mostriamo alcuni casi di successo. I consigli dei protagonisti del settore per sviluppare un progetto di successo
Il processo di produzione, cuore di ogni azienda manifatturiera, è oggi completamente rivoluzionato a causa della convergenza delle tecnologie fisiche e virtuali. La trasformazione in ottica digitale delle attività produttive e distributive delle aziende sta avvenendo grazie all’introduzione di macchinari di produzione intelligenti, automatizzata e integrata nei sistemi aziendali, e di software e sistemi IT, funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi. Questo forte cambiamento, che nasce dalla convergenza tra Information Technology (IT) e Operational Technology (OT) ed è spesso indicato come Industria 4.0, fabbrica digitale o smart manufacturing, pone importanti sfide al modo di fare business delle aziende manifatturiere: infatti, orienta le organizzazioni aziendali verso forme più collaborative, e obbliga a mettere a sistema cloud, big data, IoT – lato IT – e advanced automation, additive manufacturing, advanced human machine interface – lato OT.
La preparazione nell’affrontare queste tecnologie è importante, come conferma Andrea Buonocore, country offering lead data science di DXC Technology Italia. Le aziende non solo devono adoperarsi per padroneggiarle e non subirle, ma devono anche esplorare la ricerca di un modello di business nel modo più veloce. «Questo scenario che identifica un insieme di cambiamenti prevalentemente tecnologici, culturali, organizzativi e creativi è definito con il termine digital transformation» – spiega Buonocore. «Molte aziende hanno già iniziato un percorso di trasformazione digitale per affrontare le sfide complesse nel percorso di innovazione della produzione. Tuttavia, i leader digitali comprendono che per avere successo non sarà sufficiente implementare determinate tecnologie poiché le trasformazioni coinvolgono anche altri aspetti determinanti. Il settore manifatturiero in Italia è diviso tra la paura del cambiamento e la voglia di futuro. Le nuove tecnologie sono viste da molti come un’opportunità ma anche con paura, si pensi per esempio ai processi di automazione che inducono a pensare che tali innovazioni tecnologiche sottrarranno posti di lavoro e quindi l’innovazione non farà che produrre nuovi e più ampi divari sociali. Una strada possibile potrebbe essere quella di una buona progettazione, dove “buona” significa soprattutto congiunta tra tecnologie abilitanti, organizzazioni innovative, nuovi mestieri e professioni».
L’INDUSTRIA 4.0 IN ITALIA
Sulla scia di quanto fatto negli anni passati dai governi dei principali paesi europei ed extra-europei per favorire l’innovazione e garantire una migliore competitività dell’industria, lo scorso anno il nostro ministero per lo Sviluppo Economico ha lanciato il Piano nazionale Industria 4.0, rinominato poi quest’anno Impresa 4.0, che però prevede alcune limitazioni e una rimodulazione delle aliquote e delle agevolazioni fiscali, al centro di un ampio dibattito. Anche grazie agli incentivi, gli investimenti nel nostro Paese sono stati ingenti. Secondo l’Osservatorio dell’Industria Italiana dell’Automazione di ANIE Automazione, punto di riferimento per le imprese fornitrici di tecnologie per l’automazione di fabbrica, di processo e delle reti, il settore lo scorso anno è cresciuto del 13,5%, sfiorando circa 5 miliardi di euro, nuovo massimo storico. I segmenti di business legati alla produzione e gestione dei big data hanno registrato le migliori performance di crescita: le soluzioni wireless factory sono cresciute di oltre il 29%, quelle legate al networking industriale hanno avuto una crescita di circa il 26% e i sistemi di RFID per la tracciabilità dei dati il +25%. Secondo la ricerca dell’Osservatorio Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano, il mercato dei progetti di Industria 4.0 in Italia nel 2017 – tra soluzioni IT, componenti tecnologiche abilitanti su asset produttivi tradizionali e servizi collegati – ha raggiunto un valore compreso fra 2,3 e 2,4 miliardi di euro, con una crescita del 30% rispetto allo scorso anno e quasi un raddoppio del mercato in soli tre anni.
Ai progetti 4.0 si somma un indotto di circa 400 milioni di euro in progetti “tradizionali” di innovazione digitale. L’industrial IoT (riferito alla sola componentistica per connettere i macchinari alla rete) si conferma la tecnologia 4.0 più diffusa, con un valore di circa 1,4 miliardi di euro, seguita dall’industrial analytics con 410 milioni di euro, dal cloud manufacturing con 200 milioni di euro, dalle soluzioni di advanced automation, 145 milioni di euro, e dall’advanced human machine interface, 30 milioni di euro. Sulle aree di investimento interviene Matteo Anchieri, CEO di Altea 365, società del Gruppo Altea Federation: «Il futuro dell’industria si sta giocando sempre più nella trasformazione tecnologica e digitale. I big data rappresentano la risorsa principale per le imprese che vogliono investire nell’Industria 4.0. Secondo Gartner, il rapido sviluppo dei progetti IoT sta guidando la creazione di architetture IT decentralizzate, in grado di elaborare i dati direttamente nei punti in cui vengono prodotti o, almeno, il più vicino possibile. Attualmente, circa il 10% degli insights generati dalle imprese è creato ed elaborato fuori da un tradizionale data center o cloud. Nel 2022, questa percentuale salirà al 50%. Inoltre, Gartner prevede che entro il 2020, il 90% delle organizzazioni adotterà infrastrutture IT ibride (mix di tecnologie e servizi on premise, legacy e cloud) e multicloud (mix di cloud diversi di più fornitori). Anche l’intelligenza artificiale e il machine learning sono temi che stanno avendo un impatto importante sui data center così come l’edge computing».
LA CRESCITA DEGLI INVESTIMENTI
In base ai dati dell’indagine IDC Italia condotta per l’Assintel Report 2019, le aziende che in Italia stanno traguardando la tematica Impresa 4.0 sono oggi principalmente quelle di grandi e medie dimensioni: il 22% delle grandi imprese e il 23% delle medie imprese dichiarano infatti di avere progetti in corso o comunque pianificati per il biennio 2019-2020. Dove investono le aziende più grandi? Secondo Antongiulio Donà, VP sales Italy di Talend, le grandi aziende si sono concentrate sulle analisi dei prodotti, su qualche test funzionale e sulle disponibilità degli strumenti di mercato. «In linea con le ipotesi dei grandi osservatori, i progetti di rifacimento dei data warehouse e dei data lake vedranno la luce nel prossimo anno. Interessanti sperimentazioni in ambito strumenti intelligenti hanno completato gli investimenti. Il cloud decolla ma non è certamente a regime pur essendo l’unica scelta a protezione degli investimenti». Tuttavia, ci sono stati cambiamenti negli investimenti rispetto allo scorso anno. «Nel 2017, gli investimenti erano orientati all’acquisto» – mette in evidenza Stefano Giovanetti, consulente commerciale di Real Time.
«Nel 2018, è emersa l’esigenza di capire e sfruttare i dati generati dai nuovi impianti». Dello stesso avviso, anche Michele Guglielmo, regional sales director di Cloudera in Italia, per il quale in ambito Industria 4.0, si è verificato un netto cambiamento. «Negli scorsi anni, erano tematiche ancora poco diffuse. Quest’anno, sembra che il mondo industriale abbia preso consapevolezza della situazione. Abbiamo interagito e sviluppato progetti con diversi settori, come quello automobilistico, minerario, aeronautico e dell’acciaio, per citarne alcuni, con un notevole impatto a livello aziendale. Per esempio, Cloudera permette a Komatsu di monitorare, acquisire e analizzare dati provenienti da sensori disposti sui macchinari pesanti nelle miniere. Dopo tale analisi, la produttività è aumentata di circa il 50%, il che si traduce in notevoli miglioramenti in termini di gestione e performance delle attività. Il mercato Big Data sta acquisendo una maggiore maturità, con effetti positivi sul consolidamento di progetti legati all’Industria 4.0. Secondo Anchieri di Altea 365 è cambiato un po’ anche il focus. «Se il 2017 è stato l’anno che ha lanciato gli investimenti delle aziende in ottica Industry 4.0, il 2018 si sta configurando come l’anno dello sviluppo delle competenze, necessarie per abbracciare la trasformazione e accompagnare la crescita del business. In questo scenario, diventa fondamentale puntare sulla formazione specializzata».
La crescita degli investimenti è confermata anche da Valter Cavallino, senior manager di Kirey Group. «Rispetto agli albori, quando Big Data era principalmente sinonimo di grande Volume e Veridicità delle informazioni, in questo ultimo anno abbiamo assistito all’adozione di soluzioni ormai mature, orientate a dare rilevanza alle restanti “V” identificate da Gartner, in particolare Velocità, Variabilità e Viralità, incentrate non solo sulla disponibilità del dato in sé, praticamente in tempo reale, ma anche sulla Velocità e Viralità legate alla Variabilità dei modelli dati messi a disposizione degli utenti finali. Sistemi di virtualizzazione dei dati, che consentono di unire in un’unica visione dati transazionali con streaming e informazioni in near real time e rivisitazioni in chiave Big Data di metodologie, come per esempio il Data Value, stanno dando nuovo impulso e una seconda giovinezza alle 5V». Nota un crescente interesse in queste soluzioni anche Francesco Stolfo, partner ToolsGroup: «Nel nostro caso, dopo una prima fase concentrata sulla raccolta dati, il 2018 è caratterizzato dall’interesse verso l’automazione dei processi decisionali. Nella pianificazione della supply chain E2E (dalla domanda, alla distribuzione, fino alla produzione), il problema è quello di prendere centinaia, migliaia a volte milioni di decisioni, basate su centinaia, migliaia, milioni e a volte miliardi di dati, ogni giorno. Le aziende chiedono alle nuove tecnologie di prendere autonomamente gran parte delle decisioni, tenendo conto dell’alto numero di variabili e condizioni al contorno per ottimizzare la gestione». Gli investimenti in software e sistemi hanno coinvolto anche la sicurezza in ambito Industria 4.0 e Big Data. E la sicurezza è uno dei fattori più critici su entrambi i fronti, come sottolinea Gastone Nencini, country manager di Trend Micro Italia.
PMI PIÙ COMPETITIVE?
Gli investimenti sono effettuati dalle aziende di tutte le dimensioni, anche dalle PMI, anche se per queste aziende non è facile fare un discorso globale. «Difficile massimizzare sulle PMI» – spiega Donà. «Le più avanzate tecnologicamente hanno portato a termine progetti interessanti ma meno strategici per dimensione. Il calcolo reale del ROI è complesso, al di fuori degli ambiti tradizionali di analisi cioè considerando tutte le variabili presenti in un sistema, e non è ancora consolidato nell’uso di nuove tecnologie. Certamente, l’aspetto industriale, il core business, assorbe la massima attenzione». Secondo Stolfo, partner ToolsGroup, per queste tematiche non ci sono differenze tra PMI e aziende più grandi. Il tema della competitività e della gestione snella dei processi riguarda sia le PMI che le grandi aziende. «Le nuove tecnologie di analisi data driven sono un’opportunità per tutti» – afferma Stolfo, anche perché i costi di accesso alla digital transformation sono alla portata anche delle PMI».
In ogni caso, ci sono opportunità importanti per chi investe. «Le PMI stanno capendo che per rimanere competitive e generare valore devono necessariamente abbracciare il cambiamento facendo investimenti» – spiega Claudio Broggio, innovation consultant di SAS. «In questo modo, possono essere in grado di ridefinire i propri modelli e processi operativi e di business, innovare la propria linea produttiva, offrire servizi e prodotti inediti, creare esperienze sempre nuove per ogni cliente e affacciarsi ai mercati globali. Spesso le PMI operano all’interno di filiere e l’utilizzo dei big data, IoT e analytics permette loro di diventare anelli virtuosi di queste filiere e di generare modelli cooperativi di successo». Per Nencini di Trend Micro Italia – «forse il segmento PMI e in particolare il settore manifatturiero vedono nell’Industry 4.0 qualcosa di più vicino alle loro corde, anche se ci sono realtà in questo segmento di mercato che stanno approcciando i big data come opportunità di crescita».
E secondo Giovanetti di Real Time, le PMI iniziano a comprendere l’importanza di questi investimenti. «Real Time sta operando con PMI impegnate a integrare i sistemi MES con strumenti di consuntivazione e analisi dei dati, al fine di massimizzarne le performance». I numeri confermano le opinioni dei protagonisti: secondo IDC, le piccole imprese stanno mostrando in realtà una certa dinamicità nell’affrontare il paradigma Impresa 4.0. Infatti, circa il 9% ha progetti in corso o pianificati per il prossimo biennio, a cui si aggiunge un altro 8% di aziende che, nonostante non abbia ancora pianificato dei progetti, li prevede nel prossimo futuro. Le micro imprese risultano invece ai margini di questo fenomeno e sono pochissime quelle che prevedono progetti in questo ambito.
Per queste aziende – spiega Angelo Giorgetti, business advisor di Holonix – sono state messe a punto soluzioni che velocizzano l’implementazione dei progetti. «Negli ultimi mesi, sulla spinta dell’onda mediatica dei piani di incentivazione all’Industria 4.0, anche tra le PMI si manifesta un interesse più concreto all’utilizzo dei big data in ambito industriale. Il nostro suggerimento per loro è di privilegiare soluzioni che apportino un vantaggio immediato e che non necessitino di strumenti di analisi particolarmente complessi. Un esempio sono le eccellenze nella produzione di machinery, passati facilmente – grazie alle soluzioni i-LiKe Machines di Holonix – alla raccolta continuativa e generalizzata dei parametri operativi rilevati sulle proprie macchine ovunque installate nel mondo. La scelta di tecnologie e formati big data ha loro permesso un immediato e visibile salto qualitativo quanto a capacità di controllo del parco e di supporto fornito a partner e clienti. Il tutto sulla sola base di analisi abbastanza semplici, ma totalmente significative, di dati non più intermediati da interpretazioni terze di varia natura. La stessa base dati, arricchita nel tempo, verrà poi utilizzata per estrarre informazioni più pregiate, come quelle utilizzabili a fini di manutenzione predittiva o di zero-defect production, che richiedono anche analytics più sofisticati e tuttora allo stato di ricerca e sviluppo. Pragmatismo e tempismo: anche in questo ambito la ricetta per un progetto di successo, non solo nelle PMI».
DOVE INVESTONO LE IMPRESE?
Il settore dell’Industria è stato il primo a confrontarsi con la tematica del 4.0, puntando sul rinnovo dei macchinari interni, sull’introduzione di software evoluti per il monitoraggio, l’automazione e l’analisi dei dati, nonché di altri strumenti innovativi in grado di ottimizzare e rendere più efficienti i processi produttivi, migliorando il controllo delle attività in corso. «La sostituzione dei macchinari o l’introduzione di nuovi impianti evoluti e connettibili – ci spiega Diego Pandolfi, research and consulting manager di IDC Italia – è oggi l’area di investimento principale». I macchinari risultano in effetti i fattori che abilitano l’Impresa 4.0, alla base della reale rivoluzione dei processi “core” delle aziende: «Grazie al loro rinnovo o alla loro sostituzione – continua Pandolfi – possono essere connessi in rete, monitorati in tempo reale e da remoto, e valorizzare la progressiva convergenza tra spazio fisico e spazio virtuale». Il secondo ambito di investimento in ordine di importanza per i progetti di Impresa 4.0 è l’introduzione di software evoluti per la gestione della produzione, come i manufacturing execution system (MES) o i manufacturing operations management system (MOM). «Questi sistemi – dice Pandolfi – permetteranno soprattutto nei prossimi anni un’ottimizzazione crescente e un maggiore controllo della produzione, grazie alla possibilità di integrazione con altri sistemi IT interni all’azienda, oltre che con i macchinari di fabbrica, per una pianificazione e un controllo real-time sulle diverse attività: avanzamento delle attività produttive, evasione degli ordini, stato di salute dei macchinari, analisi su dati di diversa natura».
Altre due aree che iniziano ad attrarre gli investimenti delle aziende italiane in chiave Impresa 4.0, anche se ancora in misura minore – «sono i sistemi di cognitive computing e di machine learning e i software e le piattaforme per l’analisi avanzata dei dati». In generale, quello che sembra emergere dall’indagine condotta da IDC Italia per l’Assintel Report 2019 è una situazione del paradigma Impresa 4.0/Industria 4.0 molto dinamica, e nel prossimo futuro ci si aspetta una crescita dei progetti anche da parte delle imprese di minori dimensioni. Fino a questo momento, le aziende di maggiori dimensioni sono riuscite a sfruttare più delle altre le opportunità legate a incentivi e agevolazioni fiscali. «Si nota chiaramente – spiega Pandolfi – che la maggior parte delle aziende non ha intrapreso ancora o pianificato progetti, e non sembra neanche sensibile alla tematica, non prevedendo progetti nel prossimo futuro». I fattori di freno che stanno contribuendo alla carenza di iniziative in ambito Impresa 4.0 sono diversi. «Dalla mancanza di cultura aziendale o una generale insufficiente conoscenza dell’argomento, alle limitate risorse finanziarie, passando per carenza di competenze e una generale difficoltà di adeguamento delle reti e dei sistemi IT ai nuovi paradigmi digitali». Oggi, la trasformazione digitale sta introducendo trasformazioni radicali anche nel mercato del lavoro, con un impatto forte su domanda e offerta. Vengono richieste abilità sempre più articolate e complesse, e si sente la necessità di nuovi percorsi formativi, davvero necessari per dar vita a nuove e adeguate competenze digitali, soprattutto nelle PMI. Buonocore di DXC Technology Italia pone attenzione proprio sulla cultura del dato: «La cultura basata sui dati deve positivamente condizionare l’intera azienda. Non basta semplicemente assumere un chief data officer e alcuni data scientist. Tutti i dipendenti devono comprendere l’importanza dell’analisi dei dati. Un modo per garantire che tutti siano immersi in una cultura dei dati è quello di favorire la collaborazione di tutti sui progetti specifici. L’utilizzo di un approccio integrato all’analisi da parte del team può aiutare a mantenere l’attenzione su specifiche sfide di business. Senza la prospettiva degli stakeholder aziendali rilevanti, i programmi di analisi possono perdere di slancio».
In conclusione: che tu sia un’impresa di grandi dimensioni o una startup, una cultura basata sui dati ti consentirà di sfruttare al meglio la crescente quantità di dati generati da clienti, dispositivi personali, IoT e altre fonti. Per creare una cultura strategica basata sui dati – secondo Buonocore – i tre ingredienti essenziali sono: «Il buy-in da parte dei decision-makers, una chiara strategia di dati (compresi obiettivi specifici di business che possono essere misurati), ruoli e responsabilità chiaramente definiti». Secondo il sondaggio presentato dall’Osservatorio Industria 4.0 nel mese di giugno, il 50% delle imprese dichiara di aver già concluso o avviato una valutazione delle competenze 4.0, e più di una su quattro (26%) ha intenzione di farlo in futuro. Inoltre, dal sondaggio è emerso che le cinque principali competenze necessarie per abilitare la trasformazione 4.0 sono: applicazione lean manufacturing 4.0, gestione della supply chain digitale, cyber-security, manutenzione smart e relazione persona/macchina.
PROGETTI DI SUCCESSO
Ma chi ci sta già lavorando? Vediamo in dettaglio alcuni dei progetti sviluppati nell’ambito Industria 4.0. Il primo è del gruppo EVIVA, tra i protagonisti del mercato elettrico e del gas in Italia e uno dei più attivi operatori nel trading energetico a livello europeo. «Il gruppo EVIVA – ci racconta Angelo Cian, responsabile soluzioni di business intelligence di Zucchetti – si è rivolto a Zucchetti perché aveva la necessità di disporre di uno strato di middleware che integrasse i dati distribuiti in azienda e dal quale poter estrarre informazioni utili per creare valore, una soluzione che rendesse gli utenti più autonomi nel ricavare e gestire analisi». Con la soluzione InfoBusiness di Zucchetti, il personale di EVIVA ha progressivamente sviluppato una forte cultura verso le analisi dinamiche e l’integrazione dei propri dati aziendali, fino a far diventare la “data intelligence” un importante punto di forza per l’intera azienda. «Lo strumento di BI viene utilizzato in modo pervasivo nelle diverse divisioni aziendali sia a livello operativo sia a livello strategico: dall’help desk dei sistemi informativi per la gestione dei ticket, al consiglio di amministrazione per analisi strategiche, e vi sono in cantiere ulteriori campi di applicazione. InfoBusiness, infatti, non pone limiti al continuo ampliamento delle informazioni inserite nel data warehouse e il suo facile utilizzo per l’interpretazione dei dati favorisce una migliore comprensione dei processi e una maggiore rapidità nel prendere le decisioni».
Un diverso progetto, nel settore dei distributori di bevande, ci viene raccontato da Stolfo, partner ToolsGroup, con un caso che rappresenta la prima applicazione delle tecnologie IoT nell’automazione dei processi di pianificazione della supply chain. Si tratta di un’azienda inglese, il noto brand Costa Express – «che attraverso l’implementazione di un progetto IoT di raccolta dati da macchine distributrici di bevande (più di 8000 distribuite in Europa) ha potuto gestire in maniera completamente automatica e centralizzata la pianificazione fino alla determinazione dei piani di fabbisogno e produzione». È partito un progetto interessante anche in Sitip, azienda tessile in provincia di Bergamo che produce tessuti indemagliabili sintetici ed elasticizzati. Così ce lo descrive Giovanetti di Real Time: «Utilizzando Qlik Sense stiamo sviluppando un progetto di analisi dei dati provenienti da PLC a bordo delle macchine di produzione. In questa prima fase, si gestiscono diversi dati tra i quali i tempi di avanzamento, le quantità lavorate, le causali di fermo, le quantità scartate». Gli indici chiave di performance in fase di definizione sono tre. «L’efficienza di produzione che rappresenta il rapporto tra tempo teorico di lavorazione e il tempo effettivamente impiegato. La saturazione che indica la percentuale di occupazione del personale o della macchina rispetto al tempo disponibile. Il tasso di qualità che misura la percentuale dei pezzi conformi sui pezzi totali prodotti. L’efficienza di quantità che rappresenta la percentuale dei pezzi conformi rispetto alla quantità di pezzi richiesti dall’ordine di lavorazione. E la disponibilità che indica la percentuale di tempo dedicato effettivamente alla produzione rispetto al totale del tempo lavorato».
Michele Guglielmo di Cloudera ci racconta invece un progetto nel settore automotive, che vede protagonista Faurecia, tra i maggiori produttori di componentistica per automobili del mondo, che sta raccogliendo dati da migliaia di macchinari nelle linee di produzione, che forniscono fino a 300 variabili in tempo reale. «Una volta identificate le correlazioni e le tendenze in questi dati – spiega Guglielmo – è stato possibile ridurre i costi di produzione e aumentare la qualità dei loro prodotti, poiché sono in grado di prevedere i difetti di produzione, riducendo la ripetizione del processo e abbattendo al minimo gli sprechi». Nell’ambito di Horizon 2020, il programma quadro per la ricerca e l’innovazione dell’Unione europea, segnaliamo il progetto Boost 4.0, che è stato sviluppato con il duplice obiettivo di coniugare Big Data e Industria 4.0 e di creare il framework di riferimento a livello EU, dando vita a 10 concept model di fabbrica connessa e intelligente. Nello specifico, SAS sta collaborando con Whirlpool e il Politecnico di Milano alla costruzione di un prediction tool in grado di stimare accuratamente dove e quando un certo ricambio è necessario, tenendo conto di diverse variabili lungo il processo di gestione delle parti di ricambio e di fenomeni esogeni come quelli della vendita e di utilizzo degli elettrodomestici. «Stiamo lavorando sui dati in modo molto ampio e considerando fonti molto eterogenee» – spiega Claudio Broggio di SAS. «Prima di tutto le serie storiche, che rimangono la base per la pianificazione, poi i dati di vendita del prodotto finito, che permettono di raffinare la conoscenza del reale parco macchine installato, quindi i dati di test prodotti dagli stabilimenti di fabbrica, i dati provenienti dalla assistenza (chiamate del consumatore e report di riparazione) per stimare la difettosità reale dell’elettrodomestico. E infine, i dati provenienti dagli elettrodomestici connessi che saranno utili anche per approcciare la manutenzione predittiva».
INNOVAZIONE E KNOW-HOW
Cosa bisogna fare per sviluppare un progetto di successo in questo ambito? Per Stolfo, partner ToolsGroup, occorre concentrarsi su progetti specifici – «per riuscire facilmente a valutare il reale contributo delle tecnologie e dimostrare all’impresa il valore della trasformazione». Valore che può essere elevato. «L’Industria 4.0 rappresenta una catena finalizzata a conferire valore aggiunto sull’insieme dei processi aziendali non solo industriali, nei quali ottimizzare qualità, quantità, tempi di produzione e customer experience» – spiega Giovanetti di Real Time. Secondo Michele Guglielmo di Cloudera ci sono caratteristiche comuni alla base dei progetti di successo. Innanzitutto, è essenziale avvalersi di uno sponsor nell’ambito aziendale. «In molti casi, i progetti Big Data sono concepiti come progetti puramente tecnologici, ma si tratta pur sempre di business. Per questo, serve uno sponsor a livello di consiglio direttivo, capace di far decollare il progetto e facilitare la relativa collaborazione multidisciplinare». Un altro aspetto importante è concentrarsi su una soluzione che sia veloce da mettere in pratica. «A tal fine – continua Guglielmo – è cruciale delineare un caso d’uso che sia realizzabile in tempi contenuti, per raggiungere il risultato desiderato e poi replicarlo. Se si ripete questo processo più volte, l’azienda può imparare più velocemente in merito alla tecnologia in questione. E così scompaiono – a poco a poco – gli ostacoli interni nei confronti della sua implementazione e il cambiamento non risulta poi così radicale». Il consiglio di Broggio di SAS è quello di concentrarsi, per prima cosa, sui dati: «Il primo suggerimento è liberare i dati. A tutti i livelli aziendali, all’interno delle filiere e nella condivisione con il mercato. IoT, big data, analytics e artificial intelligence portano le aziende a utilizzare i dati in modo nuovo – più ampio e trasversale – e a cogliere le nuove opportunità che questi portano. È poi importante iniziare anche dal piccolo, ma avendo in mente la “big picture”, ed essere disposti a correggerla durante il percorso».
In conclusione, i progetti devono diventare parte dei processi aziendali. «Analizzare i dati non è però un’attività così semplice» – avverte Donà di Talend. «Industria 4.0 e Big Data impongono un processo diverso per il successo: qualità e governo dei dati sono imprescindibili e le conoscenze della comunità in queste aree sono ancora limitate e troppo spesso sottovalutate. Le neonate figure di data scientist sono cresciute di importanza, ma non sono ancora perfettamente inserite in processi operativi sistemici». E inoltre, le difficoltà non si trovano solo nella fase di analisi dati, ma anche nella loro raccolta. «Uno degli elementi maggiormente critici per il successo per un progetto Big Data nell’Industry 4.0 è ancora la capacità di raccogliere in maniera efficace i dati, dove il gap maggiore è convogliare le informazioni fisiche in un ambiente digitale» – spiega Fabio Ardossi, partner Data Reply. Un esempio su tutti è la capacità di raccogliere i dati direttamente sulle linee di produzione per arricchire i modelli di monitoraggio e di previsione dei guasti: «Qui anche le tecnologie più innovative che gestiscono il dato in tempo reale e i modelli matematici più complessi perdono di efficacia se l’informazione manca a monte» – dice Ardossi. «Diventa elemento chiave la capacità di integrare i sistemi di produzione in maniera incrementale e alternativa, sfruttando la riduzione di costo tecnologico, e favorire l’utilizzo di tecnologie, magari meno precise ma che possono essere usate in maniera più massiva perché richiedono un investimento inferiore». Un esempio è l’utilizzo di sistemi per la raccolta di immagini per l’anomaly detection sulla linea di produzione: «L’utilizzo di fotocamere esterne in punti ben definiti – continua Ardossi – permette di colmare la mancanza di fotocamere native. Con due fotocamere esterne, si possono raggiungere risultati molto vicini a quelli che potrebbero essere raggiunti, utilizzando una singola fotocamere integrata nell’impianto di produzione». L’altro elemento fondamentale è l’analisi critica delle sorgenti dati utilizzate a valle dei modelli intelligenti implementati, dove – «l’esperienza umana, fisica e sensoriale riveste un elemento chiave di successo» – spiega Ardossi. «Interpretare la bontà di un modello matematico, intuendo che sarebbe importante misurare e raccogliere un’informazione esogena all’impianto, per esempio l’umidità della stanza, è qualcosa ancora in mano agli esperti del settore. Non ci sono ancora ricette scritte o sistemi robotici automatici che possano sostituire questa conoscenza».
Una volta affrontate le problematiche di raccolta e analisi, si possono sfruttare appieno le potenzialità dei dati. «I Big Data non sono obbligatoriamente legati alla sola “enormità” dei dati trattati» – afferma Cavallino di Kirey Group. «Ma si propongono come valida soluzione per l’implementazione di progetti che vedano protagonista l’utente finale che ha la necessità di velocità e variabilità dei dati per rendere virale l’informazione che deve comunicare. La chiave del successo di un progetto in questo ambito non può fare a meno delle tecnologie ormai consolidate, ma deve anche avvalersi di sistemi di virtualizzazione dei dati, di nuovi approcci alla modellazione e strategie di data governance al passo con le normative. Questa è la visione a tutto tondo che proponiamo ai nostri clienti e che ci vede coinvolti in progetti o case study». Per sviluppare un progetto di successo è necessario innanzitutto sapere cosa si vuole ottenere. «Un progetto di successo parte sempre da obiettivi definiti e condivisi» – spiega Moreno Simonetta, BU manager, business intelligence di SB Italia. «Occorre poi attrezzarsi con i giusti strumenti. Dai numerosi progetti BI che SB Italia ha realizzato, emerge come l’utilizzo delle tecnologie IT in ambito Operational Technology, sia sempre più frequente. Si sta diffondendo sempre più l’utilizzo di database per raccogliere i dati di produzione, ma anche per analizzare i dati di processo, strutturati e destrutturati, al fine di identificare eventuali inefficienze. Le interfacce web based consentono di estendere facilmente le applicazioni anche su dispositivi mobile, in modo che gli operatori possano accedere a dati ovunque migliorando la produttività nelle fabbriche. Inoltre, la raccolta e la combinazione di dati provenienti dalla sensoristica con algoritmi predittivi presenti nelle piattaforme di analytics, consente un sempre più preciso monitoring e setup delle linee, in modo da minimizzare i rischi legati a un fermo macchina». SB Italia ha un approccio pragmatico e suggerisce di partire da un “pilota” a basso rischio che possa dare risultati tangibili nel breve.
«Questi progetti – continua Moreno Simonetta – rappresentano una buona opportunità per far crescere le competenze IT/OT del team tecnico e per consentire ai manager la governance dei processi. Ed è importante individuare anche un partner con il giusto set di competenze tecnologiche e conoscenze dei processi, affinché l’execution sia la più efficace e rapida possibile». In un progetto, non bisogna sottovalutare gli aspetti di sicurezza, che sono tra le prime cause di fallimento. Il primo passaggio per approcciarsi in modo corretto alla “materia” big data – suggerisce Nencini di Trend Micro Italia – è sviluppare una mappa logica dei dati, per decidere quali sono le azioni da intraprendere in relazione agli obiettivi aziendali. «Una volta disegnata la mappa di base, si può iniziare a pensare alle policy, alle procedure e anche alle tecnologie per garantire la sicurezza, come i sistemi di data loss protection e prevention o gli strumenti di autenticazione e di controllo degli accessi. L’obiettivo è, infatti, quello di assicurarsi che l’accesso appropriato ai dati avvenga solo da parte delle persone che ne hanno effettivamente diritto». Nei progetti Big Data è probabile che sia coinvolto anche un provider terzo (la maggior parte delle aziende, infatti, non possiede abbastanza risorse per gestire internamente progetti di grandi dimensioni legati ai big data). «In questo caso – continua Nencini – sarà necessario estendere il controllo degli accessi ai dati anche al di fuori dell’azienda. Le potenzialità legate ai big data sono enormi, ma è importante capire con precisione quale sia il valore dei dati che vengono gestiti in un sistema di questo tipo e studiare bene gli accessi e gli accordi quando i dati vengono affidati a fornitori di terze parti, ricordandosi che, in seguito all’entrata in vigore del GDPR, le regole sono diventate più severe. In ambito Industry 4.0 poi, è importante proteggere anche i macchinari perché potrebbero essere sfruttati come punto di accesso dai cybercriminali, per impossessarsi dei dati o compromettere i sistemi. Un altro punto importante – conclude Nencini – è “umano” e consiste nel far parlare le persone dell’IT con quelle dell’OT. Quindi, bisogna permettere alle persone dell’IT e a quelle dell’OT di incontrarsi, per creare un centro operativo di sicurezza unico, che consenta di supervisionare tutto l’IT e tutto l’OT».